Il
concerto di Vasco ieri sera
Potrei definire così - il passato del futuro- il concerto di Vasco ( e qui il nome non è
una firma) a cui ieri sera ho assistito seduta comodamente nella poltrona di un
cinema milanese.
Una rassegna dei suoi e dei miei quarant'anni di musica, ma
soprattutto dei nostri sessanta e più anni di vita, per ognuno spericolata a
modo suo.
Ogni canzone un rimbombo nei corridoi della memoria,
un'alzata d'onda nell'oceano degli occhi dove il colore dell'acqua si
confondeva con l'azzurro degli occhi di Vasco, un azzurro che tiene insieme
l'innocenza e l'esperienza, la grazia e la disperazione.
Non sono mai stata un grande appassionata di Vasco, il rock
da qualsiasi parte viene non è musica per le mie contrade, anzi diciamo che da
sempre sono le parole che fanno la mia musica e in alcune canzoni di Vasco le
sue parole si disponevano armoniosamente con le altre nell'immenso spartito che
custodivo e custodisco.
Inutile negare che è la robusta corda del romanticismo che
mi fa vibrare, che sia musica jazz o sinfonica, leggera o classica quello che
mi lascia il segno è la sottile nota sempre sul confine tra malinconia e gioia,
che corrisponde più al tramonto che all'alba chiara, quando l'orizzonte scolorisce
e il sole scompare, vigoroso simbolo della nostra vita mortale.
Nella lunga scia dei pellegrini sempre incamminati verso
Oriente, Vasco lo incontro spesso tra Leopardi e Holderlin, qualche volta lo
vedo chiacchierare e saltellare con Mozart, qualche altra seduto sul ciglio
della strada in compagnia di Hermann Hesse, una sera li ho sentiti che
divagavano su Klingsor, Klee e
Mahler.
Ma è quando si parla di donne che Vasco e tutti i pellegrini
si fanno un po' stonati, nell'universo femminile in cui accendono i loro fuochi
rimane sempre un'irriducibile zona d'ombra, una distanza che solo in pochi
momenti si fa vicinanza, si è sempre soli a camminare, sempre innamorati,
sempre appassionati d'una mancanza.
Ieri sera su quel palco ho rivisto Lucio e Fabrizio, Lauzi,
Bindi, Tenco, Endrigo che seguivano silenziosi Mia Martini, la Ferri e la
Melato, tutti in ascolto di quel che le donne dicevano, pronti a tradurre con
le loro parole quel che delle donne non si sa dire.
Duecentotrentamila persone che cantano insieme sono come un
mare calmo pronto alla tempesta, sono come un diluvio che potrebbe arrivare e
cambiare tutto quel che dopo di lui resta.
Il tempo di Vasco è preludio del nuovo, è sguardo innocente
e ironico nella insondabilità della vita che ci sa però anche donare il
coraggio di vivere nell'incertezza di un'esperienza e di un'intuizione profonda
dove non è la ragione che ha la parola prima, ma il silenzio da dove quella
parola nasce per diventare musica.
Zarathustra è sempre attuale, l'inizio del concerto ben
illumina questa verità: si nasce ogni giorno
e divenire uomini e donne è il compito, spericolato,
appassionato, pieno di bollicine, niente affatto scontato.