Il Presidente della
Repubblica Mattarella ha sciolto le Camere e ha indetto le elezioni politiche
per il 4 marzo prossimo, la legislatura sul piano politico può considerarsi
conclusa anche se sul piano formale durerà fino a marzo. In questo quinquennio si sono succeduti tre
esecutivi: governo Letta (aprile 2013- febbraio 2014) governo Renzi (febbraio
2014 – dicembre 2016) governo Gentiloni dicembre 2016 attualmente in carica.
L’economia italiana ha registrato ritmi di
ripresa, anche se inferiori al resto dell’Europa, praticamente da pochi mesi.
Vediamo qual è stata l’evoluzione dei più importanti indicatori in questi
cinque anni. Il Pil è aumentato
globalmente, nella passata legislatura, dell’1,7%, pari a circa lo 0,3%
all’anno. Ricordando che nella legislatura 2008 – 2012 era retrocesso
complessivamente del 6%, possiamo affermare che nell’attuale legislatura siamo
passati da una fase di recessione ad una condizione di stagnazione. Stesso
andamento per l’inflazione che ha registrato nell’ultimo quinquennio una
crescita complessiva del 2,7%, pari a una media annuale di aumento dei prezzi
di poco più dello 0,5%. Per contro notevole è stato l’aumento del debito
pubblico, sia in termini assoluti che in rapporto al Pil, passato da 2034 a
2290 miliardi di euro e dal 120% al
133%, aumentando con un ritmo medio di
circa 4 miliardi al mese mentre lo spread, il differenziale di rendimento tra i
BTP italiani e i Bund tedeschi, è sceso dai 317 basic point di inizio
legislatura agli attuali 156 . Anche i rendimenti dei nostri decennali hanno
registrato una discesa dal 4,6% a circa il 2% grazie alle politiche monetarie
espansive della Bce che ha inaugurato, dopo il 2014, il quantitative easing. La
crescita zero non ha favorito l’occupazione rimasta praticamente al palo, i
nuovi occupati sono aumentati in questi cinque anni di 334mila unità, in
termini assoluti si è passati da 22.674.000 occupati di inizio legislatura agli
attuali 23.080.000. Qualcosa di positivo possiamo tuttavia registrarlo. Il calo
dell’euro rispetto al dollaro ha favorito le nostre esportazioni, con saldi
postivi della nostra bilancia commerciale che nel 2016 ha registrato un record
di avanzo commerciale di 51,6 miliardi pari al 3% del Pil, e nel quinquennio ha
toccato il valore complessivo di 212 miliardi pari al 12,5% del Pil attuale.
Anche la borsa si è ripresa, è cresciuta in questi anni del 37%.
I provvedimenti
legislativi che hanno avuto un grande impatto sull’economia sono stati cinque.
Il governo Letta, con
la Legge di Stabilità del 2014 ha istituito la Tasi, la Tassa sui servizi indivisibili, anche sulle prime
abitazioni. Una parte dell’onere della Tasi viene caricata anche sul locatario
in quanto soggetto usufruente dell’immobile, mentre il Comune ha diritto a
trattenere la metà del gettito complessivo. Con la Legge di Stabilità del 2016 è
stata abolita la Tasi sulle prime abitazioni.
Il governo Renzi ha
esordito con la legge degli 80 euro
in busta paga, avente lo scopo di aumentare il potere di acquisto degli
italiani. Gli 80 euro vengono erogati all’inizio ai soli lavoratori del settore
privato, con reddito minimo lordo annuo di 8.000 euro e massimo di 24.000, ma
con la Legge di stabilità del 2015 sono estesi anche ai dipendenti pubblici.
Sul piano formale si tratta di una detrazione fiscale. Il provvedimento ha
avuto un’enorme popolarità e molti ritengono che si deve ad esso il clamoroso
risultato ottenuto dal PD alle europee del maggio 2014.
Il Jobs Act, riforma sulla legislazione del lavoro, viene introdotto
con due leggi del 2014 attuate nel 2015. E’ stato forse il provvedimento più
significativo di questa legislatura. Crea tutele crescenti e consente alle
imprese private di assumere dipendenti a tempo indeterminato senza l’obbligo,
per i primi tre anni, di essere sottoposte all’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori e prevede, quale incentivo per le imprese, totale decontribuzione
sempre per i primi tre anni dalla data di assunzione.
Il 22 novembre 2015 il
governo Renzi, in sintonia con la Banca d’Italia vara il Decreto salvabanche. Con questo provvedimento vengono salvate
quattro banche sull’orlo del fallimento, Banca Etruria, Banca Marche, Carife e
Carichieti. Le azioni e le obbligazioni subordinate vengono azzerate,
anticipando la norma sul “bail in” prima dell’entrata in vigore previsto per il
gennaio 2016. Gli Npl o crediti deteriorati vengono svenduti al 17,5% del loro
valore iniziale scatenando una crisi di sfiducia su tutte le banche nazionali
che avevano iscritto a bilancio gli Npl al 40% del loro valore nominale.
Migliaia di piccoli risparmiatori sono rovinati e iniziano una campagna di
proteste contro il governo. Questo provvedimento ha segnato l’inizio della
crisi del renzismo.
Il Decreto salvarisparmio è stato varato dal governo Gentiloni
succeduto all’esecutivo guidato da Renzi dopo la bocciatura delle riforme
costituzionali. Programma lo stanziamento di 20 miliardi di euro per il
salvataggio di Mps e le banche venete Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Gli
strascichi di questi salvataggi hanno animato l’ultimo scorcio della
legislatura, nelle udienze della Commissione parlamentare di inchiesta sul
sistema bancario e finanziario, nella quale sono stati auditi i top manager
delle banche salvate, il presidente Consob e il governatore di Bankitalia.
Riguardo al futuro ci
sono segnali che il 2018 sarà gravido di novità politiche per l’Europa. E’opinione
diffusa che sarà l’anno di importanti riforme propiziate in qualche modo dalla
Brexit e dalla sconfitta elettorale di Marine Le Pen, da sempre elementi
frenanti all’attuazione di processi integrativi in seno all’Unione. Ma quale
modello di Unione si vuole costruire? Ci sono diverse proposte come
l’istituzione di un Ministro delle Finanze unico dell’area euro, la
trasformazione del Fondo Salvastati ESM in un vero Fondo Monetario Europeo, la
necessità di costruire una difesa comune europea superando gli eserciti
nazionali, e in tema di sicurezza, di una comune intelligence antiterrorismo.
Numerose sono le proposte, tra queste quella sostenuta da un gruppo di
economisti coordinati da Prodi, un piano da 150 miliardi di euro mirante a realizzare
un New Deal nel campo dimenticato delle infrastrutture sociali come la salute,
l’istruzione e l’edilizia pubblica. L’Italia, uno dei più grandi e popolosi
paesi dell’Unione, è rimasta finora in disparte, alla finestra senza
intervenire, cercando di capire le vere intenzioni di Germania e Francia. Non
potrà continuare a restare muta al tavolo delle nuove riforme senza avanzare o
discutere proposte e soluzioni, sarebbe devastante subire solo l’iniziativa
altrui.
Ferruccio De Bortoli,
nell’editoriale apparso sul Corriere della Sera di sabato 23 dicembre, sostiene
che esiste un denominatore comune nei partiti che animano la campagna
elettorale, l’amore per il deficit e l’odio per il debito inteso come
accettazione del Fiscal Compact, divenuto lo spauracchio della politica
italiana, e questo costituisce un comportamento pericoloso perché, con queste
premesse, l’Europa non ci garantirà per il futuro né margini di manovra né
tantomeno flessibilità. Non sappiamo come finirà per la Germania, se avrà un
nuovo governo di Grosse Koalition o se l’Spd, non accettando l’alleanza con la
Cdu, inaugurerà un periodo di incertezza e instabilità. In ogni caso a quel
punto non sarà certo il Bund ad entrare in crisi, ma a ballare saranno i nostri
Btp che già venerdì scorso sono tornati, per la prima volta da ottobre, sopra
il 2% di rendimento. Negli ambienti finanziari, come ci informa Federico Fubini
sempre sul Corriere, è cosa nota che ormai l’unico acquirente dei nostri titoli
sovrani sia ormai solo la Bce perché tutti gli altri investitori se ne stanno disfando
in quanto i tassi del nostro debito, nel mondo reale, al di fuori del quantitative
easing, non sarebbero certo quelli di adesso. Cosa accadrà a settembre, quando
il Qe finirà? Davvero pensiamo di piazzare i nostri bond sovrani sul mercato ai
tassi di interesse accettati attualmente dalla Bce? Quanto verrà a costarci il
servizio del debito? Non ci vuole molto per capire che si tornerà a ballare. Ma
questo lo avranno capito anche i nostri partiti che nei loro programmi elettorali
presentano proposte sontuose e costosissime?
Dal 2011 i problemi
italiani, e in particolare quello del debito, non si sono risolti, anzi ulteriormente
aggravati dall’imponente massa dei Npl che incombe sul sistema delle nostre
banche. Ecco che cosa attende il futuro governo: conti pubblici molto
problematici, al netto di tutti i proclami, ricette miracolose e quant’altro su
ripartenze della nostra economia. Stiamo andando al voto consapevoli che il
nostro destino non sarà deciso a Palazzo Chigi o in via XX Settembre, chiunque
vinca il 4 marzo. Dipendiamo da altri e ognuno di noi sa bene che significa
questa condizione.