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Il paese dell'anima. Scene dalla vita di Carl Gustav Jung
Il paese dell`anima: VII) - Tra i nevrotici
Franco Livorsi

(franco.livorsi@unimi.it)

- La psicoanalisi di Freud - chiesi allora al vecchio Jung - accentra tutta l`analisi sui traumi psichici della prima infanzia, ma in generale ad essere vagliati sono soprattutto adulti, per lo più di sesso femminile. Mi chiedevo se Lei, in questa fase freudiana della sua vita, abbia mai analizzato dei bambini, e se questo per Lei allora confermasse o smentisse le teorie di Freud.

- Oh, qualche volta mi capitò di confermarle. In un caso in modo veramente esilarante. Il commediografo più psicologo del secolo, Pirandello, per uno scenario simile avrebbe certo parlato di una storia da Così è se vi pare.  

Fui consultato dalle autorità scolastiche di un ginnasio di Zurigo. Ricordo ancora il colloquio con il preside e con un professore. Il preside aveva un pizzo bianco appuntito, e se ne stava seduto dietro ad una grande scrivania. Io stavo di fronte a lui, in una poltroncina, accanto a un professore sui quarant`anni, calvo, alto e magro. Naturalmente parlò per primo il preside.

 

- Professor Jung, ho deciso di consultarla per un caso piuttosto insolito, capitato al professor Wehr. Ma forse è bene che a parlare sia lui stesso, tanto più che l`iniziativa di consultarla è, a dire la verità, soprattutto sua.

- Sì - disse Wehr - Professor Jung, ho avuto modo di ascoltarla in pubblico e sono convinto che Lei potrà darci un buon consiglio per uscire da una situazione a dir poco imbarazzante. Deve sapere che mesi fa sono stato colpito da un ricorrere eccessivo di risolini e ammiccamenti quando entravo in classe nella seconda D, composta di ragazzi e ragazzine per lo più tredicenni. Sorpreso, un giorno ho chiamato in un`aula vuota l`alunna più brava, incontrata casualmente in un corridoio, senza che le altre potessero vederla. Dopo molte insistenze sono riuscito a sapere quella che pareva essere la verità. Giravano delle strane voci su una gita scolastica ai laghi, messe in giro da una certa Maria Silberg. In sostanza mi venivano attribuiti atti osceni con le allieve. La cosa, come può comprendere, mi turbò moltissimo. Anche per ragioni professionali. Aprii una vera inchiesta in classe, interrogando separatamente parecchie alunne, a partire da Maria. Venni così a sapere che le illazioni si incentravano in realtà sul racconto di un sogno di questa Maria Silberg, che poi le compagne avevano, almeno in parte, considerato come un evento reale. Volendo appurare se vi fosse quantomeno buona o cattiva fede da parte di Maria, decisi di metterla in un banco a parte, mentre seguitavo le mie spiegazioni, e di farle raccontare per iscritto il sogno, dopo averle raccomandato vivamente di raccontare tutto con sincerità e senza omettere nulla.

- Benissimo! E questo “tema” lei lo ha qui con sé, non è vero?

- Proprio così ... Eccolo ...

 

 "Durante la gita ai laghi stando al mio sogno la nostra classe si era recata allo stabilimento balneare.

Comparivano perciò una decina di ragazze e ragazzi in buon ordine, anche se non in fila, ancora vestiti.

Allora il professor Wehr ci diceva:- Andate a mettervi in costume. Voi ragazzi troverete lo spogliatoio per maschi a destra, e voi ragazze a sinistra.

Io vi aspetterò a quel tavolino del bar ...

In effetti il professor Wehr si sedette a un tavolino, con ombrellone, e cominciò a fumare una sigaretta.

Dopo un po` giungevo io, dallo spogliatoio dei maschi. Il professore allora mi diceva:- Maria, perché vieni di lì? Sei matta?

Io portavo un costume molto succinto, trasparente. Con noncuranza rispondevo:- Oh, è lo stesso! Non c`era più posto dalle femmine e così mi sono cambiata con i miei compagni.

- Andiamo bene! (esclamava il professore).

Sopraggiungevano gli altri ragazzi. Ora anche il professor Wehr si era messo in costume da bagno.

Egli diceva a tutti noi:- Io voglio andare a fare il bagno. Chi mi segue?

- Io! Io! (gridai).

La mia cara amica Angela mi fece eco.

Ci avviammo ridendo dentro l`acqua, mentre tutti gli altri ci osservano in silenzio, perplessi. Ma noi, indifferenti, nuotavamo beatamente. Ci spingevamo anzi fino al largo.

Qui venivamo avvistati da un vaporetto, che si fermava per noi.

- Ragazze, - fece il professor Wehr - se siete stanche possiamo salire.

Ci gettarono una scaletta di corda e salimmo. Stavamo tutti e tre sul ponte guardando la striscia di spuma che il vaporetto lasciava dietro di sé. Eravamo in costume e bagnati, ma presto il sole ci asciugò.

Giungemmo a Kusnacht. Sulla riva era in corso una bella festa di matrimonio. Si vedeva una giovane sposa con velo bianco. Molti gridavano: "Viva gli sposi!" Intanto noi eravamo scesi a terra.

Un vecchio del gruppo che partecipava alla festa si avvicinò a noi.

- Se volete - disse - potete unirvi anche voi alla festa di matrimonio.

- Oh! Sì... (gridammo subito io e Angela con entusiasmo)

Anche il professore acconsentì.

- E ora che accade? - chiese una donna che stava accanto a noi -, perché tutti applaudono?

- Gli sposi partono (rispose un`altra vicina).

- Partiamo anche noi! (disse allora il professor Wehr a me e ad Angela).

- Sì - dissi io -, facciamo anche noi il nostro viaggio di nozze ...

Lì vicino c`era la stazione. Salimmo su un treno che poi, subito, si avviò. Era tutto riservato al professore, a me ed a Lina, e naturalmente agli sposi. La locomotiva correva, fumando.

Così giungemmo in un albergo di un altro paese.

Il professor Wehr, rivolto a una signorina della "reception", disse:- Vorremmo tre camere ...

L`albergatrice replicò:- Mi spiace, ma non c`é proprio più niente. Se volete, se vi accontentate, potrete dormire nel fienile.

Ci sdraiammo tutti e cinque - noi e gli sposi - sulla paglia del fienile, uno accanto all`altro. La luna illuminava fiocamente la scena. A un certo punto le campane suonarono le sette del mattino. La notte era trascorsa. C`era un bel sole e scendemmo, con la scala, a terra. Ma nella notte gli sposi avevano avuto un bambino.

- Professore - chiese la sposina - vorrebbe fare da padrino?

- Volentieri, signora. Ma la madrina chi la fa?

- La madrina - dissi - sarò io ..."

 

Il tema era terminato. In qualità di psicologo, osservai subito:- Interessante, molto interessante. Ma qual è il problema?

-Il fatto è - osservò Wehr - che il sogno - raccontato da Maria - ha fatto nascere, sulla nostra gita, le più strane leggende. Maria era al centro di esse. E io credo che fosse lei stessa a inventarle. Si sussurrava di una mia relazione con lei, in quella gita. Esasperato ottenni che la ragazzina fosse sospesa. Ma al tempo stesso avevo e ho dei dubbi. È forse giusto punire un`allieva per un sogno?

- No di certo.

- Ma come riammetterla senza far rinascere le dicerie?

- Se permette, - dissi - farò io stesso una piccola inchiesta tra le allieve, naturalmente interrogandole separatamente.

- Sì, - disse il preside - mi pare la cosa migliore. Sulla base di una sua relazione finale potremo chiudere il caso con un parere autorevole. O almeno lo spero vivamente.

 

Allora io chiesi al vecchio Jung:- E che cosa riuscì ad appurare esattamente? Che c`era sotto?

- Emerse, com`era del resto prevedibile, un particolare rancore della piccola sognatrice nei confronti dell`insegnante.

- Ah!

- Il bello è che questo rancore latente era venuto dopo un lungo periodo di grande simpatia, ai limiti dell`innamoramento platonico, della piccola verso l’insegnante. Ma negli ultimi sei mesi il carattere di Maria era cambiato. Era diventata più trasognata, e di conseguenza più distratta. Di sera, col buio, aveva paura ad andare per strada, nel timore di fare cattivi incontri maschili (che naturalmente in realtà desiderava). Qualche volta aveva parlato con le compagne di argomenti sessuali in modo piuttosto osceno.

Presa dalle classiche turbe della pubertà, prima ancora del piccolo scandalo in questione Maria era diventata una scolara negligente, da diligente che era stata in precedenza. In tal modo era uscita dalle grazie dell`insegnante, come dimostrò chiaramente per la prima volta la brutta pagella che lei e alcune sue amiche avevano ricevuto pochi giorni prima che esplodesse il caso di diceria su cui ero stato poi chiamato a pronunciarmi.

La delusione del gruppetto di ragazzine negligenti e castigate, tutte in fase puberale, era stata così grande che esse si erano messe ad intessere ogni genere di storielle ai danni dell`insegnante in questione. Fantasticavano l`una con l`altra su quanto sarebbe stato bello spingerlo sulle rotaie perché il treno gli passasse sopra e su altre "amenità" di questo genere. In queste fantasie sanguinarie, nelle conversazioni segrete del gruppetto, Maria si era messa particolarmente in evidenza.

La notte dopo la grande irritazione per la brutta pagella, e le chiacchiere contro il professore "cattivo" di cui ho detto, la parte rimossa, dimenticata e nascosta, della psiche di Maria si era fatta sentire nel sogno: il sogno in questione, per l`appunto. Nel sogno Maria riprendeva l`amore che il risentimento diurno aveva interrotto in lei, e appagava il suo desiderio di unione sessuale con l`insegnante, compensando per tal via l`odio che aveva riempito la sua giornata a livello di coscienza. Ma al risveglio il sogno stesso era poi diventato un abile strumento dell`odio, perché il pensiero-desiderio che vi si esprimeva era anche quello delle compagne di scuola, specie del suo gruppetto, come accade sempre quando si danno dicerie del genere (se tali sono). La vendetta era riuscita, ma la ripercussione del gioco "innocente" tra fantasie e realtà aveva colpito Maria più duramente di quanto lei si sarebbe aspettata. Capita quasi sempre così quando ci si abbandona agli impulsi dell’inconscio.

Comunque, in base alla mia perizia, Maria venne riammessa a scuola. D`altra parte il mio parere scritto sulla faccenda servì pure - anche se nessuno apertamente aveva detto niente - a riconfermare l`onorabilità del professore, che era stato vittima di sogni e fantasticherie di "innocenti" fanciulle, mosse dalla loro sessualità nascente e prorompente. I suoi colleghi e le mamme compresero tutto, e per la verità deplorarono, molto più del necessario, la piccola Maria e le sue indiavolate amichette.

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- Ha ancora voglia di parlare, professor Jung? (chiesi io a questo punto della narrazione).

- Ma sì, andiamo avanti per un`altra mezz`oretta. Poi ci lasceremo.

- Bene. Stiamo discutendo di casi in cui la sessualità sembra dominare sin dall`infanzia, secondo modelli freudiani  ...

- ... da non generalizzare come faceva il vecchio Sigmund, ma non per questo irreali quando si verifichino.

- Benissimo. Potremmo proseguire vedendo casi per così dire "alla Freud", o meglio alla Freud-Jung  ...

- Sì, dire così è possibile.

- Ora - dico io - la psicologia freudiana è tutta incentrata sulla figura del padre. Non potremmo vagliare casi che possano confermare - o smentire - l’impostazione patricentrica, ammesso che vi siano stati, nell`esperienza da Lei fatta?

- Sì, anche se per me, nella ricostruzione che sono portato a farne, il complesso di Edipo - l’attrazione morbosa per la madre e l`amore-odio per il padre - è un evento archetipico, solo una delle trame perenni e presenti in ciascuno, per così dire a priori, interagenti con l’esperienza individuale, piuttosto che un destino psicobiologico, in qualche modo unico, che segnerebbe la vita di tutti, sia pure con le infinite variazioni del caso. Quasi che il piccolo bambino tra i tre ed i cinque anni sia dominante - con le sue sofferenze oppure pacificato - sino alla fine dei nostri giorni. Comunque parliamone pure.

 

Potrei raccontarle la vicenda di un giovane che per la memoria di un "grande padre" si rovinò completamente.

Si chiamava Carl, e quando venne da me aveva trentacinque anni circa. Era un ometto di piccola statura, con un viso dall`espressione intelligente e bonaria. Cadeva facilmente in imbarazzo. Arrossiva spesso.

 

- Che cosa posso fare per lei? - gli chiesi quando me lo trovai davanti.

- Vorrei vedere se riesce a liberarmi dal mio fastidioso e spesso insopportabile nervosismo. Vede, dottore, sono veramente troppo irritabile … per un nonnulla. Me lo dicono tanti ogni giorno, specie in casa. E lo capisco anch`io, sa? - Ma non so che farci ... Inoltre mi stanco proprio facilmente, per le più piccole incombenze. E ho spesso disturbi di stomaco, forse perché sono tanto nevrastenico. In conclusione sono troppo spesso triste sino alla morte. E in effetti ho tante volte pensato seriamente al suicidio, negli ultimi tempi.

 

Il giovane mi aveva fatto avere, in precedenza, un grosso memoriale, che a quel punto trassi fuori.

 

- Vediamo, vediamo - dissi perciò -. Ho letto il memoriale che Lei ha ritenuto di dovermi mandare prima di quest`incontro, anche se decifrare la sua grafia è stata una bella fatica. L`ho comunque scorso tutto, sebbene non ancora con la dovuta attenzione. Vorrò tornarci sopra, se proseguiremo.

- E che cosa ne deduce?

- Beh, già l`inizio mi ha incuriosito, e tanto più mi incuriosisce ora che La vedo di persona. "Mio padre - scrive Lei - era un uomo molto alto e forte."... Poi, nella terza pagina, scrive: "Quando avevo quindici anni un ragazzo alto e forte, diciannovenne, mi portò con sé nel bosco e compì atti osceni su di me."

Lei però accenna solo alla sua vita in famiglia precedente, dell`infanzia (vi dedica appena un paio di paginette di quaderno): cosa che invece per il nostro tipo di cura è sempre estremamente importante. Se non Le spiace dovrebbe cercare di parlarmi il più esaurientemente possibile di suo padre e dei suoi fratelli, che nelle cose da Lei scritte appaiono solo di scorcio. Voglio dire che vi accenna appena, come se non fossero importanti.

- Bene - fece l`uomo sospirando -, se è proprio necessario ... Deve sapere che io sono il minore di tre fratelli. Mio padre era un bell`uomo alto, dai capelli rossi. Era stato soldato nella guardia svizzera, in Vaticano, dal papa. Poi era tornato in Svizzera e si era arruolato nella polizia. L`educazione militare da lui ricevuta, ed amata in sommo grado, si faceva sentire tutti i momenti. Era un uomo severo, burbero, che ci trattava come se fossimo stati i suoi soldati. S`immagini che non ci chiamava neppure per nome ...

- Addirittura! E che cosa usava - dissi io ironicamente - il cognome?

- No, fischiava ...

Ma sapeva anche essere cordiale, a modo suo. Aveva passato la giovinezza a Roma. Aveva avuto tante avventure amorose, di cui per la verità portava un ricordino che era tutt`altro che piacevole, ma con cui egli conviveva da vero uomo … Voglio dire che aveva o aveva avuto la lue, ma senza darsene troppo pensiero. Comunque delle sue avventure amorose giovanili parlava sempre molto volentieri, anche con noi "subalterni". Tanto che le sapevamo a memoria, anche se facevamo finta di sentirle per la prima volta, per compiacerlo. Il suo uditore preferito era il mio fratello più vecchio, che ha dieci anni più di me. Assomiglia a mio padre in modo impressionante. Anche lui è alto, forte e con i capelli rossi.

- E la mamma?

- La mamma, poverina, è mancata quando ero ancora un bambino. Però mi torna spesso in mente, anche se quando morì avevo solo dieci anni. Era una donnetta malaticcia, precocemente invecchiata, esausta e come spenta. Quando andò all’altro mondo aveva quarant`anni. Di lei conservo un dolce e tenero ricordo, anche se temo di fare la sua stessa fine.

- E a scuola, poi, come se la cavava, signor Carl?

- Qui cominciano le dolenti note. Ero piccolo e gracile. Ero portato alla tenerezza. E i miei compagni ne approfittavano. Per ora mi lasci evitare i particolari. Le basti sapere che per anni divenni il loro zimbello. La crudeltà mentale che possono avere i ragazzini è sconfinata.

- Ma perché ce l`avevano con Lei?

- Che dire? Credo fosse per il mio dialetto da montanaro, molto diverso da quello di città, di Zurigo.

 Il rapporto con il maestro aggravò tutto. Anzi, il primo a canzonarmi era proprio lui. Caddi nelle mani di un sadico, da cui quasi tutti i compagni dopo un anno al massimo si facevano togliere. Le famiglie chiedevano e ottenevano un altro insegnante. Mio padre invece voleva mandargli mazzi di rose (diceva ridendo con l`aria del superuomo e la testa da poliziotto del papa). Il maestro mi storceva le orecchie. Mi pizzicava addirittura le gambe, facendomi veri lividi quando mi insegnava, secondo lui, la matematica (specie nelle lezioni supplementari, di pomeriggio, quando non c`erano testimoni).

A quindici anni ci fu poi quella faccenda del bosco. Fu l`inizio di diverse stravaganze omosessuali.

- E poi che accadde?

- Il destino mi portò in Francia, a Parigi. Grazie all`aiuto dei miei fratelli, che avevano trovato lavoro laggiù, diventai cameriere in un grande albergo. Qui feci la conoscenza di un altro cameriere un po` più vecchio di me, che se la dava da gran dongiovanni. Per farla breve mi trascinò in un bordello, benché io non ne avessi nessuna voglia. Mi vergognavo di fronte al mio amico a rifiutare. Accettai di essere abbordato nel salottino da una delle prostitute velate, ma a letto fui un disastro.

- Fu momentaneamente impotente, non è vero?

- Sì, diciamo momentaneamente, o temporaneamente, perché la stessa cosa mi capitò più volte quando a trascinarmi al casino fu il mio fratello maggiore. Fiasco dopo fiasco, con mia profonda vergogna ...

Un giorno questo mio fratello maggiore, e grande puttaniere, pretese che io gli dessi la mia parte di eredità in prestito. Si trattava di una somma ragguardevole, di ben seimila franchi. Enunciò grandi progetti, richiamò difficoltà impellenti con rischio di prigione se non avesse saldato al socio certi debitucci, pregò e supplicò.

Mi presi un po` di tempo per decidere e mi consultai con un altro mio fratello, un po` più giovane di me, anch`egli a Parigi, come meccanico. Questi mi sconsigliò vivamente di prestare il denaro a Humbert, il fratello maggiore. "Brucerà tutto in bagordi in men che non si dica", mi disse, "e non ti restituirà mai niente". Io, però, finii col cedere. D`altra parte persino il fratello che me lo aveva sconsigliato, finì per dare a Humbert 500 franchi di suoi risparmi.

- Avrete almeno chiesto qualche garanzia legale ...

- Macché garanzie! Non ci pensammo nemmeno. E forse non ce ne sarebbero state, salvo la possibilità di mandarlo in prigione, per noi esclusa in partenza. Del resto, come potevo dire di no al fratello maggiore? Era come dire di no a mio padre.

E poi, guardi, dottore, dei soldi non me ne importa niente. Gli diedi i miei 6000 franchi: tutto quel che avevo. Ma gliene avrei dati ancora altrettanti, se li avessi avuti.

Dissipò tutto in due mesi e si rovinò completamente. Parlo del mio fratello maggiore, si capisce. A quel punto persino sua moglie non ne volle più sapere di lui e chiese il divorzio.

- E Lei che fece?

- Non ne potevo più di quei drammi familiari. Tornai in Svizzera.

- Bene. Tornare alle radici fa sempre bene.

- Sì, ma rimasi per tutto un anno senza lavoro. Soffrii spesso la fame. Poi trovai un posto da manovale in un cantiere.

In questo periodo conobbi una famiglia che frequentavo assiduamente. Il marito, un muratore ben più vecchio di me, mio compagno, era un uomo bizzarro, intollerante ed ipocrita. Trascurava la famiglia. La moglie era piuttosto anziana, malata e debole, e per giunta in quel momento lì era incinta. Nella loro casa c`erano già sei figli, e perciò vi regnava la più nera miseria. Io ero diventato affittuario. Dormivo nel sottoscala e partecipavo ai modestissimi pasti comuni, a base di zuppa di verdura o di pasta e cavoli, per quel che ricordo.

- Non era una situazione allegra, insomma. Ma prosegua, La prego.

- Vedendo la padrona di casa in quelle condizioni, concepii per lei, povera vittima, un caldo affetto. Divisi con lei il poco che possedevo. Lisa - così si chiamava - si lamentava con me, e mi diceva che il parto in arrivo l`avrebbe certamente uccisa. Era molto in ansia perché il marito, irresponsabile, secondo lei a quel punto si sarebbe eclissato, abbandonando i piccoli all`orfanatrofio o a chissà quale altro spaventoso destino, tanto poco li amava. Allora io le promisi, pur non possedendo niente, che avrei preso i figli con me e li avrei allevati, semmai a lei fosse accaduto l’irreparabile.

Lisa morì davvero in seguito al parto. Volevo provvedere ai sette bambini. Ma l`ente di assistenza - ora credo giustamente - me lo impedì. Mi affidarono solo un piccolo. Così ora avevo un figlio, ma non avevo una famiglia, e naturalmente non potevo allevare il bambino da solo. Pensai che avrei dovuto sposarmi (io che ero quasi vergine). Poiché fino ad allora non mi ero mai innamorato di una ragazza, ero in grave imbarazzo.

Allora mi venne in mente che il mio fratello maggiore ...

- Quello che le aveva portato via l`eredità?

- Proprio lui... Dicevo che mi venne in mente che mio fratello maggiore aveva divorziato dalla moglie. Pensai di sposarla io. Le scrissi a Parigi per sentire che ne pensasse.

- Era più o meno della sua età?

- No, per la verità aveva diciassette anni più di me.

Mi rispose subito. In linea di principio non era contraria, ma pensava che avremmo dovuto parlarne di persona e mi invitava a Parigi, per discutere la faccenda.

Ma la sera prima della partenza il destino volle che mi ferissi mettendo un piede su un chiodo, sicché non potei partire. Partii però dopo un certo tempo, quando la ferita fu guarita, e scoprii che avevo immaginato mia cognata, l`ex moglie del mio fratello maggiore, molto più giovane e carina di quanto non fosse in realtà. Era ormai sfiorita e bruttina, poveretta. Comunque, la sposai ugualmente.

- E i vostri rapporti intimi com`erano? Lei capisce che io debbo saperlo, questo.

- Dopo tre mesi arrivò il primo coito, su iniziativa di mia moglie. Io per la verità non ne sentivo alcun bisogno, ma la accontentai.

Comunque allevammo insieme il bambino, io alla maniera svizzera e lei alla maniera francese. 

Quando il piccolo ebbe nove anni, però, fu investito da una carrozza e rimase ucciso.

A quel piccolo mi ero affezionato, si capisce. Non dico che la sua perdita mi abbia schiantato, ma rattristato molto sì. Cominciai a sentirmi sempre più solo e a disagio, in casa. Nel frattempo avevamo fatto un po` di soldi. Avevo ormai un lavoro stabile e pagato abbastanza bene. Conobbi una biondina che faceva la cameriera. Proposi a mia moglie di assumerla. Apriti cielo! Mi fece una scena di pazza gelosia.

Per parte mia io, per la prima volta in vita mia, quasi come se mia moglie mi avesse aperto gli occhi sulle mie stesse intenzioni, mi innamorai davvero di questa ragazza. Era la prima volta che mi accadeva in vita mia. Ma dopo qualche approccio non ne feci nulla.

Da allora è passato un anno. Non dormo quasi più. E così sbaglio le cose sul lavoro. E, soprattutto, sono sempre depresso, e spesso desidero morire. In casa ho continui litigi con mia moglie, anch`essa delusa e insoddisfatta, lontana dalla sua patria e con un marito - dice lei - freddo e infedele. Insomma, la mia vita è diventata un inferno.

 Che posso fare?

- Certo le nostre conversazioni settimanali potranno aiutarla, ma solo ad una condizione.

- E sarebbe?

- Secondo me Lei dovrebbe abbandonare la moglie che non ama, il nucleo familiare da cui le viene soprattutto la sua nevrosi, l`ex consorte del suo dissoluto grande fratello. Su questa base il miglioramento psicologico potrà certamente venire.

- No, no, questo no - gridò soffocando un moto di pianto -. La povera donna cadrebbe in uno stato di infelicità troppo grande.

 

Il vecchio Jung fece qualche commento.

- Capisce, Aniela? Il poveretto preferiva ancora farsi torturare ...

- Per non far soffrire la moglie ...

- Ma no! Non era questo, secondo me, il vero motivo. Il fatto è che il ricordo della sua propria gioventù, col padre e i fratelli, e poi col fratello-padre dissoluto come il suo vecchio, gli stava più a cuore di ogni gioia nel presente.

Anche quel paziente trascorse così tutta la vita nel cerchio magico della costellazione familiare. Il rapporto più forte e fatale, si capisce, era stato quello col padre. La caratterizzazione masochista e omosessuale conseguiva. Viveva in modo tale da punirsi, come figlio protetto e oppresso da quel modello irraggiungibile sin da quando era stato piccolo. Finiva sempre, insomma, per scegliere proprio quello che lo faceva soffrire. E non potendo essere uomo, vero uomo, come quello pseudo-modello di poliziotto svizzero, costringeva la sua sessualità a deviare, cioè diventava - per compensazione - omosessuale, e per questo più o meno impotente con le donne; in certo modo perché si sentiva donna lui stesso.

- Tuttavia si era sposato e persino innamorato, alla fine, non è vero?

- Sì, ma anche quel suo matrimonio, per altro ben infelice, era determinato dal padre, in quanto il nostro Carl, guarda caso, aveva finito per sposare la moglie divorziata del fratello vecchio (il sosia psicologico del padre), che è come dire la “madre”. Contemporaneamente la moglie è anche la rappresentante della madre. Perché la sposa? Per dare una mamma ad un neonato di un`altra madre, morta di parto ...

- E la madre morta di parto psicologicamente era sua madre, non è vero?

- Naturalmente. La nevrosi vera e propria - il disagio psichico insopportabile - si manifesta nel momento in cui questo scenario sostitutivo dell`amore infantile - questo legame con una vecchia donna simile alla madre con cui saldare i conti lasciati in sospeso dal padre, e dal vice-padre (il fratello maggiore) - non lo erotizza più, non gli piace più. Per la prima volta invece di scegliere un fantasma a misura dei bisogni infantili, sceglie una donnina in carne ed ossa, che piace a lui e che non desidera solo per punirsi, cioè “per dovere”, per soffrire scegliendo una donna che per lui non sia veramente tale con cui stare insieme. Tuttavia questo passo - guarda caso – alla fine non può farlo. Per lui è troppo difficile. E il disadattamento cronico, la nevrosi, così esplode. E la storia finisce male.

- Si uccise forse?

- No, continuò a vivere da infelice per tutta la vita. Non so se ciò sia stato meglio della morte.

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- Sinora - feci osservare io al vecchio Jung poco oltre - abbiamo parlato soprattutto del rapporto tra gli uomini e il loro padre, certo infinitamente discusso nei secoli, e tanto più dalla psicoanalisi. Ma com`è il rapporto tra le donne e il padre? Come le appariva questo rapporto tra donne e padre quando era tanto vicino a Freud? Ebbe modo di trattare questa faccenda, allora?  - Io penso di sì, perché il popolo dei nevrotici, come ben sappiamo, e come non stupisce certo in un mondo maschilista quale è sempre il nostro, è soprattutto femminile.

- Ha ragione - disse Jung accendendosi la pipa, meditabondo.

Mi viene in mente il caso di una contadina per così dire benestante.

Quando si presentò a me per la prima, verso il 1909 o 1910, aveva un trentasei anni. Era una donnetta d`intelligenza media, di aspetto sano, e robusto.

- Che posso fare per Lei, signora? Quali disturbi accusa?

- Ecco, dottore, da alcune settimane mi sento la testa stranamente pesante, e mi ritrovo sempre giù di morale. Dormo male. Faccio sogni angosciosi, in cui spesso un fantasma senza volto si avvicina a me che sto nel letto, prima sussurrandomi paroline dolci, e poi afferrandomi alla gola per uccidermi. Accadono, in sogno, anche altre assurdità del genere: molto stupide, certo, ma per me terrificanti. Pure di giorno, spesso, mi sento angosciata e depressa sino alla morte.

- E si è chiesta da che cosa possano dipendere questi stati d`animo tanto tristi?

- Per me non c`è ragione ... Io stessa sono stupita per il loro venir fuori. Mio marito dice sempre che sono tutte assurdità e, poverino, ha certo ragione. Ma che posso farci? Anche se lo penso anch`io non riesco a liberarmene. Spesso mi vengono delle strane idee. Credo che morirò presto. Penso che andrò all`inferno.

- E come sono i suoi rapporti con suo marito? So che le faccio domande molto personali, ma debbo farlo, mi creda.

- Ci vogliamo bene, molto bene. È un uomo pieno di buon senso, che ha saputo far fruttare i nostri soldi. Del resto è veramente un gran lavoratore. Abbiamo due bambini sani. Che dire di più?

- C`è stato qualcosa che l`abbia colpita particolarmente nelle ultime settimane?

La paziente rifletté qualche istante. Poi...

- Sì, ho letto certi opuscoli della nostra chiesa. Specialmente dopo la morte di papà ci vado spesso, sa, in chiesa ...

- Ebbene?

- In uno di questi libretti si parla a lungo della bestemmia. Ho avuto la curiosità di leggerlo perché purtroppo mio papà era un grande bestemmiatore. C`è scritto che la bestemmia è peggio dell`omicidio. Infatti con l`omicidio, anche più spaventoso, colpiamo una persona come noi, ma con la bestemmia colpiamo il padre di tutti. È come se uccidessimo Dio, il padre buono di tutte le creature. Perciò a questo peccato, contro lo Spirito, non c`è quasi rimedio. A meno che uno non si penta dal più profondo del cuore, finisce diritto all`inferno. Ecco il punto.

Il discorso a me è parso così importante che avevo quasi deciso di consacrare la mia vita alla lotta contro la bestemmia. Mio marito per fortuna non ha questo viziaccio, ma quando ci si trova in campagna con altri, e c`è la pausa per desinare, ci sono sempre braccianti affaticati che inveiscono contro il buon Dio. Ho provato a riprenderli, e a volte ne sono usciti gravi litigi. Sembra, a queste anime nere, che io senza alcun diritto voglia occuparmi dei fatti loro, o, come dicono, dell`”animaccia” loro.

- Lei ha accennato anche alla morte di suo padre, e al fatto che era un grande bestemmiatore.

- Sì, è morto tre mesi fa. Io - Dio mi perdoni - non ero presente. Ero a lavorare in campagna, quando al mio vecchio venne un colpo apoplettico. L`improvvisa scomparsa dell`unico genitore che mi era rimasto, mi riempì di paura e di tristezza.

- Perché di "paura"?

- Parlai con la vecchietta che l`aveva assistito. Le chiesi, tra l`altro, quali fossero state, se ce n`erano state, le sue parole estreme.

- Ebbene?

- Sì, ce n`erano state. Alla fine, con un fil di voce, papà aveva detto: "Anch`io sono di quelli che sono caduti nel carretto del diavolo."

Capisce? Aveva sentito che cadeva nel carretto del diavolo.

Io sapevo il motivo vero, e, dopo aver letto i libretti della chiesa sulla bestemmia, l`ho capito anche di più. Egli ingiuriava Dio ogni giorno, sempre. Persino con rabbia. E il diavolo alla fine se l`è preso.

- Ma come fa, cara signora, ad essere così sicura di queste cose? Dovrebbe ben sapere, Lei che sta in campagna, che in proposito se ne raccontano tante. Se ne sono sempre dette tante.

- Già, ma non può mica essere tutto falso, no? Che dice, dottore? C`è una vita dopo la morte? Ci crede Lei?

- Ma che importanza ha se ci credo o non ci credo? In questo campo ne sappiamo tutti troppo poco, contadini o professori, mi creda. Su cose del genere siamo tutti degli ignoranti. Sono cose troppo più grandi di noi.

- Ma ci sono i fantasmi. Molti li hanno veduti. Io stessa ho visto qualcosa.

- Sì, sì, non lo nego. Anche a me è capitato di vedere qualcosa ... Ma sa com`è, chi in un modo e chi in un altro potremmo essere tutti un po’ matti. Potrebbero essere fantasmi, sì, ma anche allucinazioni, visioni un po` da pazzi, non crede?

- Ma lei ci crede? Pensa che ci siano i fantasmi?

 - Non posso negarlo - risposi con qualche esitazione . - Io ci credo. Quello che vedo, fino a prova contraria, per me esiste. Se lo vedo, e sono sobrio, qualcosa deve esserci.

- Lo vede, lo vede allora? Ci crede anche Lei! Non può negarlo … Allora papà - Dio mio! - sarà proprio all`inferno.

E nel dir così la contadina scoppiò in lacrime.

- Sì, - dissi io allora - credo nell`aldilà, ma non ritengo che ci sia l`inferno o, se c`è, penso che il diavolo non sia brutto come lo si dipinge.

- Questo può essere ... Anche papà, con tutta la sua anima nera, non era affatto cattivo. Anzi, poverino, con me era buonissimo.

- E dunque, perché se la prende tanto? E poi, Lei che poteva farci? La vita di suo padre era di suo padre, no? - Mica era la sua. È già così difficile vivere la nostra … Non crede?

Tra le lacrime rispose: - Ma avrei almeno potuto cercare di correggerlo, no? Avrei dovuto litigare con lui, e non solo dirglielo ogni tanto. Avrei dovuto convincerlo a non bestemmiare. Forse mi avrebbe ascoltato. Tante volte mi ascoltava, perché mi voleva tanto tanto bene. Persino troppo, forse... Perciò ora io stessa, credo, finirò per morire e andare all`inferno. Non ho fatto il mio dovere. Non ho impedito il male mentre si manifestava.

Spazientito mi accesi la pipa, cominciai a camminare su e giù per la stanza. Poi sbottai:- Senta, perché non prova a raccontarmi la sua storia dall`inizio?

- La mia storia in che senso?

- Ma sì, tutta la sua storia. Si fa sempre così, qui, in questo tipo di cura. È la prima cosa. Lei non può accorgersene, ma alla fine io, attraverso le storie del genere riesco sempre a trovare il bandolo della matassa (noi diciamo la causa scatenante: quello che la fa star male senza che Lei ne veda la ragione, insomma). Sa, è come trovare il dente che fa male anche se la carie sia ben nascosta. Una volta trovato, a poco a poco lo si estrae. Vale anche per i pensieri più tremendi. E ciò fatto chi aveva male sta meglio di prima. Ci vogliono mesi, nel nostro caso, ma si può. Al principio bisogna sempre frugare dentro la vita del paziente, di chi sta male insomma: in questo caso Lei. Che ci vuol fare?

- Ma la mia vita è lunga. Ed è piena di sciocchezze. Debbo dirle tutto?

- Sì, tutto. Seguendo una linea, certo. Ad esempio, se vuole ascoltare il mio consiglio potrebbe raccontarmi la sua vita col padre: tutto quello che è accaduto tra lei e suo padre da quando era piccola piccola, per quel che Lei può ricordare, sino a quando è morto. Scommetto che il punto dolente da individuare lo troverò lì. 

- Ecco, in famiglia eravamo in sette. Cinque figli, e papà e mamma. Mio padre, che era un piccolo contadino indipendente, con un solo bracciante al suo servizio (oltre a noi tutti, si capisce), mi voleva un bene dell`anima. Ero in tutto e per tutto la sua beniamina. Lui, per me, faceva proprio sempre quel che poteva. Mi coccolava, oh quanto mi coccolava! E mi viziava anche, sa? Quando, ad esempio, volevo qualcosa e mia madre non mi accontentava, perché magari era un capriccio, potevo star sicura che papà avrebbe comperato quello che desideravo io, sin dalla prima volta che fosse andato in città.

Mia madre, poverina, morì piuttosto presto, di polmonite.

All`età di ventiquattro anni mi sposai. Fu l`unico vero contrasto con papà in tutta la mia vita. Conobbi un bravo ragazzo, intraprendente e forte, contadino anche lui, che mi voleva proprio tanto bene e che mi piaceva molto: mio marito, insomma … Papà non voleva sentire ragioni. Non lo voleva, e non voleva neppure spiegarmi perché non lo volesse. Non aveva niente di speciale da dire contro il mio uomo. Affermava solo che non gli piaceva per niente, forse perché, in un certo senso, il mio uomo è - Dio lo perdoni - il suo opposto ... Comunque allora ero giovane e decisa. Volente o nolente il mio papà, amavo il mio uomo e perciò me lo sposai.

Dopo le nozze, dopo un po’, presi in casa mio padre. Era rimasto solo, vedovo, cominciava a invecchiare, aveva bisogno di cure, o almeno così diceva in continuazione. Io ero sempre stata la sua beniamina. Che dovevo fare?

E qui cominciarono i litigi, tra il mio marito, Franz, che Dio lo perdoni, e il mio papà. Certo papà aveva, povero caro, i suoi difetti. Ogni giorno doveva andare all`osteria, al tramonto, e fermarvisi spesso sino alle ore piccole. E beveva, beveva, beveva, quanto beveva! E litigava con gli avventori. I balordi, credo io, lo stuzzicavano, lo molestavano apposta, e lui reagiva, poverino! E soprattutto bestemmiava, bestemmiava e bestemmiava. (E ciò dicendo la povera donna scoppiò nuovamente in lacrime).

Franz lo sgridava e ne riceveva male parole, a cui replicava gridando anche lui. Diceva che papà era un attaccabrighe, un bestemmiatore e un beone. E, Dio mio, c`era del vero. Insomma, Franz e papà non andavano proprio d`accordo. C`erano continuamente parole dure, nella mia casa. Papà non doveva andare più all`osteria, o doveva andarsene da casa nostra (diceva sempre Franz). In certi periodi questa volontà di Franz si imponeva a mio padre. Ma in tal caso io dovevo andare a prendere l`acquavite a mio padre all`osteria. E non mi divertivo di certo.

- E perché lo faceva?

- Che domande! Ma perché era giusto... La voleva, ne sentiva il bisogno, mi pregava. Come dire di no a un padre così, che mi amava tanto da quando ero nata?

- E dei "no" al suo papà da parte di suo marito, lei che pensava? Come valutava il marito, allora?

- Certo mio marito era, ed è, un uomo "giusto". E bravo anche. Ha avuto l`unico difetto di non obbedire a mio papà. Per me era, ed è, inconcepibile. Bisogna obbedire ai papà, tanto più quando come il mio hanno voluto tanto bene alla propria figliola. Il padre è sempre il padre, che diamine!

- E quando suo marito e suo padre litigavano, lei che faceva?

- Stavo con papà, naturalmente! Anche se non avevo niente da ridire su mio marito, e anche se, Dio mio, per lo più aveva anche ragione nelle sue proteste. Pensavo, e penso, che bisogna sempre stare dalla parte del padre.

E poi, sa, dottore, se devo dirgliela tutta, le debbo confessare una cosa.

- E sarebbe?

- Fin dall`inizio del mio matrimonio mi ero sentita in torto verso papà. Non mi ero forse sposata contro la sua volontà? Perciò, dopo ogni lite tra lui e Franz sentivo che il mio amore per mio marito svaniva a poco a poco, o che scompariva proprio.

A questo punto tacque per un po`, cominciando a piangere sommessamente.

- Coraggio, coraggio, signora ... Cerchi di reagire - dissi io -. La vita va avanti. Suo papà non c`è più, e lei deve reimparare a vivere serenamente con suo marito. Non le pare?

- Ma è proprio ora che non posso più vivere ... Da quando papà è morto, non posso più voler bene al mio Franz. Non riesco neanche a tollerare che mi sfiori con un dito, la notte.

- Ma perché?

- Perché se mio padre esplodeva in tutta la sua ira, tanto spesso, sotto il nostro tetto, e bestemmiava – oh, mio Dio, come bestemmiava! - la colpa era di Franz. Se non l`avesse contraddetto non avrebbe gridato, non avrebbe bestemmiato, bestemmiato e ancora bestemmiato ...

Pensi che Franz una volta giunse persino a cacciare di casa mio padre. E io, disgraziata, accettai la cosa. Avevamo due bambini. Non potevo - mi pareva - lasciarli senza padre. E accettai. Papà visse in un piccolo alloggio in paese, solo come un cane, per due anni.

- E in casa vostra come andava allora?

- Oh, allora - rispose quasi con entusiasmo - si viveva che era un piacere. Andavamo tutti d`amore e d`accordo.

 Ma un po` alla volta il mio cervello cominciò di nuovo ad arrovellarsi. Papà era solo. Aveva la cirrosi epatica. Di tanto in tanto rischiava di morire. Tornava a bere. Si sentiva solo e disperato. Che fare? Era pur sempre mio padre, no? Lo volli di nuovo in casa, nonostante le proteste del mio Franz. In fondo era logico così, sa? Io a mio padre volevo bene, persino più che a mio marito.

Appena il mio vecchio fu di nuovo in casa, però, come d`incanto ricominciarono i litigi, che, Dio mio, proseguirono fino a quando a papà non venne un colpo apotettico...

- Apoplettico...

- Sì, quello lì. E subito morì, nel peccato, sentendosi il diavolo accanto, non salvato da noi, e soprattutto da me …È colpa mia! Avrei dovuto divorziare da mio marito. L`avrei fatto da molto tempo se non ci fossero stati i figli, ecco. Ho commesso una colpa senza perdono sposandomi contro la volontà di papà. Avrei dovuto prendere l`uomo che mi aveva proposto lui, e allora tutto sarebbe andato bene.

Ah, mio marito è molto meno buono di quel che fosse papà. Da lui potevo ottenere tutto, da Franz no. Papà mi dava tutto quel che volevo. E ora vorrei morire, solo morire, morire domani, per stare di nuovo accanto a mio padre, anche all`inferno.

Si mise a piangere a dirotto. Io aspettai che si fosse calmata un poco. Poi le chiesi:- Mi dica ancora una cosa, signora: - Perché mai ha rifiutato lo spasimante che le aveva proposto suo padre se lui era così saggio e bravo?

- Lui chi?- Non certo lo spasimante che voleva farmi sposare mio padre.

- Perché? Che cosa aveva che non andava?

- Si chiamava, anzi si chiama, Antonio. È mezzo scemo, poverino. Era un povero trovatello, e il babbo, un po` per pietà e un po` perché gli serviva un bracciante, e, dato il suo carattere certo non facile, un bracciante che non facesse storie (di buon comando), lo aveva preso in casa sin da piccolo, poco prima che io nascessi. Che vuole? Il povero ragazzo crebbe senza troppe soddisfazioni. Era così stupido che non era riuscito a imparare né a leggere né a scrivere, e non sapeva nemmeno parlare in modo del tutto normale. Diciamo la verità: era ed è un vero imbecille. E poi, era orrendo.

- In che senso?

- Pensi che quando divenne giovanotto gli si svilupparono sul collo dei grumi di ghiandole e alcune si aprivano ogni tanto, emettendo pus. Certo si lavava poco, ma così il suo aspetto diventava, a volte, proprio ripugnante.

 

Qui il vecchio Jung si rivolse a me.

- Capisce, Aniela, che razza di paraocchi può provocare la coscienza infantile?

- E come finì?

- Quella volta finì bene, perché la fonte dei guai non poteva più far danno. Il padre era morto. Il marito di lei era intelligente, e spinse la donna a restare in cura con me per sei mesi. Alla fine, chiarendo ogni episodio, anche il più piccolo, e vagliando tanti sogni terribili, la cosa si sbloccò. La poveretta guarì e poté vivere serenamente il resto di una lunga vita. Ma il punto del nostro discorso è un altro, mi pare.

- Cioè?

- È il quadro clinico iniziale, da noi visto in dettaglio: con quel che significa. La costellazione infantile, i complessi dell`età aurorale della vita, erano così forti che portavano a minimizzare ogni colpa del "grande padre". Questi pareva alla povera donna al di sopra di tutto. Non importava che fosse un ubriacone attaccabrighe, la fonte di ogni litigio e discordia. Al contrario! Il bravo marito secondo lei avrebbe avuto il dovere di sottomettersi a questo terribile vecchio, a questo spauracchio, e alla fine la paziente era giunta a provare rimorso perché il padre non era riuscito ad annientare del tutto la sua felicità facendole sposare lo scemo del villaggio. Ma a rovinare la sua felicità ci provava ugualmente - finché non riuscì a modificare il suo carattere - qualcun altro.

- A chi si riferisce?

- Mi riferisco alla sua stessa nevrosi, che le imponeva il desiderio di morire per andare all`inferno, dove - noti bene - secondo lei si trovava già il padre.

Se vogliamo vedere all`opera una potenza demoniaca - l`Ombra che sovrasta il singolo e con cui egli deve per noi fare i conti, e che alimenta il disagio psichico - la vediamo qui, in queste oscure e silenziose tragedie che lentamente si consumano nell`anima malata dei nostri nevrotici. Alcuni si liberano poco per volta - attraverso continue lotte contro le potenze distruttive del loro stesso inconscio - dalle grinfie invisibili del demone che li spinge, ignari, da una vicenda triste all`altra. Altri si ribellano e conquistano la libertà per venire più tardi respinti, però, nel vecchio sentiero, presi di nuovo dai lacci della nevrosi stessa.

Nessuno, per me, ha il diritto di obiettare che questi infelici non sono altro che nevrotici, o addirittura "degenerati" (come affermavano i nazisti dei pazzi). Se noi uomini cosiddetti normali esaminiamo bene la nostra vita, vediamo anche noi che una mano potente ci conduce infallibilmente verso certi eventi, e non sempre questa mano si può definire benevola. Spesso la chiamiamo la mano di Dio, o del diavolo, e con ciò inconsciamente esprimiamo bene un fattore psicologicamente molto importante, vale a dire il fatto che la coazione che dà forma alla vita della nostra psiche ha il carattere di una personalità autonoma, o viene percepita come tale, cosicché da sempre, e ancor oggi nell`uso linguistico corrente, si definisce la fonte di questi destini come se fosse un demone, uno spirito. Si dice: "Sembrava un demonio", "Non fare il demonio", "Ha un diavolo per capello", e così via. Ma anche: "Può ringraziare il suo angelo custode", "Deo gratias", eccetera eccetera(7).

(segue)

29 settembre 2006

[Le illustrazioni di questa pagina sono riproduzioni di quadri di Marc Chagall]


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