In questi anni la politica si è presa un prolungato
periodo di sospensione, una fase di inerzia che è servita ad accumulare i problemi
irrisolti sotto i tappeti delle sue stanze del potere, una specie di sonno che
ha generato faticose questioni geopolitiche. Tra queste, la necessità di costruire
nuovi equilibri per spegnere i focolai di guerra che infiammano una vasta area
del Medio Oriente con le intermittenti fasi di terrorismo endemico, spie di una
situazione confusa di contrasti insoluti sia col mondo occidentale che
all’interno dell’Islam stesso. L’instabilità si proietta anche all’Estremo
Oriente dove l’avventurismo di Kim Jong-un presenta il conto di una pace mai
fatta tra Corea del Nord, ultimo scampolo del mondo comunista, e Corea del Sud
dopo la guerra degli anni ’50 del secolo scorso. Infine la grande problematica
dei migranti che richiede uno sforzo di gestione razionale non ideologica da
assumere non solo a livello italiano ma soprattutto europeo.
Il mondo occidentale sta affrontando una grande fase
di incertezza legata alla verifica della sostenibilità del proprio sistema economico,
finanziario e produttivo che non si è ancora del tutto ripreso dalla devastante
crisi economica del decennio scorso che alcuni ottimisti hanno dato per
scontato finita alle nostre spalle. Ora sappiamo che la crisi ha modificato
profondamente l’assetto delle vecchie classi sociali , tra queste alcune sono
state favorite, altre impoverite e
comunque si sta assistendo non solo all’emergere di grandi disuguaglianze nella
società ma anche a una profonda divisione tra classi sociali che genera un
clima di sfiducia tra cittadini e le istituzioni.
In America l’elezione di Trump ha rappresentato la
spia di un malessere diffuso, che denuncia una condizione sociale dove le differenze
tra ricchi e poveri non sono mai state tanto abissali, in cui lo Stato sociale
non può essere migliorato poiché le imprese sono costrette a competere con
dittature in cui non esistono diritti per i lavoratori. Al di là delle
statistiche economiche e delle performance della borsa, un’elevata percentuale
dei 350 milioni di cittadini americani vive al di sotto dei limiti di
povertà. Sono scomparsi i buoni posti di
lavoro con benefici sociali che ora restano in Cina e in altri paesi del terzo
mondo. Trump simboleggia l’espressione del
profondo disagio di un vasto strato di popolazione completamente scordato dai racconti
dei successi Apple o Facebook o altre super imprese innovatrici che
distribuiscono favolosi salari ai dipendenti, frazione troppo esigua della
popolazione per creare benessere diffuso. Anche in Europa, nelle democrazie
indebolite dalla crisi importata dagli Usa, si stanno diffondendo nuove culture
politico-sociali meno attente ai diritti democratici acquisiti dopo secoli di
lotte.
Dalle statistiche di previsione e dai dati che le
compongono si può affermare che tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 si assisterà
ad una vera resa dei conti tesa a verificare la sostenibilità dell’attuale sistema
economico e finanziario, sarà difficile in ogni caso incantare le opinioni
pubbliche con le sole promesse. Si sperava che arrivassero chiarimenti e
soluzioni da Jackson Hole da parte del capo della Fed americana, Janet Yellen e
da Mario Draghi presidente Bce, i personaggi più autorevoli della finanza
mondiale.
La Yellen è impegnata
a salvare la riforma incompiuta di Obama, la Dodd-Frank varata nel 2010 e messa
in atto solo per una parte, con la quale si sperava di frenare la vocazione
essenzialmente speculativa di Wall Street, scongiurare i collassi conseguenti
agli abusi della finanza, contenere il mercato dei derivati fuori dalle borse e
la finanza ombra che ha ormai raggiunto un valore pari alla finanza ufficiale.
Ma Trump, spalleggiato dalle grandi banche di affari, è contrario e preme
perché ripristini le vecchie regole, se ne vada dalla Fed e tutto rientri nella
situazione di dieci anni fa non ostante la recessione patita e lo scempio del
sistema bancario conseguente all’abolizione del Glass-Steagall-act . Sta
ritornando in grande spolvero il neoliberismo che tanti danni ha procurato e
che pone la finanza privata al centro dei meccanismi di accumulazione dei
capitali e le autorità di politica economica al suo servizio.
Draghi, a cinque anni dal “ Whatever it takes” , il
discorso londinese con cui esprimeva la sua assoluta volontà di sostenere
l’euro, non ostante le apparenze, non se la passa meglio. Anche se la Merkel
difende ufficialmente il suo operato si ritrova osteggiato dalla Bundesbank che
non vede l’ora che completi il suo mandato e se ne vada via e con lui sparisca il
Quantitative Easing che ai tedeschi ha procurato un’atroce urticaria. Nella
conferenza stampa odierna il governatore ha annunciato che sul Qe verranno
prese decisioni a ottobre e comunque inizieranno ad essere esaminate le
strategie di politica monetaria che saranno applicate dopo la fine della
politica espansiva attuale. Il tapering è dunque alle porte.
Questi due anziani signori, alle soglie del
pensionamento, che a Jackson Hole si sono fatti fotografare seduti sulla stessa
panchina, costituiscono per ora i soli paletti che sono impegnati a
impedire il ritorno al Medio Evo
economico e finanziario del decennio scorso.