L’umanità
tutta, che abita la terra e che vediamo malata gravemente, si può curare
soltanto con continui impacchi d’amore.
Noi,
in generale, parliamo molto dell’amore. La parola “amore” , in tutte le sue
molteplici accezioni, è un termine abusato a tal punto che se n’è logorato il
significato, se ne è perduta l’essenza autentica, e la si cita ormai
impropriamente in un qualunque contesto. È come sognare una festa sull’aia
mentre piove. D’ogni erba se ne fa un fascio, includendovi finanche il suo
contrario, E lo si fa allegramente, senza alcuna discrezione, partendo da ogni
moto del cuore e da ogni minimo palpito che ce lo fa sentire in bocca.
Martellante,
adrenalinico, vivificatore.
Senza
adrenalina non riusciamo più a vivere e ci pare che così, se non ci diamo una
“mossa di vita”, tutto venga appiattito sulla mediocrità dell’uomo qualsiasi,
che consideriamo un autentico morto che cammina (detto anche “zombi”). E,
ovviamente, inventiamo di “tutto”, sperando che questo inimmaginabile “tutto”
abbia la capacità di farci trasalire e palpitare anche soltanto una volta, ci
accontentiamo. “Una dose adesso, subito, e domani si vedrà”. Ciascuno va a
cercare nel campo che gli è più vicino, ma tutto ciò che inventiamo lo bruciamo
in un attimo ed è naturale che ogni
mattina si abbia bisogno nuovamente di qualcosa di inedito e di sempre più
folgorante per avere la forza di arrivare a sera, trascinandoci sulle nostre
grucce malandate, ormai prive di una qualunque energia esistenziale e
creatrice, ormai incapace di accendere un qualsiasi moto profondo dell’anima,
ammesso che (parlando in termini convenzionali) l’anima esista.
In
realtà l’uomo è in apnea perché se da una parte egli si dibatte in una
solitudine desolata e senza confini, dall’altra mi auguro che stia finalmente
comprendendo che per alleviare la sua condizione e per sconfiggere la sua
ancestrale solitudine non basta qualche social app sullo
smartphone e ticchettare ad ogni fermata di cane (scusate la volgarità).
Ma
se gli togliamo anche la virtual life, cosa mai gli rimane?
Povero,
piccolo uomo, prigioniero delle sue stesse paure! Povera, piccola donna, che
tanto lotta per i diritti del suo genere contro mostri di pietra.
Povero
piccolo uomo abbandonato a sé stesso ... Così inerme davanti alle spietate
regole di una società in mano a gente senza scrupoli che insegue solo quello
che considera il proprio tornaconto e che si perde sempre più negli abissi
bui degli idoli che egli stesso,
disperatamente, si fabbrica. Stiamo qui sulla terra a pestarci i piedi l’un
l’altro per conquistare quel poco di calore che basta a farci sopravvivere
durante quell’istante che costituisce la nostra vita: sì, perché abbiamo
ridotto la nostra vita ad un istante che come meteora passa inosservata
nel cielo. Abbiamo perduto qualsiasi alito di luce, qualsiasi sottile soffio di
infinito.
Quello
che ci manca, affermiamo tutti, è la “sicurezza”: la sicurezza fisica,
economica, affettiva. Vorremmo un governo centrale che ci faccia uscire dai
pasticci, che ci aiuti quando siamo malati, o quando ci manca il lavoro, o
quando ci sentiamo abbandonati, anche se ben sappiamo, in fondo in fondo, che
siamo nati abbandonati, che abbiamo vissuto da abbandonati e che sicuramente
moriremo da soli, in uno stato di abbandono che per alcuni forse sarà un
tantino malinconico. Siamo venuti al mondo nudi e moriremo nudi. Non c’è scampo
con siffatta ignoranza che ci portiamo addosso..
Caro,
caro piccolo uomo, la cui unica dimensione conosciuta è la dimensione della
sofferenza, del dolore, della solitudine e della mancanza di sicurezza a tutti i livelli. Tu non conosci più la
gioia. Ti sei smarrito in un centro commerciale, e come un bambino che non
trova la mamma, hai perduto la speranza
di ritrovare la realtà ancestrale che personifica e vivifica ogni tua
sicurezza. Non ridi più come ridevi a otto anni, quando nessun senso di
discrezione o di ritegno ti impediva ridendo di mostrare i denti mancanti. Oggi
scopri come il “piacere” sia l’unica cosa “positiva” alla tua portata, e ti ci
tuffi con tre avvitamenti carpiati, pregustando il sapore e l’estasi del
godimento. Ed è vero, il piacere di fatto ti permette di lenire la tua miseria
interiore. Ma forse ti è permesso di
fuggire la tua sofferenza per un attimo,
uno solo: poi, tutto ritorna come prima, e purtroppo, peggio di prima. I
palliativi e le sostanze inebrianti, invero, aprono le porte delle stanze ove
regnano depressione e sconforto. Ah se tu fossi capace di rendertene conto! Ma
affidandoti al piacere ti sei allontanato in tal misura dalla tua
condizione senza tempo che vivi distratto in cerca di continue distrazioni che
ti facciano dimenticare te stesso e la tua condizione. Chiudi gli occhi e ti
lanci nell’orrido, sia quel che sia: tutt’al più morirai e tutto sarà finito,
finalmente.
Eri
troppo lontano dal tuo cuore e così non ti sei accorto che ciò che ti mancava e
ti manca, è in realtà l’energia che
tutto muove e trasforma, la forza che tutto vivifica nella gioia, la sostanza
di cui è fatto l’intero universo, umanità compresa, ti manca semplicemente la
levezza del vivere. E tutto questo ha un solo nome: si chiama Amore. L’hai
perso di vista da tanto tempo e con l’Amore hai perso di vista la Libertà,
anche se credi di essere libero e te ne vanti al cospetto di tutti, gonfiando
il petto e soffiando truce dalle narici come un toro che carica durante la
corrida.
L’Amore
non ha bisogno di nulla per esistere, c’è e basta, è. Non chiede nulla,
è silenzioso e lontano da ogni attaccamento, lontano da qualsiasi passionale e
irrefrenabile desiderio e necessità di
possedere, di far proprio il proprio oggetto d’amore. L’Amore non ha bisogno di
un oggetto da amare, è uno stato dell’esistere che accoglie la nostra
sofferenza e la vede svanire con la sua sola presenza. L’Amore non è
appagamento di un sogno, è una sostanza che genera la realtà. Ma, soprattutto,
l’Amore illumina tutto, inondando di gioia e di calore perfino il sole.