Già dopo il primo turno elettorale delle
elezioni francesi si era capito che i problemi dell’Europa non sarebbero più
stati legati alla Frexit, i listini hanno festeggiato e il risultato del
ballottaggio ha archiviato definitivamente lo stato di allarme maturato in seno
all’Unione.
Secondo il colosso bancario Deutsche bank
, a impensierire l’Europa oggi è il Belpaese in pole position, avvertito come autentico pericolo di destabilizzazione
politica ed economica e le ragioni
sarebbero abbastanza consistenti. A
preoccupare, calcoli politici derivanti dalla brusca e impetuosa avanzata dei
partiti populisti ed euroscettici , Movimento 5stelle e Lega, notoriamente
ostili all’Unione. La vittoria del No al referendum di dicembre è stata per lo
più interpretata, nel Vecchio Continente, come una specie di rivolta che ha attivato
i riflettori sul populismo presente nel nostro paese. Tra meno di un anno l’Italia
andrà alle urne e il risultato potrebbe far emergere la possibilità di un’altra
frattura nell’area euro.
Molto consistenti inoltre le ragioni
economiche, principalmente la chiusura dei rubinetti della Bce e con essa il
timore che il debito pubblico italiano possa uscire fuori dal controllo del
Tesoro.
La scorsa settimana Lorenzo Codogno, il ex-capoeconomista
del ministero del tesoro, nel discorso tenuto alla Scuola Nazionale di
Amministrazione ha dichiarato: “Preoccupa che i fondi esteri stiano
investendo sempre di meno nel nostro debito pubblico. Anche le famiglie stanno
abbandonando i titoli di Stato - che non rendono più - per scegliere sempre più
spesso i fondi comuni d’investimento. I quali - com’è ovvio che sia -
diversificano i loro investimenti”. In pratica i risparmi degli italiani si
dirigono sempre più all’estero, da cui stanno giungendo in patria sempre meno
capitali, situazione per altro ora mascherata dagli acquisti di Francoforte
destinati a ridursi tra non molto.
Nel discorso pronunciato a Tel Aviv Mario
Draghi ha affermato che in Europa la crisi si trova alle spalle, netta la
ripresa, migliorata l’occupazione, situazione finanziaria rafforzata, di
conseguenza la Bce si prepara a discutere nella prossima
riunione dell’8 giugno l’uscita dallo
stimolo monetario ma soprattutto decidere
le modalità di comunicazione più opportune ai mercati per evitare il rischio di brusche cadute dei
listini. Per ora il percorso, sul quale si registra il maggiore consenso,
sarebbe continuare fino alla fine dell’anno con l’acquisto dei titoli al ritmo
di 60 miliardi di euro al mese con riduzione progressiva e aumento dei tassi di
interesse. Ciò significa che a breve i paesi, che finora hanno beneficiato del quantitative easing, dovranno presentarsi in futuro con una situazione
finanziaria credibile per convincere altri investitori, in sostituzione alla
Bce, a comprare i loro titoli sovrani. L’Italia con l’alto debito , in ritardo
con le riforme apparirebbe inaffidabile e verrebbe messa sotto monitoraggio, in
questa situazione, senza il paracadute Bce, i nostri tassi di interesse inizierebbero
a salire e il servizio del debito
diverrebbe molto più oneroso.
Non è questo in ogni caso il solo fattore
che crea apprensione intorno al nostro paese: l’Italia è il paese che cresce
meno in Europa, lo confermano i risultati del Pil dei 1° trimestre.
Il Pil del primo trimestre è aumentato
solo dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, l’ultimo del 2016, con
crescita annua che si fermerebbe allo 0,8%, troppo poco per sperare di ridurre
il macigno del debito, mentre Eurostat ha confermato che la crescita del primo
trimestre nell’eurozona si attesta allo 0,5% ,più del doppio, e in termini
tendenziali dell’1,7% e 2% per l’Unione europea .
E’ necessario rimuovere quegli ostacoli
che frenano la crescita come l’elevato
costo del lavoro, riforme strutturali che servano a far uscire il mercato dalla
situazione di stagnazione comatosa. Per questo sarebbero indispensabili volontà
politica e stabilità di governo, elementi che per ora sono molto distanti dal
nostro orizzonte politico che si dibatte in una crisi in cui produce il peggio
di sé. Tra non molto andremo a votare ma manca ancora una legge elettorale
concordata in Parlamento, mentre i partiti hanno perso credibilità di fronte
all’opinione pubblica e le forze populiste
ed euroscettiche conquistano ulteriori consensi.
Un fattore di rischio per l’economia
italiana e anche europea arriva dagli Usa. Il programma economico lanciato da
Trump prevede un ritorno al protezionismo, prospettiva che ha messo in ansia
tutti quegli stati la cui economia è basata sulle esportazioni. Tra questi
l’Italia tipico paese trasformatore, quarto fornitore del mercato americano, le
cui esportazioni hanno raggiunto nel 2016 42 miliardi di dollari, un export che
vale più dell’import, con un saldo positivo di 28 miliardi di dollari.
Occhi puntati anche sul nostro settore
bancario, il compartimento più strapazzato, divenuto il nodo cruciale del
nostro sistema finanziario. Il calvario ha avuto inizio nel 2015 col decreto salva
banche e si è chiusa in queste settimane con la cessione di tre good bank,
Nuova Banca Etruria, Marche e Carichieti a Ubi Banca per il prezzo simbolico di
un euro. Il presidente delle quattro good bank salvate, nominato da Bankitalia,
Roberto Nicastro con indubbio senso dell’umorismo ha affermato che l’operazione
ha rappresentato un “successo su diversi fronti” e che le banche sono state “la
cavia del bail-in, ma ne sono uscite vive”, solo un po’ distrutte se si
considera che circa 130 mila
obbligazionisti, hanno completamente
perduto i loro risparmi, per 800 milioni di euro, e che almeno1600
dipendenti da qui al 2020 perderanno il lavoro. Un cumulo di macerie.
I
costi dell’operazione si aggirano sui 3,6 miliardi messi a disposizione dal
sistema bancario e dal fondo di risoluzione, che, inutile ricordarlo, verranno
recuperati, attraverso i nostri conti correnti, tosandoci un po’ tutti. L’operazione eseguita sulle banchette
dell’Italia centrale, basata sulle nuove norme dell’Unione bancaria europea, è
stata la prima e non sarà l’ultima. Anche MPS, Veneto Banca e Popolare di Vicenza
si trovano nella stessa situazione, in mezzo al guado con l’acqua alla gola.
MPS è in attesa dell’ok dall’Europa per la ricapitalizzazione precauzionale con
l’intervento del governo . Bce e
Commissione europea non hanno ancora
trovato la quadra, forse tra giugno e luglio . Incerto ancora il destino di
Veneto Banca e Popolare di Vicenza sul quale esiste un silenzio totale, per
nulla rassicurante, anche da parte del ministro del tesoro.
Il comparto bancario sta vivendo una crisi
di sofferenza e trasformazione a cui istituzioni e classe dirigente non hanno
dato per ora risposte adeguate, la responsabilità di questa situazione non può
essere ascritta solo all’Europa matrigna crudele. Per anni abbiamo sostenuto
che il nostro sistema bancario era tra i più solidi dell’Europa perché non
parlava inglese, che tutto andava nel migliore dei modi, abbiamo perso tempo
nel sottovalutare alcune criticità del sistema che in seguito si sono
aggravate ma che potevano essere sistemate prima dell’entrata dei nuovi
regolamenti dell’Unione Bancaria, come è stato fatto in diversi paesi europei.
Più o meno lo stesso copione viene adottato quando si parla dell’economia
italiana. Lo story telling governativo ci parla di ripresa imminente di occupazione
aumentata e di cose che si aggiusteranno
ben presto, il solito“tutto bene” che ci trascina nel baratro.
In realtà Banca Etruria è la metafora
dell’Italia e dobbiamo sperare di non fare la stessa fine.