In Hillman, conseguentemente alla visione delle immagini primordiali (archetipi) come “dèi”, che culmina nell`idea dell`identità tra psiche e anima mundi, c`é una fortissima tendenza panteistica, ossia al vedere la Natura come Dio e viceversa. Questa propensione, anzi, non evita neppure le conseguenze per noi più paradossali. Ad esempio parlando del riciclaggio dei rifiuti nel suo libro Forme del potere scrive:
Se le cose hanno un`anima, allora anche loro richiedono rituali di eliminazione che adesso stiamo cominciando a ritrovare con i nostri progetti di riciclaggio, che giustamente chiamiamo “Redemption Centers”. Ma invece del vecchio moralismo puritano e punitivo, riguardo al lasciare i rifiuti per la strada, c`é bisogno di un nuovo e gioioso animismo che i bambini sarebbero i primi a capire. "Non buttare via la carta delle caramelle per la strada" - non perché insudicia o perché è da maleducati; non perché è sbagliato; non perché "cosa succederebbe se tutti facessero così?"- ma "perché la carta della tua caramella non vuole restare lì sul marciapiede ed essere pestata; vuole stare nel cestino dei rifiuti insieme a tutti i suoi amici"[1].
È abbastanza naturale che Hillman, per la sua stessa impostazione psicologico-animistica, sia stato portato ad allargare via via i confini del "fare anima" al di là dell`analisi interpersonale. (Lo si vede bene sin dal titolo del suo libro-intervista con Michael Ventura 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, del 1992)[2]. Il pensatore ha pure maturato una sorta di disponibilità interiore e dottrinaria anche per l`azione politica, parzialmente negata da Jung: purché - spiega però molto bene Hillman da molti anni - sia azione di gruppi che compiono insieme esperienze di vera rinascita (dalla sinistra libertaria presente nel `68 al femminismo e ai Verdi, come dice espressamente già nel 1983 nella sua Intervista su amore, anima e psiche[3]).
Il discorso è ripreso,in termini un po` naïf, ottimistici ed anche ingenui (forse però del tutto deliberatamente), e con qualche irruzione di spirito libertario, anarchicheggiante, da prendere con beneficio d`inventario, e tuttavia ricchissimi di spunti e di stimoli vitali, nel suo libro Forme del potere, in cui a un certo punto scrive:
Il verde della speranza. Una nuova età dell’Acquario. Il villaggio globale, l’autodeterminazione di società etniche coesive come la Slovacchia e la Slovenia. Nuovi modelli di risoluzione dei conflitti. Miliardi di alberi riforestati come mille punti di luce; la biotecnologia per “ripulire” dopo le catastrofi ambientali. Parità per le razze e per i generi. Cura per la comunità, ospizi, centri di assistenza diurna, periodi di aspettativa ai genitori per accudire i figli, scuole integrate, il rinascimento delle arti con obiettivi spirituali e sociali. Dividendi di pace. Il suicidio permesso. Unioni sessuali permissive. Il crollo di tutti i muri. La prostituzione legalizzata, la marjuana legalizzata. L’educazione creativa. L’abbattimento delle barriere architettoniche. L’assistenza sanitaria e la condivisione delle ricchezze. (...)
Il verde della speranza. Forse l’eterna gioventù (il puer aeternus dell’immaginario latino), la visione adolescenziale del cambiamento in meglio, gli orizzonti lontani, le ali del desiderio, l’elevazione della bellezza, la soluzione rapida, Peter Pan[4].
Ho detto della prossimità forte del pensiero junghiano rispetto a quello verde. Questo è un tratto caratteristico anche di un importante libro del mio amico, già presidente dell’”Internazionale junghiana”, Luigi Zoja: Crescita e colpa. Psicologia e limiti dello sviluppo (1993), ma anche di altri testi significativi in tale ottica, sino al piccolo libro in cui ripropone il legame antico tra il kalòn e l’agathòn, tra il bello e il buono, tra l’estetica e l’etica, che nel mondo d’oggi sarebbe andato perduto (2007)[5]. Il recupero del senso mitico del limite (l’opposto della ybris, o “arroganza”, che per i Greci antichi era la vera colpa originaria), tanto caratteristico del grande ellenismo antico, è proposto - come spirito inter-soggettivo auspicabile - contro le catastrofi incombenti, in primo luogo di tipo ecologico: con molte osservazioni acute anche politicamente, e soprattutto con una ricca esemplificazione tratta da miti di ogni epoca storica dell`Occidente, dall`antichità (in primo luogo) sino al Romanticismo e oltre.
Naturalmente, però, c`è ecologismo ed ecologismo. Quello prossimo allo junghismo non è quello proclamantesi scientifico, che eredita le pretese, ma anche i limiti, del "socialismo scientifico". È, semmai, l`”ecologia profonda” di Arne Naess e di Gary Snyder, che contrappongono anche loro ecologia superficiale ed ecologia profonda, come la psicoanalisi fa con psicologia superficiale (proponendosi appunto come psicologia “del profondo”).
Gli ecologisti "profondi" sono soprattutto ecologisti neo-religiosi, panteisti o panenteisti[6]. Essi si riconnettono a una grande figura carismatica e redentiva di tipo positivo nella nostra epoca, Gandhi, che è per tutti loro assolutamente centrale: per la profonda religiosità che sente Dio in tutta la Natura e si pone psicologicamente, in ogni istante, dal suo punto di vista, attento per ciò al bene di tutte le creature, che ineriscono a Dio; per l`etica della non violenza; per l`animalismo, di matrice induista; per la teorizzazione di un`economia del "fai da te" e della piccola produzione artigianale diffusa (simboleggiata dal suo filatoio a mano, usato ogni giorno), in alternativa all`industrialismo capitalista e collettivista, condannato come “epoca del Kalì Yuga” (ossia ciclo storico della massima distruttività, che prepara la ciclica distruzione del cosmo, come se a dominaare fosse la dea della morte). Gli ecologisti profondi si rifanno pure alla cultura degli indiani pellirossa d`America: impregnata dell`idea della sacralità e unità della vita, e della coscienza-volontà di diventare veri figli della terra, o persone, rinascendo in essa attraverso una vita equilibrata, le iniziazioni e l`empatia con ogni essere della natura. Emergono pure, con ciò, negli ecologisti profondi, forti aperture al mito del buon selvaggio[7] (per altro caratteristiche pure di Jung). Gli ecologisti profondi ne sono consapevoli e paragonano talora questa riscoperta a quella del mondo antico durante il Rinascimento, che solo apparentemente era un ritorno indietro.
È interessante notare che l`affinità tra questa tendenza e i verdi tedeschi è stata notata, o comunque sostenuta, da Fritjof Capra (nella sua fondamentale opera Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, del 1982), autore che sui Verdi ha scritto - con una collaboratrice - un libro inchiesta pionieristico[8], e soprattutto è interessante osservare che gli stessi ecologi profondi, come si vede ad esempio in alcuni passaggi di Snyder, hanno testimoniato la loro affinità elettiva con lo junghismo. Il poeta-pensatore americano Gary Snyder, tra i protagonisti dell`ecologia profonda, nello scritto del 1969, pubblicato nel 1974, Quattro cambiamenti, scriveva infatti:
Obiettivo. Nulla di meno che una trasformazione totale. Ciò che immaginiamo è un pianeta in cui la popolazione viva armonicamente e dinamicamente impiegando tecnologie delicate e sofisticate in un ambiente lasciato al naturale. (...)
Sociale-politica. Sembra chiaro che in tutto il mondo ci sono forze che hanno lavorato lungo l`intero corso della storia in direzione di uno stato di cose ecologicamente e culturalmente illuminato. Siano incoraggiati gli gnostici, i marxisti antiautoritari, i cattolici alla Teilhard de Chardin, i druidi, i taoisti, i biologi, le streghe, gli yogi, i bhikkhu, i quaccheri, i sufi, i tibetani, gli zen, gli sciamani, i boscimani, gli indiani americani, i polinesiani, gli anarchici, gli alchimisti ... l`elenco è lungo. Le culture primitive, i movimenti comunitari, gli ashram, le iniziative di cooperazione.
Segue subito il punto che qui più ci interessa, nel senso che riguarda inequivocabilmente la cultura junghiana:
Poiché non sembra praticabile e nemmeno desiderabile pensare di ottenere qualche risultato con l`uso diretto della violenza, sarebbe meglio considerare tutto questo come una continua `rivoluzione della coscienza`, che sarà vinta non coi fucili, ma conquistando le immagini chiave, i miti, gli archetipi, le escatologie, le estasi, di modo che la vita non sembri valer la pena di essere vissuta se non si è dalla parte dell`energia trasformatrice[9].
Con ciò possiamo intravedere un cerchio che si chiude, nel senso che abbiamo la possibilità di rilevare la fecondità della psicologia analitica, junghiana, non solo sul terreno che le è proprio, psicoterapeutico, ma anche in un contesto religioso-naturalistico (neo-cristiano o post-cristiano), e politico-naturalistico (femminista e soprattutto "verde" assimilabile all`ecologia profonda). Io anzi ipotizzo che tutte e quattro queste componenti - la psicologico analitica "junghiana", la neo-religiosa "junghiana", la femminista "junghiana" e la politico-verde "junghiana" - potranno raggiungere, nei decenni a venire, la massima efficacia storica se riusciranno ad unificarsi, o se finiranno col fondersi, dando luogo ad una nuova concezione della vita e ad un movimento collettivo corrispondente (psicologico, religioso e politico-sociale al tempo stesso)[10]. Con ciò si avvererebbe la profezia di un fortunato quanto unilaterale e ben discutibile libro di Richard Noll, The Jung Cult, del 1994 (tremendamente tradotto col titolo: Jung, il profeta ariano. Origini di un movimento carismatico[11]), nel senso che lo junghismo, erede del Romaticismo tedesco tendenzialmente panteistico (da Alexander Humboldt a Goethe, che però erano liberali e non reazionari, a Ernst Haeckel, eccetera) culminerebbe davvero in una nuova concezione del mondo, ma non neoreazionaria o peggio come pensa Noll, bensì neorivoluzionaria, come si vede da un lato nelle importantissime opere di Fritjof Capra e dall’altra in tutto il pensiero verde, che praticamente dappertutto si allea e converge con il rosso e con tutte le buone lotte per salvare le culture non capitalistiche e la natura dal capitalismo e certo anche dalle brutture, non meno gravi, del “socialismo reale” o capitalismo di stato o capitalismo selvaggio all’ombra dello Stato (Cina d’oggi). In tale quadro colloco pure la mia modesta elaborazione in proposito (per esprimermi con doverosa e volenterosa quanto giustamente dubitabile umiltà). Ma qui voglio fermarmi per non farmi travolgere io pure dalla ýbris o arroganza ben nota ai cultori dello junghismo, da cui essi cercano sempre di mettere in guardia "gli altri".
(franco.livorsi@unimi.it)
[1] Milano, Garzanti, 1996. La citazione è a p. 76.
[2] Milano, Garzanti, 1993.
[3] Il testo, a cura di Marina Beer, comparve a Bari, presso Laterza, appunto nel 1983.
[4] Op. cit. alla n. 1, p. 172 e p. 174.
[5] L. ZOJA, Crescita e colpa. Psicologia e limiti dello sviluppo, Milano, Cortina, 1993; ID., Giustizia e bellezza, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.
[6] Panteismo: “il tutto” (pàn) è “divino” (theòn). Panenteismo: “il tutto” (pàn) è l’”uno” (o “Uno”), èn, che è “divino” (theòn).
[7] B. DEVALL – G. SESSIONS, Ecologia profonda. Vivere come se la Natura fosse importante (1987), a cura di G. SALIO, Torino, Gruppo Abele, 1989; G. SNYDER, Nel mondo selvaggio (1990), Como, RED, 1992; ID., La grana delle cose, Introduzione di A. Cacòpardo, Torino, gruppo Abele, 1987; ID., Ri-abitare nel grande flusso (1999), Casalecchio (Bologna), 1999; E. GOLDSMITH, Il Tao dell’ecologia (1996), a cura di G. Bologna, Padova, Aries, 1997; A. NAESS, Gandhi and Group Conflict: an Exploration of Satyagraha, Oslo-Bergen-Tromso, 1974; ID., Ecosofia (1976), Como, RED, 1994.
[8] F. CAPRA, Il punto di svolta, Milano, Feltrinelli, 1984. Ho ipotizzato - nel mio libro Il mito della nuova terra. Cultura, idee e problemi dell’ambientalismo, Milano, Giuffré, 2000 - che questo libro, in cui sembrano fondersi tutte le anime dell’ambientalismo in direzione di una nuova scienza e pratica umana, possa diventare, nella storia dell’ecologismo, quel che Il capitale di Marx è stato nella storia del socialismo. Si veda inoltre, qui: F. CAPRA – C. SPRETNAK, La politica dei Verdi. Cultura e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America, Prefazione di A. Langer, a cura di F. La Cecla, Milano, Feltrinelli, 1986.
[9] In: G. Snyder, La grana delle cose, cit., p. 131. Sottolineatura mia.
[10] Rinvio al mio libro cit. Il mito della nuova terra (2000) ed ora al mio ultimo libro, Politica nell’anima. Etica, politica, psicoanalisi, Bergamo, Moretti & Vitali, 2007.
[11] L’opera è stata tradotta a Milano da Mondadori nel 1999.