1948-2018. SETTANT'ANNI DOPO: LA COSTITUZIONE TRADITA.
« Finché
questi articoli( art. 4 e 36 della Costituzione, n. d.r) non saranno veri, non
sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà
garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà
veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa
Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia».
« E'' difficile accettare con animo
leggero il fatto che l’obiettivo della stabilità dei prezzi sia indicato senza
alcun riferimento al livello occupazionale e, dunque, al benessere delle
comunità che si sono date questa nuova Costituzione monetaria. Ho provato
ripetutamente nel corso del negoziato a inserire tra i criteri anche il livello
di disoccupazione… Senza successo».
Guido Carli ( 1993).
E' possibile parlare di un avvenuto tradimento dello spirito e della lettera della
Costituzione della Repubblica italiana? Non è paradossale fare una tale
affermazione proprio in occasione della
celebrazione del suo settantesimo
compleanno? ( la Costituzione fu firmata congiuntamente dall'allora presidente della Repubblica De
Nicolao, dal presidente del consiglio De Gasperi e dal presidente dell'Assemblea
costituente Terracini, il 27 dicembre 1947,
ma entrò in vigore il 1° gennaio 1948).
Non si sono forse succeduti nelle settimane scorse gli atti celebrativi di questo anniversario,
atti celebrativi a cui televisioni e giornali hanno generosamente dato risalto, e tra cui
hanno fatto spicco quelli del
giudice costituzionale e già presidente del consiglio Giuliano Amato, del presidente della Repubblica Mattarella e
del presidente del consiglio Gentiloni?
Si vuole forse qui insinuare che tali atti
celebrativi e confermativi del ruolo tutt'ora cogente della nostra Costituzione
si presentino, in termini platonici , come «sofistica», ossia come
meri esercizi retorici e demagogici che nascondono la verità
sull'effettiva possibilità che la carta costituzionale possa tutt'ora essere la
nostra stella polare? E poi, un tale
giudizio negativo sull'effettiva attuale cogenza della nostra carta
costituzionale non contraddice il fatto che,
poco più di un anno fa ( il 4 dicembre 2016), è stato sconfitto, mediante referendum popolare, il tentativo di riformare alcuni articoli
importanti della seconda parte della costituzione , quella che disegna la
fisionomia e il compito delle principali istituzioni dello Stato italiano? Sono
tutti interrogativi legittimi a cui la gravità di un giudizio di tradimento della
costituzione è tenuta a rispondere.
Cominciamo dall'ultimo. In effetti tra i propositi che
perseguiva la Riforma costituzionale Boschi, accanto a
un prospettato rafforzamento del potere dell'esecutivo a scapito del potere legislativo e
giudiziario, o a una controriforma dell'obbrobriosa Riforma del Titolo
quinto, del 2001 , sulle autonomie e
competenze degli enti pubblici
territoriali( Regioni e Provincie), controriforma che nè risolveva « quel pasticciaccio brutto» nè
avrebbe superato i conflitti di competenze e autorità tra Stato centrale e enti
locali, vi era quello di assegnare al senato un ruolo diverso rispetto alla
camera dei deputati accentuandone alcune funzioni ritenute particolarmente«
insidiose» per la tenuta della nostra sovranità nazionale da parte di costituzionalisti e giuristi critici
di tale progetto.
Proprio quelle prospettate nuove funzioni
assegnate al nuovo Senato avrebbero
costituito un vulnus sulla sovranità della
nostra costituzione. Basterebbe prendere il testo di riforma dell'articolo 55
della Costituzione, nei seguenti passaggi:
« Il Senato della Repubblica rappresenta le
istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli
altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione
legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché
all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti
costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle
decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle
politiche dell'Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività
delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione
europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di
competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare
l’attuazione delle leggi dello Stato ».
O ancora alcuni passi della riforma
dell'Articolo 70:
«La funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due camere ( dunque anche dal nuovo senato,ndt,)
per............ la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i
termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della
normativa e delle politiche dell’Unione europea, ........I disegni di legge di
cui all’articolo 81, quarto comma,( articolo che introduce l'obbligo del
pareggio di bilancio in Costituzione, ndt,)
approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica,
che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data
della trasmissione....».
Il senso di tali passi dei due articoli in
questione si chiariva completamente comparandoli alla premessa, La relazione
illustrativa, della Riforma costituzionale
a firma di Maria Elena Boschi:
« Lo spostamento del baricentro decisionale
connesso alla forte accelerazione del processo d'integrazione europea e in
particolare l'esigenza di adeguare l'ordinamento interno alla recente
evoluzione della governance economica europea da cui sono discesi tra
l'altro l'introduzione del semestre europeo e la riforma del patto di stabilità
e crescita, e alle relative stringenti regole di bilancio,quali le nuove regole
del debito e della spesa, le sfide derivanti dall'internazionalizzazione
delle economie e dal mutato contesto della competizione globale e l'esigenza
di coniugare quest'ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della
finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali, il complesso di
questi fattori ha dato luogo a interventi di revisione costituzionale».
Si trattava evidentemente, manifestato anche con
una certa dose di candore, di
assegnare al senato riformato il ruolo di guardiano dell'applicazione delle
norme dei Trattati dell'Unione Europea , sia quelle già stabilite , sia quelle
in futura elaborazione da parte della Commissione Europea, all'interno
dell'attività ordinaria delle istituzioni dello Stato italiano, ossia di
costituzionalizzare le regole e le istituzioni dell'Unione europea, esautorando
non solo nei fatti ma anche nella forma codificata la sovranità della nostra
Costituzione.
Ma, tirato un sospiro sollievo per il fallimento
di un tale progetto di riforma ,
s'intende qui argomentare che «nei fatti» il tradimento e la violazione della nostra carta costituzionale
erano già avvenuti , a partire dalla firma dei Trattati Europei fondativi di
Maastricht , seguiti poi dai Trattati confermativi di Lisbona, dai trattati di
materia di politiche economiche successivamente ratificati dai paesi membri
della Ue noti sotto il titolo di Fiscal Compact per finire( per il
momento) all'applicazione dei regolamenti della nuova Unione Bancaria Europea(
UBE) tra cui il«famigerato» Bailin.
Nel momento
in cui ha ratificato i trattati costitutivi dell'Unione europea di
Maastricth nel 1992 e poi tutti gli altri a seguire, l'Italia ha accettato il«vincolo esterno» e
cioè di subordinarsi all'autorità delle
leggi e delle istituzioni dell'Unione Europea, esautorando« di fatto» la sovranità
della nostra costituzione. Di fatto e non anche nella forma perché
in teoria in qualsiasi momento l'Italia potrebbe decidere di recedere e
uscire dall'Unione Europea , secondo quanto previsto e stabilito dall'articolo
50 del TUE( Trattato dell'Unione Europea) e riacquistare la piena sovranità della sua Costituzione,
mentre se la Riforma costituzionale avesse vinto all'appuntamento referendario
del 4 dicembre
2016, si sarebbe poi dovuto indire un nuovo referendum per abrogare
la costituzionalizzazione diretta dei vincoli europei.
Quello scampato pericolo non deve però
distogliere l'attenzione dalla condizione coatta a cui sottostà la sovranità
costituzionale del nostro Stato
nazionale da ormai un quarto di secolo.
Qualche «anima bella», a dirla in termini hegeliani, potrebbe domandare: quale sarebbe il problema , anche se fosse
avvenuta una cessione di sovranità dello Stato italiano alle Istituzioni e
regole sovranazionali dell'Unione e dei
Trattati europei? Non contemplano forse i Trattati della Ue una Carta dei diritti
fondamentali che si richiama ( in
verità in forma assai meno avanzata ) agli stessi principi dei diritti
universali dell'uomo proclamati ad es. nell'articolo 2(«La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, ...»)
e articolo 3 della nostra Costituzione(« Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali ...») ?
A costoro bisognerebbe però immediatamente fare
alcune osservazioni. La prima è che la
nostra Costituzione non acconsente in alcun modo a cessioni della sua
sovranità ma unicamente: «
....consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace
e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo»( art. 11) .Ora si potrebbe chiedere agli
europeisti idealisti se l' assoluta assimetria venutesi a creare nelle
condizioni politiche ed economiche tra i diversi Stati membri della UE, a seguito
dei Trattati e delle istituzioni
europee , possa corrispondere al
principio di limitazioni di sovranità in condizioni di
parità con gli altri Stati allo scopo della pace e della giustizia tra i
popoli.
Bisognerebbe inoltre ricordare che qualsiasi reato contro la personalità
giuridica dello Stato è punita dal nostro codice penale, e la cessione di sovranità è un reato contro la natura stessa dello Stato:
non esiste Stato nazionale se esso non
può esercitare la sua sovranità giuridica e istituzionale su un
popolo e su un territorio delimitato da confini. Più in generale la nostra
Costituzione prevede che i suoi principi fondamentali, i primi 12 articoli, non
sono emendabili, perché costituiscono i lineamenti fondamentali immutabili
della forma repubblicana. Fare un'azione che va contro tali principi sarebbe
un' atto eversivo della forma democratica dello Stato. «Sì,
d'accordo» potrebbe insistere qualcuno«ma comunque quella Carta dei
diritti fondamentali esiste nei
Trattati europei e dovrebbe rassicurarci almeno sulle intenzioni, magari
travisate, magari deviate nella loro applicazioni, ma a cui comunque ci si possa sempre appigliare in una
controversia giuridica internazionale , per
far valere quella direttiva generale».
Effettivamente quella Carta è sancita
dall'articolo 6 ,primo comma del TUE( Trattato sull'Unione Europea,
compendio dei Trattati fondativi di Maastricht e dei Trattati confermativi di
Lisbona) con le seguenti parole:«L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti
nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000,
adattata il 12
dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei
trattati».
Però subito dopo aggiunge:« Le disposizioni
della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei
trattati». E ancora al secondo comma
di quel medesimo articolo 6 viene ribadito:« L'Unione aderisce alla convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»
ma immediatamente si precisa che«tale adesione non modifica le competenze
dell' Unione definite nei trattati».
Ma quali
sono queste famose competenze dell'Unione che non devono subire interferenze o
modificazioni giuridiche da parte dei
principi della Carta dei diritti fondamentali ? Già l'articolo 3,
comma 3, del Trattato sull'Unione
europea ne chiarisce lo spirito generale in modo alquanto eloquente:«
L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile
dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità
dei prezzi, su un' economia sociale di mercato fortemente competitiva, che
mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di
tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il
progresso scientifico e tecnologico».
Al di là della contraddizione terminologica
insita nella definizione di«economia sociale di mercato » l'accento sul«
fortemente competitiva», a vent'anni
dall'adozione di tale modello ( adozione dell' Ecu, regime di cambi fissi, nel 1997), si è manifestato più nei rapporti interni tra i sistemi economici nazionali degli Stati membri della Ue , ( e in particolare
del mercantilismo tedesco nei confronti del resto d'Europa) che al suo esterno;
in questo contesto l'affermazione della forte competizione è servita ad abbattere
le protezioni sociali e ad affermare la deregulation o il lassez
faire economico.
Se poi andiamo al Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea dove sono esplicitate le istituzioni della Ue e le loro
specifiche competenze, e in particolare
nella parte relativa alla Politica economica e monetaria ,all'articolo
119, primo comma, troviamo la
seguente enunciazione:« Ai fini enunciati all’articolo
3 del trattato sull’Unione europea, l’azione degli Stati membri e
dell’Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l’adozione di una
politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di
obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato
aperta e in libera concorrenza». Già qui sono spariti i riferimenti
all'«economia sociale » , alla«piena occupazione» e al «progresso sociale».
Ma è il secondo comma del medesimo
articolo che definisce le regole fondamentali: «Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste
dai trattati, questa azione comprende una moneta unica, l’euro,
nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una
politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di
mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di
sostenere le politiche economiche generali nell’Unione conformemente al
principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Quindi il
mantenimento della stabilità dei prezzi, e cioè la lotta( preventiva )
all'inflazione, diventa l'obiettivo principale, a cui le stesse «politiche economiche generali»
ispirate al «principio di un’economia di mercato aperta» e «in libera concorrenza» devono essere
subordinate.
Il comma 3 del medesimo articolo 119 non fa che ribadire gli stessi
principi:« Queste azioni degli Stati
membri e dell'Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi:
prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia
dei pagamenti sostenibile»( ossia senza uno squilibrio pronunciato tra
importazioni ed esportazioni all'interno di un paese, ndt.).
La istituzione europea detentrice
del potere di fare le leggi e di attuarle , potere legislativo+potere esecutivo
, la Commissione europea , i cui componenti, i commissari alle
differenti materie di governo, non sono direttamente eletti dai cittadini
europei ma unicamente dai capi di stato e dai primi ministri dei governi
nazionali, non fa che seguire questi principi generali e attuarli in modo
zelante e rigoroso. La Banca Centrale Europea, che come tutte le banche
centrali detiene il monopolio assoluto di creazione, emissione, e distribuzione
della moneta unica, l'euro, si attiene al mandato che gli è assegnato
dall'articolo 123, comma 1, del Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea:
«
Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra
forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea
o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate "banche centrali
nazionali"), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle
amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad
altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri,
così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della
Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».
Questo divieto di farsi creditore in
ultima istanza degli Stati nazionali o
degli enti pubblici di grado via via inferiore dei singoli Stati( regioni,
provincie e comuni) viene ribadita
all'Articolo 124:« È vietata qualsiasi misura, non basata su considerazioni
prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi
dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri
enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche
degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie».
Precedentemente , il comma 2
dell'articolo 123 , precisava a chi devono andare i crediti a tassi agevolati della Bce ( o tramite acquisto di titoli di
Stato o privati – azioni e obbligazioni – o tramite prestiti a interesse a breve
o media scadenza) con cui essa immette liquidità nell'economia :« Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano
agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di
liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali
nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti
creditizi privati».
Dunque gli enti creditizi di proprietà pubblica, le banche a statuto pubblico,
là dove ce ne fossero( consistenti in Germania , ridotti al lumicino in Italia)
devono ricevere crediti al pari delle banche private.
Ogni Banca centrale del mondo è
tenuta a gestire e sorvegliare l'emissione della propria moneta nazionale per
evitare che un eccesso di moneta in circolazione in rapporto alla quantità di
beni e servizi esistenti in un determinato mercato possa procurare fenomeni
d'inflazione( almeno secondo il caso classico di scuola teorizzato dal
neoliberismo).
Ma nessuna Banca centrale al mondo,
con la cospicua eccezione proprio della Bce , si attiene esclusivamente a tale mandato
preventivo dell'inflazione senza contemplare anche la prevenzione del fenomeno
opposto ossia la recessione economica portatrice di deflazione monetaria (
rarefazione della circolazione di moneta) e a cascata riduzione degli investimenti, della
produzione, dei salari, dei prezzi e
infine dei consumi con l'unico segno + , l'aumento della disoccupazione. La
doppia ottica determina invece il
mandato duale della Federal Reserve statunitense, prevenzione
dell'inflazione + concessione di crediti
al ministero del tesoro per il sostegno all'occupazione, e analoghi
statuti per la Banca centrale d'Inghilterra o per la Banca centrale del
Giappone, tutte Banche«dipendenti» dai loro Governi Nazionali , mentre la Bce è
indipendente dagli Stati europei ma non dal suo consiglio di amministrazione
costituito dalle maggiori banche private.
Inoltre l'articolo 126 stabilisce
che :« Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi » .
La Commissione Europea sorveglia l'andamento del debito pubblico degli Stati
membri e la loro disciplina di bilancio e che vengano contemplati in particolare i seguenti criteri riportati
in Protocolli aggiuntivi:1) il rapporto tra deficit pubblico (disavanzo
tra entrate e uscite annuali dello Stato ) e Pil( prodotto interno lordo) annuo non superiore al 3% ; 2) il rapporto tra
debito pubblico di uno Stato ( il totale dei suoi deficit annui ) e il Pil
annuo non superiore al 60%. Questo secondo criterio è visto come meta ideale
a cui devono tendere tutti gli Stati
membri della Ue , non rientrando pressochè nessuno entro quei limiti, ma
differenziandosi per chi vi è più vicino o più lontano.
Questa gerarchia degli obiettivi
delle politiche economiche e monetarie viene quindi ribadito dall'articolo 127
del TFUE:« L’obiettivo
principale del sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato
Sebc, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo
della stabilità dei prezzi, il Sebc sostiene le politiche economiche
generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi
dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea».
Se la lotta alla disoccupazione
diventa secondaria rispetto alla stabilità dei prezzi intesa come lotta
preventiva all'inflazione, questo obiettivo porta a scartare , come
potenzialmente inflazionistiche,
politiche attive del lavoro, e cioè
politiche di investimenti pubblici
nell’economia. La gerarchia stabilita
di obbiettivi esige tale rifiuto.
Ulteriori trattati europei di
materia economica e monetaria firmati tra il 2011 e il 2012, Six Pack , Mes
( Meccanismo europeo di stabilità detto anche Fondo salva Stati) e
il cosiddetto Fiscal compact hanno inasprito le politiche economiche
dell'Unione Europea, realizzando politiche di austerity controproducenti, in epoca di grave recessione economica,« procicliche» invece che« anticicliche», con cui ha viaggiato in parallelo
una revisione peggiorativa degli stessi criteri e parametri stabiliti a
Maastricht: il limite di deficit
consentito in situazioni normali non era più fissato al 3 per cento del
prodotto interno lordo ma doveva essere pari a zero,e cioè tendere al pareggio
di bilancio annuo, mentre per il debito
pubblico veniva fissata una soglia di
riduzione annua pari al 5 per cento della parte eccedente il 60 per cento del
prodotto interno lordo. Misure totalmente irrazionali e irreali rispetto a ciò che il contesto della crisi
della Zona Euro esigerebbe.
L'Unione Bancaria europea e il Bailin, nuovo meccanismo di salvataggio di Banche in
default, non più affidato al risanamento da parte dello Stato nazionale, ma
scaricato sulle spalle degli investitori e clienti di quell'istituto bancario, e in particolare nell'ordine sui
suoi azionisti, obbligazionisti e correntisti, ma singolarmente non sui
suoi banchieri, i suoi funzionari più alti di grado o sugli
organismi di controllo( Banca Italia e Consob), ha completato (per il
momento) la legislazione europea , ossia
quelle«competenze » di funzionamento dei Trattati europei che sono esentate da
qualsiasi interferenza da parte dei principi esposti nella Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea.
Come si è visto si è dimostrata
inconsistente la leggenda secondo cui prima dei Trattati europei approvati dal 2011 in poi, ( Six Pack,
Mes, Fiscal compact, UBE, Bailin) l'architettura di principi, regole e
istituzioni cogenti della Unione europea in materia di Politiche economiche e
monetarie, istituzioni a cui agli Stati membri devono assoggettarsi, principi e
regole che devono essere seguiti scupolosamente, pena in caso contrario l'attuazione
di procedure d'infrazione e relative
pesanti sanzioni pecuniarie, fosse compatibile con quella Carta dei diritti fondamentali. Al contrario quest'ultima ha dimostrato
di non avere alcun valore cogente di legge.
Il modello costituzionale della Ue
si rivela così essere sideralmente
lontano, anzi polarmente antitetico a quello della Costituzione della Repubblica democratica
italiana. Potremmo definire il modello politico, sociale ed economico sovranazionale europeo una ripresa di un capitalismo ante crisi del
1929, nel quale lo Stato ha un ruolo
marginale, che è vincolato dal sistema aureo ed è ispirato alla filosofia del laissez-faire. Forte concorrenza”, “stabilità dei
prezzi” e “indipendenza della Banca centrale” dai governi sono i principi sovraordinatiagli altri dai trattati europei . A questi si aggiunge la «
denazionalizzazione » della moneta unica denominata euro, che era il sogno
vagheggiato dal caposcuola del pensiero liberista Von Hajek, perché per
lui la denazionalizzazione della moneta
rappresentava il modo per sganciare l’emissione di moneta dai governi, che in
tal modo non avrebbero più avuto a disposizione la leva della creazione di
moneta da parte della banca centrale per finanziare l’intervento pubblico
nell’economia.
Moneta straniera + Banca centrale indipendente+ Commissione europea
rappresentano poi l'assurgere del modello liberista alla sua massima configurazione di potere giuridico-politico e
cioè la sua«sublimazione » in« ordoliberismo», che fa del liberismo un modello di
Stato sovranazionale dotato d'imperio di leggi e procedure che ha nel
monopolio del potere economico la sua
cogenza.
Se lo confrontiamo con il modello della
Costituzione della Repubblica italiana, ci troviamo su una posizione
diametralmente opposta. Se vogliamo dare una definizione di che cosa sia la
nostra Costituzione , quale sia il modello economico e sociale che essa porta
avanti come esito di un lungo processo storico,
lo troviamo nelle parole
dell'economista statunitense
Hyman Minsky:« Il processo per cui un sistema che
possiamo caratterizzare come un capitalismo nel quale lo Stato aveva un ruolo
marginale, che era vincolato dal sistema aureo ed era ispirato alla filosofia
del laissez-faire, fu sostituito da
un capitalismo interventista nel quale lo Stato ha un ruolo rilevante e che è
reso flessibile grazie all’azione della banca centrale».
Questo modello di«capitalismo
interventista » che prevede un ruolo centrale di regolatore dell'economia da parte dello Stato si oppone diametralmente
al modello liberista che lascia al
mercato il compito di regolare l’attività economica. Il capitalismo
interventista previsto nella nostra Costituzione si arricchisce del concetto
dinamico di«democrazia progressiva» per il quale il compito della democrazia è quello di promuovere l'eguaglianza e la
libertà dei cittadini.
Che cos'è dunque la nostra Costituzione ? E' lo
sforzo da parte dell'Assemblea Costituente di affermare la «democrazia
sostanziale » e non meramente formale; poiché la democrazia formale o liberale
, come sosteneva il giurista e costituzionalista Mortati,« non è una vera democrazia», la
«democrazia o è sociale, e cioè include i diritti sociali, o semplicemente non
è». L'uguaglianza sostanziale dei cittadini a cui mira la nostra Costituzione
prevede, come magnificamente si esprime il giurista e magistrato Luciano
Barra Caracciolo «un progetto di
democrazia "necessitata" e cioè l'obbligo da parte dello Stato di
"rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto
la libertà e l'eguaglianza dei cittadini", etc( articolo 3)».
Ossia, precisa Caracciolo:«Lo Stato deve risolvere il conflitto sociale che viene scatenato
all'interno degli ordinamenti di economia capitalistica, per la sua
intrinseca visione del mondo, da quella
oligarchia ristretta che detiene il
controllo dell'economia . I nostri padri costituenti erano perfettamente
consapevoli che il centro di gravità del
conflitto sociale è il mercato del lavoro. Come si fa a risolvere il conflitto
sociale regolando il mercato del lavoro? Garantendo la piena occupazione.
Certamente tale obbiettivo non può essere
raggiunto per decreto del governo o per legge parlamentare ma attraverso
politiche economiche d'intervento dello Stato, e cioè «politiche keynesiane»
come precisò l'economista Federico Caffè, consulente economico di Meuccio
Ruini, allora presidente del Gruppo dei 75, coloro che scrissero effettivamente
la Costituzione.
Entrambi,
Ruini e Caffè, furono anche
membri delle due fondamentali
commissioni – Commissione
Economica per la Costituente e Commissione per la costituente per i
problemi del lavoro– che fecero
riferimento oltre che a Keynes, a Beveridge ( già ministro degli interni del
governo Churchill durante la guerra ) e al suo famoso Rapporto in cui si
istituisce il mercato del lavoro non merce, non soggetto esclusivamente al
meccanismo della domanda e dell'offerta.
Il conflitto sociale sul mercato del lavoro per gli estensori della nostra Costituzione si risolve innanzitutto,
ricorda Caracciolo, « ponendo dei
principi concettuali e giuridici quali quelli formulati nei seguenti articoli. L' articolo 1, " La
Repubblica è fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo...."( intendendo un popolo di lavoratori,
qualsivoglia lavoratori senza distinzione tra lavoratori salariati o
lavoratori autonomi , di qualsivoglia
forma di lavoro purché non fondato sulla rendita finanziaria). L'articolo 3,
secondo comma : " E' compito della Repubblica ( governo e parlamento,
ndt) rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese". Questa
formulazione coincide con la seconda parte dell'articolo 4: "La
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto". E in che modo la
costituzione poteva rendere effettivo il diritto al lavoro?Attraverso la
costituzione economica, materia del Titolo II della parte prima della
Costituzione, Rapporti economici ( art. 35-47).
Caffè confermò che l'obbligo di attivazione
della Repubblica si esplicava in questa sezione economica della Costituzione.
Si parte dalla tutela del lavoro in ogni sua forma( art. 35), si passa
per "Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a
sè e alla sua famiglia un'esistenza
libera e dignitosa" ( art.36), o per" L'economia privata è
libera. Non può svolgersi in contrasto con
l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali"( art.41), e si finisce con" La Repubblica
incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; coordina e controlla
l'esercizio del credito"( art.47) il che significa che lo Stato deve
detenere il potere monetario e di
indirizzo dell'economia. Tutta l'attività
della Repubblica volta ad affermare il diritto al lavoro, quale fondamento della sovranità popolare , è
inderogabile. In questa ottica lo Stato dovrà agire attraverso tutta una
serie di strumenti in cui saranno
ricalibrati i mezzi ma non ricontestabili
i fini , e cioè il perseguimento della piena occupazione, secondo il
modello dell'economia keynesiana».
Si è voluto riportare per intero
l'argomentazione di Luciano Barra Caracciolo perché illuminante in modo
inequivocabile su quale sia la sostanza
della nostra Costituzione , cioè una democrazia del lavoro sostanziale,
una democrazia fondata innanzitutto sui diritti sociali. A questo punto si
palesa in tutta la sua evidenza la distanza siderale che da questo modello
presenta quello adottato dai Trattati europei, un modello non più di democrazia
ma di oligarchia dei poteri economico-finanziari alleati al progetto economico
mercantilista, e cioè di colonizzazione economica degli altri Paesi Membri
dell'Unione Europea, da parte della Germania( con il tentativo della Francia,
per lo più velleitario, di essere un
partner alla pari).
Il tradimento ai danni della nostra
Costituzione, quale esautoramento della sovranità dello Stato nazionale a
favore di autorità sovranazionali non
democratiche, un tradimento che si è
tradotto nei termini materiali di sofferenza, di disoccupazione e
impoverimento di milioni di persone nel nostro paese a partire in particolare
dalla crisi di debito privato del sistema finanziario del 2008, trasformato in
crisi del debito pubblico da parte dell'Unione europea dal 2010 in poi,
e scaricato così sui bilanci degli Stati membri dell' Eurozona , è
inequivocabile.
Per invertire la rotta ci vorrebbero forze politiche di governo che fossero in grado di assumersi il gravoso compito di fronteggiare questa
situazione, e per fare questo ci
vorrebbe innanzitutto una conoscenza approfondita di natura economico-giuridica dei problemi esistenti ma anche una corrispondente volontà politica
, il che comporterebbe il coraggio di scontrarsi con quei poteri oligarchici
che non solo hanno egemonizzato i posti
chiave dei nostri« governanti europei »,
ma che hanno ormai infiltrato anche le fila della nostra classe politica
nazionale, trasversalmente all'intero arco delle forze partitiche , da destra a
sinistra.
A questo progetto di dominio dell'oligarchia
economico-finanziaria, anzi della sua« rivincita» è essenziale il supporto dell 'opera
di«formattazione» delle coscienze dei cittadini, dell'opinione pubblica, da
parte di quel«clero» d' intellettuali e di giornalisti del sistema dei media
che se non proprio come il«migliore dei mondi possibili » fa passare il messaggio che è comunque« l'unico mondo possibile» ,che «There is no
alternative » , come direbbe Margaret Tatcher. Un progetto economico-politico
oligarchico che per la sua piena affermazione oltre che nei fatti politici,
economici e giuridici, cosa che sta già avvenendo, deve riuscire a disattivare e a cancellare
anche nelle coscienze dei cittadini l'alternativa storicamente esistita di democrazia
avanzata del lavoro proposta dalla nostra Costituzione. Chiunque
voglia fare proprio con animo sincero lo slogan« attuare la Costituzione
» è tenuto a sapere che questi e nessun altro sono i termini della posta in
gioco.
BIBLIOGRAFIA
Luciano Barra Caracciolo:
Euro
e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e
trattati europei . Dike giuridica editrice.
La costituzione nella palude.
Indagine sui trattati al di sopra di ogni sospetto. Edizioni
Imprimatur.
Vladimiro Giacchè:
Costituzione Italiana contro
trattati europei. Il conflitto inevitabile. Edizioni imprimatur
Giuseppe Palma:
Il tradimento della costituzione. Mabed - Edizioni Sì.
Marco Mori:
Il tramonto della democrazia. Analisi giuridica
della genesi di una dittatura europea.
Edizioni Agorà &Co.