Our current economic system is in crisis and it is time for fundamental reform, writes Michael Jacobs
….Quindi a che cosa assomiglierebbe un capitalismo “riformato”?
In primo luogo, sarebbe governato da una visione sociale e politica molto più chiara, ciò che l’economia ha come scopo. La crescita del PIL è ora una misura scarsamente indicativa della prosperità. Questo non è più associato a guadagni crescenti; non tiene conto del lavoro non retribuito o del danno ambientale; non misura la disuguaglianza. Quindi, abbiamo bisogno di un metro di valutazione migliore per il nostro benessere individuale e sociale. In un’economia riformata valuteremo i beni sociali – l’istruzione, la salute, l’assistenza sociale, la cultura, le città vivaci e i paesaggi meravigliosi – tanto quanto i beni per il consumo individuale. Saremmo preoccupati per la salute mentale delle persone sul posto di lavoro e per la loro produttività; conseguiremo un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, nonché porremo termine [le differenze] di genere e la discriminazione razziale. La distribuzione del reddito e della ricchezza sarebbe al centro della nozione di prosperità della società, così come quella di produzione. E avremmo bisogno di garantire che le basi ambientali dell’economia, su scala globale, siano sostenute in modo sostenibile. Solo un ampio dibattito pubblico su questi obiettivi può garantire che essi diventino il fondamento di una nuova economia.
In secondo luogo, ci sarebbe una visione diversa per quanto concerne il business. Troppo spesso, quelli che sono alla ricerca di riformare il capitalismo sono descritti come “anti-business” (e a volte sembrano come se lo fossero). Ma questo è assurdo. Le imprese private impiegano più della metà della forza lavoro e generano più della metà del reddito nazionale. Quindi, essere “anti-business” significa essere “anti-economia”. Il problema è che tipo di affari desideriamo incentivare. La risposta sta nel fatto che la maggior parte di queste imprese dovrebbero assomigliare alle migliori che già esistono. Le aziende britanniche di maggior successo – e ce ne sono molte, dalla Siemens alla John Lewis, dalla Unilever alla Nationwide – investono a lungo termine. Si concentrano sull’innovazione, non sull’estrazione di valore. Cercano di creare buoni posti di lavoro, con una buona retribuzione, formazione e progressione di carriera, coinvolgendo i lavoratori sia per far crescere partecipazione e produttività. Cercano di ridurre il loro gravame ambientale. E pagano le tasse. Una combinazione di politica della concorrenza e fiscale, una riforma del governo societario e della strategia industriale, garantirebbe che in una nuova economia si abbia un numero maggiore di tali imprese e un numero inferiore di quelle che apportano discredito.
In terzo luogo, i mercati finanziari sarebbero concepiti per servire il resto dell’economia anziché semplicemente la propria redditività. Oggi, la maggior parte del settore finanziario si concentra sui rendimenti a breve termine a scapito degli investimenti a lungo termine. Abbiamo bisogno di meno trading e più investimenti. Una serie di riforme – dalla retribuzione dei dirigenti al dovere fiduciario dei fondi pensione e d’investimento; dalla tassazione alla creazione di nuove banche pubbliche d’investimento – sono probabilmente necessarie.
In quarto luogo, un capitalismo riformato distribuirebbe reddito e ricchezza in modo più equo. Ciò avverrebbe non solo in ragione della redistribuzione attraverso il sistema fiscale e previdenziale, anche se ciò sarà sempre importante. Questo accadrà nel modo in cui sono strutturati i mercati del lavoro e la proprietà dell’impresa. Un salario minimo, che aumenti in modo progressivo, verrebbe accresciuto dal rafforzamento della contrattazione collettiva da parte dei sindacati, con lo scopo di aumentare i salari e garantire che la maggior parte del reddito nazionale vada a lavoro. Le imprese sarebbero più possedute dai loro lavoratori, attraverso i fondi dei dipendenti e in vari tipi di modelli d’impresa cooperativa e sociale. Un fondo sovrano potrebbe dare all’intera popolazione una partecipazione nella proprietà del capitale.
In quinto luogo, i governi avrebbero un ruolo più forte nel guidare l’economia. La politica fiscale e monetaria sarebbe utilizzata (diversamente da ciò che accade correntemente) per sostenere la domanda e l’occupazione e gestire l’inflazione. Quando il settore privato non investirà, spetterà ai governi farlo. La strategia industriale – ora riconosciuta sia dal governo sia dall’opposizione – può aiutare sia a innalzare il tasso di investimento sia a indirizzarlo verso le esigenze della società. Oggi, abbiamo un forte bisogno di maggiori investimenti nelle infrastrutture, nell’innovazione, nell’automazione e nella digitalizzazione, nella de-carbonizzazione dell’economia e nel far fronte alla sfida di una società che invecchia. E ne abbiamo bisogno in modo più consistente nelle nazioni [Scotland, Wales e Ulster] e nelle regioni del paese al di fuori di Londra e particolarmente nel sud-est. La spesa pubblica non solo fornisce basi vitali per la crescita: infrastrutture, servizi pubblici e assistenza sociale. Essa socializza il rischio per il settore privato e crea aspettative su cui basare i piani d’investimento. Solo un governo (a livello nazionale e subnazionale) può fornire il coordinamento strategico di cui ha bisogno un’economia moderna.
È possibile una tale forma di capitalismo? Non c’è dubbio che c’è ancora molto lavoro da fare per arricchire le politiche e le riforme istituzionali necessarie per realizzarlo. Ma è la volontà politica, non un qualsiasi tipo di inevitabilità economica, quella che determina il tipo di economia che abbiamo. Non dovremmo illuderci che molti interessi acquisiti cercheranno di ostacolare la realizzazione di una nuova visione. Ma, oggi la cosa interessante è quanto sia diffusa la comprensione del fatto che il cambiamento sia necessario. (articolo segnalato dal civis Giorgio Abonante)