Alcune settimane fa un grande scienziato italiano ha parlato all’Associazione Cultura e Sviluppo di Alessandria. Si è trattato di Carlo Alberto Defanti, docente di Bioetica presso la Scuola di Specializzazione in Neurologia dell’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano nonché presidente per alcuni anni dell’autorevole commissione nazionale di Bioetica. Il libro suo di cui parlava era: “Soglie. Medicina e fine della vita” (Torino, Bollati Boringhieri, 2007). Ne ha fatto una bella ed esauriente presentazione Luca Savarino, un filosofo morale, personalmente protestante, ricercatore e docente stimato di “Bioetica” presso la Facoltà di Scienze Politiche in Alessandria. Dietro agli eufemismi dello stesso titolo del libro sta una questione  che interessa tutti, nessuno escluso: quella della morte.

Defanti ha spiegato come il criterio della morte cerebrale sia stato stabilito dopo i famosi primi trapianti di cuore di Bernard del 1967, da una commissione di grandi scienziati di Harvard, nel 1968; come sia stato accettato, pure da cristiani molto tradizionalisti che trovavano in ciò un valido antidoto contro tendenze all’eutanasia attiva in caso di condizioni estreme; che le leggi sui trapianti d’organo conseguirono a quel pronunciamento, oscillando tra il concetto iniziale e generico di morte cerebrale, il successivo concetto del legislatore inglese di morte del tronco cerebrale o encefalico, oppure di morte di tutto il cervello come nella legge italiana. Ma il Defanti ha spiegato che in realtà non si sa bene né quando l’attività paracerebrale inizi nel feto e neanche quando finisca. Sussistono ancora interrogativi su attività residue, con segnali elettrici, del cervelletto, per qualche tempo, anche dopo l’apparente fine di tutto. Oggi solo dopo almeno un anno lo stato vegetativo di morte cerebrale può essere detto irreversibile. Si sono dati casi di donne gravide con feto di quattro mesi al momento della morte cerebrale, ma senza distacco del respiratore, che a tempo debito, per taglio cesareo, sono state indotte a partorire bimbi poi sani. C’è stato persino il caso di alcuni bambini americani portati a casa da genitori che non avevano accettato di staccare il ventilatore, che dalla “morte”, impedita ancora dal ventilatore, sono ripiombati poi nel coma, pur non risvegliandosi da tale stato. La conclusione del Defanti è che il vecchio criterio di morte, fatto coincidere con l’arresto cardiocircolatorio, fosse e sia il più sicuro.

Nonostante ciò egli è fermamente concorde con la donazione volontaria degli organi, perché nessun cosiddetto morto cerebrale è mai uscito dallo stato di morente; le funzioni vegetative coll’encefalogramma ci rendono certi “al 99,9 per 100” di probabilità che non vi sia pericolo di sensibilità, e per ciò di dolore vero, nei trapianti, e perché i trapianti di questi morti cerebrali aiutano i vivi (il che a me pare un atto di donazione “cristiana” stupendo). Colpisce però, in questo grande medico di Eluana Enclaro, favorevole a consentirle di morire dopo diciassette anni di coma (a mio parere giustamente), l’annuncio che quando verrà messa in condizione di morire verrà sedata. Se si fosse certi al 100 per 100 che non esista sensibilità alcuna, tale precauzione avrebbe senso?

                                                                                                           franco.livorsi@unimi.it