A partire dal mese di ottobre le banche
italiane hanno perso in borsa mediamente quasi il 2% in più rispetto alle
banche europee, da quando la Vigilanza Bce ha annunciato il varo di nuove norme
per gli istituti dell’Eurozona. Queste prevedono che, a partire dal prossimo
gennaio, a fronte di nuovi crediti non performati (Npl, non performing loans)
vengano accantonati da parte delle istituzioni finanziarie europee capitali
pari al 100% del loro valore e iscritti a bilancio. Tale processo deve
completarsi entro due anni per gli Npl sprovvisti di garanzie ed entro sette
anni per quelli coperti da qualche garanzia. Le nuove regole verranno dibattute,
e forse in qualche misura attenuate, nella riunione pubblica all’Eurotower
prevista per il prossimo 8 dicembre, non riguarderanno lo stock di Npl già
presenti in pancia delle banche dell’Eurozona fino al 31 dicembre prossimo che
ammontano a circa 1000 miliardi di euro complessivamente di cui 350 solo in
Italia.
Le nuove regole sui crediti delle banche
sarebbero il frutto di un compromesso, necessario per rassicurare i tedeschi
sulla solidità patrimoniale delle banche dell’Eurozona, stabilito sottobanco
tra la Cancelliera Angela Merkel e Bce, per rimuovere gli ostacoli che si
frappongono al completamento dell’Unione Bancaria, in particolare l’istituzione di una garanzia unica sui
depositi, provvedimento indispensabile per ripristinare la fiducia
nell’euro smarrita negli ultimi anni.
Tuttavia le situazioni in questo momento
non sono del tutto ben definite. Il consigliere esecutivo della Bce Yves Merchs,
in una conferenza a Milano, ha espresso i suoi convincimenti sulla necessità di
abbattere la pericolosa valanga di 1000 miliardi di Npl che si aggira per
l’Europa. Di fronte alle perplessità espresse da politici, imprenditori e
banchieri riguardo a soluzioni che potrebbero danneggiare l’economia in ripresa,
ha risposto che le regole vanno rispettate contro le pretese di “eccezioni
culturali”. Ora si sa che Merchs appartiene all’area dei falchi berlinesi,
comunque la sua posizione appare supportata dalla nuova situazione politica prodottasi
in Germania dopo le elezioni. Ricordiamo brevemente che i due principali
partiti che fino a pochi anni fa avevano circa l’80% dei voti oggi si attestano
a poco più del 50% e l’alleanza Cdu/Spd è implosa. L’ Spd passa all’opposizione
e, per governare, la Merkel dovrà accordarsi con i liberali dell’Fdp e i Verdi
in un’inedita maggioranza a tre. All’opposizione si trova inoltre la pattuglia
di euroscettici di AfD che ha conquistato ben 92 seggi e rappresenta il 13%
degli elettori. I liberali hanno già dichiarato la loro ferma opposizione alla condivisione
dei debiti bancari e alla garanzia unica sui depositi, posizione del tutto
identiche a quelle espresse dagli euroscettici dell’AfD. Qualcuno dei liberali
dell’Fdp ha persino dichiarato che si dovrebbe estromettere la Grecia
dall’Unione in quanto zavorra. La linea della Bundesbank è molto netta: nessuna
mutualizzazione dei rischi sovrani prima che gli stati non avranno messo ordine
nei loro conti pubblici e pareggiato i bilanci, e prima che le banche degli
stati membri non abbiano ripulito i loro bilanci, condizione necessaria per
evitare il rischio di mettere le mani nelle tasche dei contribuenti tedeschi .
A questo punto occorre ricordare che i contribuenti italiani hanno trasferito
alcune decine di miliardi di euro all’Esm per consentire alle banche tedesche e
francesi di uscire indenni dalla crisi greca.
La soluzione di compromesso elaborata da
Draghi e la Cancelliera riguardo alle nuove regole sui crediti tende a superare
l’empasse tra le diverse posizioni e realizzare il compimento dell’Unione
bancaria .
Si sa che l’Italia sta attraversando un
periodo di congiuntura economica favorevole, il Pil sta crescendo dell’1,5%
contro il +2,3% della media europea, siamo ultimi ma tuttavia agganciati al
vagone europeo della ripresa. Per evitare che questa fase positiva si spenga, è
necessario garantire il sostegno agli investimenti delle imprese e ai consumi
delle famiglie, entrambi alimentati dai prestiti bancari. E’comunque evidente
che le nuove norme rappresenteranno, se varate, un nuovo gravoso costo per le
banche che per questo calano in borsa. Si teme possano provocare una fase di
credit crunch colpendo i prestiti, accrescendo la pressione sul capitale delle
banche dissanguate da un quinquennio di ricapitalizzazioni richieste agli
azionisti nonché al governo che ha dovuto mettere a disposizione 20 miliardi di
euro pro salvataggi.
Nell’ultimo board della Bce Draghi ha
speso la sua influenza per sostenere la decisione di avviare un’uscita morbida
dal programma di quantitative easing. Le
scelte:
·
Per
tutto il 2017 il programma di acquisto di titoli sul mercato proseguirà nelle quantità
note cioè 60 miliardi di euro al mese
·
A
partire da gennaio 2018 fino a settembre gli acquisti si ridurranno di 30 miliardi.
·
I
capitali rimborsati verranno reinvestiti sul mercato, e sarà un intervento
massiccio.
·
Il
direttorio Bce ha poi deciso a maggioranza di mantenere una posizione aperta, contraria
in pratica a dichiarare conclusa per sempre la stagione degli stimoli. In caso
di necessità si interverrà ancora.
Le decisioni di prolungare gli acquisti e
di non fissare una scadenza per eventuali politiche monetarie espansive sono in
un certo qual modo salvifiche per l’Italia, i boss dei mercati finanziari, che
si preparavano ad aggredire con la speculazione l’Italia indebolita dal debito
pubblico non ancora bilanciato a causa di una crescita debole, troveranno sulla
loro strada una Bce pronta a contrastarli e i costi di rifinanziamento del
debito si manterranno per ora a livelli accettabili.
Una colomba dunque ha spiccato il volo nei
cieli di Francoforte.
Il paracadute della Bce ha salvato
l’Unione monetaria e l’ancoraggio dell’Italia a questo sistema internazionale,
il Vecchio Continente ha ritrovato la fiducia grazie alla politica adottata da
Draghi, ma questa fase sta ormai per concludersi, presto le cose cambieranno.
La lunga ricreazione, nell’attesa delle
elezioni tedesche e del nuovo governo a tre, sta per finire, da lontano si ode
distinto il suono della campanella.
La cartella è a posto? I compiti sono
stati fatti? La divisa in ordine?
L’Italia è oggetto di molte attenzioni dall’asse
franco-tedesco, che ormai dopo la Brexit domina l’Europa, per lei si sta
avvicinando una fase decisiva che la maggioranza dei suoi cittadini ancora non
percepisce distintamente. In un articolo pubblicato sul Corriere, Giavazzi,
noto economista, personalità pacata e certo non affetta da populismo ha
affermato: “In Europa si
stanno preparando riforme che influiranno sulla nostra economia molto più di
tutte le leggi che in Parlamento si dibattono in queste settimane, a cominciare
dalla prossima Legge di stabilità”. Germania e Francia stanno accordandosi sul
varo di un bilancio europeo comune per gestire l’economia dell’Unione. In capo
ci sono le proposte di Schauble, ex ministro delle finanze tedesche, di
trasformare l’Esm, il Fondo salva-stati, in una specie di fondo monetario
europeo a cui ricorrere per aiutare gli stati del sud Europa e stabilire un
rapporto di influenza più stretto sui loro bilanci statali. Poiché nessuno
vuole correre rischi, l’integrazione avverrà attraverso un accordo stringente
sulle regole. Il bilancio comune costituisce senz’altro una soluzione razionale,
il problema sorge come si procederà a definire queste regole. Si discute
inoltre, e siamo solo agli inizi, di modificare anche le istituzioni europee, ampliando
le materie in cui si possa decidere con maggioranza semplice dei paesi membri e
non all’unanimità. Dopo il 2011 gran
parte dei poteri decisionali sono stati trasferiti nella sostanza dall’Italia
all’Europa e siamo precipitati in una crisi economica devastante da cui ci
stiamo a fatica risollevando, non vorremmo che il processo di integrazione,
gestito esclusivamente dall’asse franco-tedesco, ci ripotasse ancora al 2011 penalizzandoci
in modo irreversibile.