La frequentazione tra Leopardi 32enne e
Fanny a Firenze nel 1830, in V Liceo Linguistico la raccontavo così. Fanny era una nobildonna, bellissima, colta,
sposata, ritenuta di facilissimi costumi, pur non essendo mai andata in
spiaggia. Costei riceveva Leopardi nel suo boudoir (salotto privato) e
lo ascoltava parlare, affascinata.
Leopardi equivocò e confuse l’interessamento
di Fanny per lui. Un giorno (poscia più
che l’onor potè il digiuno), imbranato
com’era, le disse più o meno: “Adunque,
pungemi il cor un disio,
imperciocché trovomi single, e il dardo di Cupido colpimmi proditoriamente. Speranza mia è che colui avesse due frecce nella faretra. Se nella medesma guisa comportato si fosse con
te, me la daresti la tua rosa rugiadosa, fresca e appetitosa?” Risposta di
Fanny, desunta dall’Epistolario, “Come osi tu, verme schifoso e repellente,
chiedermi cotanto? Vattene, sparisci, sciò sciò, e non comparirmi più
dinnanzi”.
Ora se Fanny fosse stata una fanciulla del
tipo: non gioco al dottore con te perché la mamma non vuole, il tenero Giacomo,
pur obnubilato dalla passione, neppure
avrebbe osato pronunciare la sua richiesta.
Domanda mia alle allieve:”Secondo voi
quanti minuti ci mise Fanny ad accorgersi che Leopardi era preso di lei?” Seconda domanda: lo avrà lusingato (sembra
che ad alcune donne piaccia sentirsi desiderate) o no?
Fanny non era proprio una nave-scuola,
ma un fuoribordo con motore incorporato sì.
Suvvia era il caso di fare la difficile? Oltretutto avrebbe vissuto l’esperienza affascinante (in sé, a prescindere dagli
esiti, dell’iniziazione). Oppure, per
negarsi, avrebbe potuto adoperare parole più acconce e non offensive.
Leopardi l’ha molestata? Resto convinto che se invece degli occhi
azzurri dolcissimi di Leopardi, Fanny fosse stata guardata da un burino
palestrato, macho, con lo sguardo spermatozoico, quello che ti mette incinta
con una sola occhiata penetrante (ambiguità semantica), il suo consenso sarebbe
arrivato.
Ancor oggi, a mio avviso, molesta di più il perfido e malefico, volgare e rozzo, narciso che seduce con lo sguardo pregno di
promesse (non è tutto oro quel che luccica),
che non un balbettante innocuo “bambino”, qual era Leopardi in campo
sentimentale.
Offeso nel profondo, umiliato nelle
viscere (eufemismo), Leopardi attese tre anni per vendicarsi (Contini:
rievocazione e vendetta; aggiungo: si
tratta infatti di un canto della
rimembranza, di segno negativo stavolta), alla sua sublime maniera.
Scrisse un canto anomalo, “Aspasia”, per
raccontare la seduzione di Fanny e compiere una riflessione filosofica, ispirata
da Platone. Aspasia fu un etèra (leggi
escort) di Pericle nell’ Atene del V secolo
a.c. Leopardi la usa come infamante segnal (provenzalismo, pseudonimo che coglie una
caratteristica della donna amata: Beatrice la beatitudine, Laura l’alloro, Fiammetta la passione, Lidia la costa sul mare, Clizia il girasole) nel titolo. Più tardi Fanny scrisse a Ranieri, l’amico
napoletano di Leopardi nei suoi anni estremi “Aspasia sono io?”. “Assolutamente
sì” fu la risposta alla Maria De Filippi. La contro risposta di Fanny non la
solleva nella considerazione presso i
posteri. “Mi dispiace, ma puzzava”. Invece il buzzurro, quello che non deve
chiedere mai, portava seco un sentore di
Pino Silvestre Vidal.
Se la lirica “Aspasia” si limitasse al legittimo
risentimento autobiografico, sarebbe forse non poesia (Croce), ma il fondatore
della critica stilistica Leo Spitzer e il leopardista supremo Emilio Peruzzi,
hanno sottolineato la matrice platonica
del concetto leopardiano adombrato nel
canto.
Anche qui la mia esposizione è rivolta
ad allieve 18enni: Leopardi afferma che dentro ciascuno di noi esiste
l’idea innata di colei (colui) che vorremmo amare. Quando nella vita reale
incontriamo una persona che assomiglia alla nostra idea (inconscia, direbbe
Freud) ci innamoriamo. Se ricambiati, col trascorrere del tempo ci accorgiamo che costei non è esattamente come noi la vorremmo
(magari migliore: aggiunta mia), si sdoppia ai nostri occhi, ma la “colpa” non
è di lei, siamo noi che l’abbiamo sognata
in un modo che sarà inevitabilmente smentito dalla realtà, lei è se stessa e
non può non essere tale (Parmenide).
Aggiungo un’osservazione di Contini a
proposito di Angiolina di “Senilità”, paragonata a Odette del proustiano “Un
amore di Swann”: “ la gelosia e la coscienza dell’abiezione dell’essere amato
come moventi dell’amore “. Più scopri che l’essere amato è indegno, tanto meno
riesci a staccarti da lui
. Aggiungo Ghìsola del capolavoro di Tozzi
“Con gli occhi chiusi” il grande misconosciuto
narratore senese (Baldacci).
Ho finito. Spero che i miei lettori abbiano
gradito. elvio
bombonato