Il ceto
medio non è affatto scomparso, ma si è trasformato nella epitome di un onnivoro
sincretismo antisnobistico.
In un primo
tempo, questo è opportuno, dovremmo essere realistici e chiedere subito
l’impossibile.
La
progressiva e almeno in apparenza inesorabile scomparsa del ceto medio,
rappresenta la peggior sconfitta contemporanea della società, della politica,
dei sindacati.
Come
aggiungere una nota di speranza?
La potrebbe
offrire il Sindacato, che proprio a causa dell’importante ruolo che dovrebbe
assumere, si trova sotto un fuoco mediatico inframmezzato da critiche di
inconcludenza provenienti da lavoratori e no, raccolti o meno sotto una sigla
sindacale.
Siamo
avvolti da nebbie.
La tempesta
generata dalla miriade di canali informativi sempre all’opera, orientati più
sul dare notizie piuttosto che offrire approfondimenti, trova buon gioco tanto
nell’effetto annuncio tanto caro alla compagine governativa, quanto negli
scandali generati da comportamenti gravi ed immorali, pur sempre imputabili a
singoli, sebbene questi tentino di proteggersi sotto una bandiera.
Mascalzoni.
Questi
reiterati attacchi hanno quale scopo quale scopo la delegittimazione del
Sindacato.
Nel contempo
vorrebbero essere anche una sorta di maggior legittimazione dell’intervento
governativo e parlamentare sulla legislazione sul lavoro.
Al momento
ottengono soltanto un malaugurato effetto negativo sul delicato equilibrio tra
legge, autonomia delle rappresentanze dei lavoratori e contratti collettivi.
Brutta
storia.
Che comunque
andrebbe raccontata.
Come pure
dovrebbero essere oggetto di narrazione i risultati concreti e positivi
ottenuti dal Sindacato.
Una
comunicazione efficace predilige la narrazione dei successi ottenuti nelle
aziende, negli uffici pubblici, sul territorio e si contrappone all’aridità dei
comunicati stampa, che hanno pur sempre il sapore stantio della giustificazione
da parte di chi esercita il potere.
Molto meglio
il fascino della memoria consolidata di quanti operano per difendere i più
deboli, in particolare quelli che il potere vorrebbe gestire.
Si odono
poche grida d’allarme.
Ancora
nessun grido di dolore.
Assenze che
pesano molto, perché sono il pericoloso, anzi pericolosissimo segnale che il
ceto medio, non possedendo una propria capacità aggregativa, una coscienza
collettiva se si preferisce, si ripiega sulle resistenze dei singoli.
I singoli
resistono in modo solitario ed ogni tanto qualcuno cade, avvolto nel silenzio e
presto nell’oblio.
Lo stato
sociale, questa la domanda inquietante, è il frutto di una inevitabile tendenza
intrinseca al capitalismo che si espande nel regolare ogni aspetto della vita,
ovvero il risultato di una spinta rivendicativa generata dalla mobilitazione di
massa nelle forme, partiti politici e Sindacati, organizzate dalla classi
subalterne?
La risposta
emerge chiaramente in questo frangente di crisi, dove dopo un originario
consolidamento dei diritti dei lavoratori, oltre alla nascita delle forme di
sostegno sociale intestate al volontariato d’ogni genere, si assiste non
soltanto a scellerate azioni di smantellamento mercé l’insostenibilità dei
costi, ma anche ad un contemporaneo sfilacciamento delle compagini impegnate
nel sociale.
Non tanto
per la crisi delle vocazioni o dell’avanzare di culture differenti in merito al
concetto di condivisione delle esistenze.
Piuttosto si
tratta dell’infoltimento delle schiere di quelli che un tempo appartenevano al
ceto medio, quindi avevano sicurezze economiche e serenità d’animo e tempo
liberato da dedicare agli altri, ed ora invece vengono ascritti al rango di
bisognosi.
Il ceto
medio si dissolve soprattutto in questo modo.
Ai due
estremi s’ingrossano sia le file di quelli che hanno soprattutto bisogno
d’aiuto, sia quella del ceto medio-alto che in ragione, reale o millantata o
sedicente, delle competenza d’alto profilo nei settori economico-finanziari,
avanza esose pretese di riconoscimento economico, pressoché sempre accolte pur
se raramente giustificabili.
In una
società basata sulla circolazione delle merci e sul loro consumo, questa
situazione potrebbe evolvere solamente in un disastro.
Il ceto
medio assottigliato va riducendo il tempo da dedicare al consumo e nel contempo
anche le risorse.
Al
contrario, i componenti del ceto medio-alto stanno vivendo un contrasto
fortemente legato alla precarietà della loro condizione ed al tremore delle
loro aspirazioni (ansia perenne), quindi a fronte di una grande capacità di
spesa non corrisponde la quantità di tempo necessaria per goderne.
Senza
sottacere della debolezza umana che a ciascuno mostra con chiarezza chi vive
una condizione sociale migliore, mentre lo sguardo s’appanna quando, non sempre
volontariamente, ci si volge verso gli ultimi, anzi già a quelli che stanno
soltanto un poco peggio di noi.
Questa è una
sfida, molto calda, per il Sindacato.
Che oggi si
gioca sui decreti dei tentativi di riforma del lavoro, costruiti senza il
necessario confronto con la rappresentanza dei lavoratori; sulla volontà del
Governo di legiferare in tema di rappresentanza sindacale e sciopero; sul
mancato accordo in merito al progetto di riforma degli assetti contrattuali,
nonché sulle regole della contrattazione utile a frenare inopportuni interventi
normativi sulle relazioni industriali.
Occorre
avere consapevolezza del passato, per poter costruire il futuro e vivere in
modo dignitoso per tutti il presente.
Nel Secolo
scorso, la tecnologia ha trasformato i lavoratori in ingranaggi specializzati
nella complessa macchina produttiva, attori cruciali e insostituibili
nell’economia della catena di montaggio anche se non qualificati.
Nell’attuale
rivoluzione tecnologica, i lavoratori non qualificati hanno perso il loro
ruolo, facilmente sostituiti da lavoratori immigrati, in special modo
clandestini, e macchine ovvero sistemi informatizzati.
Il mercato
del lavoro ha dato preferenza ai lavoratori qualificati, facendo crescere al
tempo stesso la frammentazione del sistema lavoro.
La società
si va costringendo fra lavoro a distanza con l’illusione della gestione
personale del tempo e lavoro apparentemente autonomo che in realtà è funzione
delegata che legalmente si sovrappone al rapporto di dipendenza diretta.
Per il
Sindacato, il risultato è stato quello di perdere efficacia nella rappresentanza
e nella contrattazione collettiva, con la dispersione nei mille rivoli della
miriade dei contratti nazionali e no.
Il ceto
medio cominciò così a scivolar via, stante la stretta relazione tra
appartenenza sindacale e disuguaglianza di reddito.
Il declino
del Sindacato è stato accelerato anche dal declino del lavoro, ma non solo,
facendo emergere il terribile quesito sulla necessità della loro esistenza.
Sono
necessari i Sindacati?
Debbono
forse stare in recinti ben definiti?
Nel caso in
cui l’obiettivo sia quello di rafforzare il ceto medio, utile per sostenere il
sistema di tassazione e quello dei consumi e quello della solidarietà, allora i
Sindacati sono il giusto strumento per concentrare energie.
I lavoratori
hanno dato ai Sindacati il potere di contrattazione per ottenere non soltanto
diritti, ma anche una congrua immissione dei guadagni nel sistema sociale,
offrendo così oltre ai miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro,
anche per i non iscritti, effettivo sostegno ai sistemi indipendenti, non
governativi, di solidarietà.
Indebolire
l’appartenenza sindacale significa ridurre il potere contrattuale dei
lavoratori del ceto medio, favorendo la loro scomparsa.
Le
conseguenze saranno terribili, soprattutto per i poveri.
Allora, come
possiamo rafforzare i Sindacati?
Innanzitutto
non facendoci ingannare dal cosiddetto “diritto al lavoro” tanto sbandierato
dalla politica.
Le pratiche
di consumo generano necessità, ma ad esempio i lavoratori in proprio nel
settore dei servizi sono costretti a salari bassi ed hanno scarse probabilità
di ottenere gli stessi diritti assicurativi, previdenziali, salariali dei
lavoratori dipendenti.
Sempre
meglio avere un Sindacato in grado di contrattare per loro conto, se vogliono
ottenere autentiche possibilità di crescita sociale, quale positivo auspicio
per gli appartenenti al ceto medio che intendono elevare il loro status,
trascinando con le loro legittime aspirazioni l’intero sistema sociale.
Altrimenti
il risultato sarà quello di ottenere un livello di disuguaglianza per tutti,
frustrati da desideri irrinunciabili quanto irraggiungibili e doveri sempre più
onerosi e non pienamente giustificati.
Le merci,
beni e servizi, ormai funzionano come una sorta di linguaggio universale che
riflette sul senso della nostra contemporaneità, in cui gli errori sintattici
sono rappresentati da rinunce e concessioni capaci di inquinare le spese comuni
e le scelte di investimento, sia questo denaro o il tempo.
Queste
storie del presente, rafforzate dalla memoria di come sono stati ottenuti i
diritti fondamentali, sono di certo una bella sfida che il Sindacato ha la
possibilità ed il dovere di raccontare (storytelling), per meglio affrontare il
futuro e la necessaria difesa del ceto medio che gli insensati vorrebbero far
scomparire.