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Il paese dell'anima. Scene dalla vita di Carl Gustav Jung
Il paese dell`anima: VIII) - Convergenze e divergenze da Freud
Franco Livorsi

(franco.livorsi@unimi.it)

- Alla luce di queste sue testimonianze, in fondo Freud - osservai io - con la sua psicologia umana tutta incentrata sullo spettro del padre non aveva affatto torto.
- Lei mi vuole provocare ...
- È il mio mestiere, qui, non è vero?
Ci mettemmo entrambi a ridere.

- Freud - notò il vecchio Jung - ha visto benissimo il grande dramma del confronto con il padre nella vita di ogni uomo (compresa la mia), ma ha scambiato i fantasmi con la realtà. Per lui l`immagine di Dio che c`è nell`inconscio non è altro che una trasposizione fantastica del nostro padre reale, terribile e amorevole. Invece io credo che il fantasma del padre condizioni la nostra percezione del padre reale. Per me è il nostro bisogno di amore e autorità a portarci alla religione del padre, e non l`idolatria piena di timore e amore per il padre reale a generare il bisogno dell`amore e autorità paterni. Il bisogno del padre, e più ancora della madre, è, per me, geneticamente determinato in ciascuno di noi. L`esperienza concreta, poi, lo fa essere in un modo o nell`altro. È vero che il dio padre o la dea madre hanno a che fare con i genitori, ma quest`immagine del genitore, o della genitrice, ha un`energia straordinaria, e influenza la vita del bambino in modo tale che ci si deve chiedere se sia possibile attribuire ad una persona comune simili energie magiche. L`uomo per me è in possesso di tante cose che non ha mai acquisito dall’esterno, ma che ha ereditato, piuttosto, dai suoi antenati. Quando nasce non è una tabula rasa. È solo inconsapevole delle disposizioni ancestrali che operano in lui.

- Qui, però, Lei va già molto oltre Freud. Anticipa quello che poi chiamerà archetipo: l`impronta originaria che c`é da sempre - come immagine carica di significati - in ciascuno di noi.

- Sì, questo l`ho scoperto chiaramente, nella sua diversità da Freud, solo dopo la rottura con il grande padre della psicoanalisi, intorno al 1912.
Per ora basti dire che io ho poi chiamato archetipo il modello istintuale preesistente, ossia l`immagine - o le immagini - della mente che corrispondono ai nostri istinti anche prima che questi entrino in azione in senso forte. Ora quest`imago è dotata di una dinamica che non possiamo desumere solo dall’esperienza dell’uomo singolo, anche rimossa nel suo inconscio personale. È una modalità della specie umana, che il singolo vive partecipandovi a modo suo, ma che gli è data dal suo essere membro appunto della specie.
Il genitore conta tanto, per ciascuno di noi, per questo: perché è una delle figure “archetipiche” che sono in noi da sempre. La potenza dei genitori guida il figlio come un destino superiore. Ma quando il figlio cresce inizia la lotta tra l`atteggiamento infantile e la coscienza, che cresce sempre più. In ciascuno di noi c`é una specie di preistoria, che è l`infanzia. Ora l`influsso dei genitori data da questo nostro personalissimo tempo “preistorico”, infantile, vissuto da ciascuno di noi. Quest`influsso, con la sua forza assoluta, viene rimosso, ma ciò non basta ad eliminarlo. Continua anzi a guidare, con invisibili fili, le creazioni apparentemente individuali dello spirito che matura. Insieme a tutto ciò che è caduto dentro l`inconscio, anche la situazione infantile primordiale invia ancora alla coscienza impulsi oscuri carichi di pathos, ricchi di presagi, del genere di quelli delle persone che hanno l`impressione di subire un influsso segreto, magari dall’aldilà. Questi influssi, si sa, non vengono più riferiti al padre, bensì ad una divinità o a un qualche spirito, sia esso di tipo negativo o positivo per chi li viva. La trasformazione a contatto con l’immagine interiore carica di pathos del padre e della madre, preesistente in noi, evolve poi nella vita vissuta, in parte sotto l`influsso dell`educazione e in parte spontaneamente. Si verifica in ogni tempo e luogo, universalmente. E si fa strada con la forza dell`istinto, anche contro la critica della coscienza. La potenza suggestiva di questa dimensione interiore ampiamente autonoma dalla coscienza è tale da dare all’inconscio un’aura sacra. Per questo, credo, la sua figura centrale, l’anima, merita veramente di essere definita “naturalmente religiosa”. C’è in essa qualcosa che ha la forza immane della natura e che, tramite le immagini che irrompono dall’inconscio, passa dalla sfera sua propria, se vuole dagli istinti, alla coscienza. Ma queste immagini cariche di straordinario pathos che sono come la voce della natura, della specie, dell`istinto, in ciascuno di noi, non sono certo diverse da quelle che il mistico chiama "dio", o “visione di dio”. Le parole sono diverse, ma la cosa che indicano è solo una. Insomma, per tornare al padre, e alla madre, si deve dire che il bambino possiede un sistema ereditario che anticipa la presenza dei genitori in carne ed ossa e la loro possibile azione. Egli ha una sorta di codice genetico psichico in cui essi già sono presenti ed attivi. In altri termini dietro il padre sta l`archetipo del padre, e in quest`immagine eterna, in questo tipo preesistente, sta il segreto dell`efficacia della volontà  del padre reale, simile alla forza che costringe l`uccello a migrare. Questa forza non è prodotta dal singolo, ma deriva dai suoi antenati.
Persuaso da sempre che in noi ci siano impulsi psichici, spirituali, irriducibili a qualsiasi biologia, sin dall`inizio provai a coniugare visione religiosa e visione “sessistica” dell`inconscio. Le due visioni a me non apparivano affatto incompatibili, ma anzi complementari. Potevo persino percepirle come due facce della stessa medaglia. Non ci sono forse manifestazioni religiose in cui l`eros sembra scatenarsi, dalla danza dei primitivi ai riti orgiastici di Dioniso (che i latini chiamavano Bacco), sino a certe feste di Shiva ancora nell`India d`oggi?
Su ciò già nel 1910 ebbi un curioso, ma per me molto significativo, scambio epistolare con Freud. Egli mi aveva comunicato la proposta di un noto farmacista pacifista di Vienna, tale dottor Knapp, di aderire ad un`associazione internazionale per la morale e per la cultura, volta alla diffusione degli ideali di progresso e di convivenza tra i popoli, di cui allora molto si parlava (come in tutte le vigilie di grandi guerre). Io mi schermii dicendo che se avesse dovuto esservi un allargamento dei nostri orizzonti dalla cura del disagio psichico del singolo sino al campo collettivo, il terreno da invadere - con la nostra psicoanalisi - non avrebbe dovuto essere quello immediatamente "sociale", ma quello delle religioni e dei relativi movimenti collettivi. Ciò corrispondeva del resto alla mia più profonda aspirazione, tanto che allora scrivevo in tal senso a Freud qualcosa che ora voglio leggerle.

  E ciò detto Jung trasse da una cartellina, che aveva già posto appositamente sulla scrivania sin dal giorno prima, la minuta di una vecchia lettera ormai ingiallita a Freud, e me ne lesse qualche brano.

"Se una coalizione deve significare qualcosa sul piano morale - dicevo -, non dev`essere nulla di artificioso, ma qualcosa di connesso agli istinti profondi della nostra specie. Deve essere una credenza o un insieme di credenze con forte radicamento nella nostra psiche, come lo furono il cristianesimo, l`islamismo e il buddhismo specie nelle fasi espansive. Certo le religioni hanno un forte radicamento nell`anima. Se muoiono, possono essere sostituite solo con altre religioni; non da edificanti o anche ragionevoli forme di pensiero debole, che al massimo possono valere per i pochi che riescono ad essere saggi con le loro sole forze (ammesso che esistano). Tutti gli altri, e forse tutti quanti, hanno bisogno di miti viventi, interiormente forti, sentiti come eternamente veri.
Vedo anch`io che il cristianesimo è in crisi. Forse aveva ragione Nietzsche dicendo che il suo Dio è morto. Ma allora i duemila anni di cristianesimo debbono essere rimpiazzati con qualcosa di equivalente. Un movimento morale, o politico, che non abbia in sé niente di mitico, e che dunque non poggi su nessuna forza arcaico infantile, è invece un vuoto puro. È come una pianta senza radici, destinata a morire presto. Invece per essere durevole, efficace psicologicamente, salvifico, un movimento storico deve avere un poca di quell`antichissima forza che spinge gli uccelli migratori a varcare i mari, e senza la quale non si avrebbero le transumanze irresistibili delle greggi."

- Impressionante - dissi io -. Così Lei, sin dal 1910, in pratica parlava già di “archetipi” dell`inconscio collettivo: di “impronte primordiali” inscritte in ogni essere, da cui si dovrebbe comunque partire. E poneva la questione del riformare le religioni psicologizzandole, come avrebbe fatto nel 1958 con il suo grande saggio su presente e futuro?.

- Praticamente sì, tanto più che seguitando dicevo: "Penso che occorrerebbe lasciare ancora alla psicoanalisi il tempo di filtrare da molti centri nei popoli, di diventare cultura nel senso sociale e antropologico, di ridar vita negli intellettuali al sentimento del simbolico e del mitico. Si tratta di trasformare pian piano Gesù Cristo nel profetico dio della vite che egli fu ..."

- Qui io non capisco ...

- Volevo dire che l`antecedente storico dei misteri di Cristo - della messa, in cui il vino si trasforma in sangue e l`ostia in corpo del dio - sono i misteri di Dioniso, il dio greco della vite. Nella sacra processione di Dioniso il dio, simboleggiato da un capretto, era fatto a pezzi dalle baccanti, poi divorato mentre il suo corpo era ancora caldo. Esse pensavano che tramite il sangue, considerato del dio, Dioniso stesso sarebbe entrato nella loro anima. E naturalmente ritenevano che il succo della vite, che esse – sempre nei loro riti notturni tra i boschi o sui monti, mentre invocavano di continuo il dio - bevevano in modo smodato (un vino forse allungato con droghe che oggi diciamo allucinogene) - fosse il sangue del dio. Sembra che durante queste orgiastiche processioni, funzionali alla vendemmia, ma con un significato tanto profondo, esse ad un certo punto credessero veramente di vedere, o comunque di sentire, il dio, presente in tutta la sua numinosa potenza in mezzo a loro, in loro. Cadevano insomma in uno stato estatico. Quello che per tal via si esprimeva, era sempre il tema del dio che muore e rinasce, come deve fare la natura, come dobbiamo fare tutti noi - cara Aniela - se vogliamo accedere al Sacro, e di lì a nuova vita. "Per tal via - proseguivo - potremo assorbire immense forze latenti che tendono all`estasi, alla visione e congiunzione diretta con la divinità. E così potremo fare del culto e del mito ciò che originariamente dovevano essere: ossia l`ebbra celebrazione della gioia di vivere, nella quale l`animale può continuare a essere tale, ma in éthos e santità." L`istinto dell`animale deve insomma fondersi con la coscienza morale, ma senza venire sacrificato ad essa, o addirittura senza venire affatto soppresso da essa ...

- Mi pare che il filosofo Bergson proprio allora parlasse della necessità di un “ritorno cosciente dell`uomo all`istinto” ...

- Precisamente: ritorno all`istinto, ma con la coscienza di sé, e dunque con il senso morale, che ci caratterizza pure come specie. Siamo animali e più che animali; e purtroppo quest`essere animale, e questo "più" rispetto all’animale che pure siamo, convivono in noi in modo difficilissimo, in un precario equilibrio. La psicoanalisi, come cultura - prima e più ancora che come cura - dovrebbe essere la via della grande armonia, o ricongiunzione, tra queste due attaccature, così facili a rompersi nel nostro essere: appunto la coscienza e l`istinto, che dovrebbero diventare due in uno, in ciascuno di noi e anche nella civiltà umana.
Io, badi bene, non proponevo - diversamente dal mio vecchio amato Nietzsche - di ripudiare il cristianesimo per tornare a Dioniso. Non dicevo, come lui nel 1888, "Dioniso contro il Crocifisso". Volevo piuttosto scoprire Dioniso nel Crocifisso, e il Crocifisso in Dioniso. Infatti notavo anche: "Una pura e autentica evoluzione morale non deve abbandonare il terreno del cristianesimo, ma deve svilupparsi nel suo grembo. Deve condurre a pienezza il suo inno d`amore ..."

- Mi viene in mente il Cantico delle creature di San Francesco ...

- Già, lui e il nostro Frate Klaus erano "dei nostri" ... "Deve - dicevo ancora - esprimere il dolore e il rapimento per il dio che muore e risorge, la forza mistica del vino, e i brividi antropofagici della comunione ..."

- ... che sono poi i brividi di cui avrebbe pure parlato Freud in Totem e tabù.

- Sì, ma a modo suo ... E concludevo: "Solo questo genere di evoluzione morale fa proprie e utilizza le grandi forze vitali dell`animo umano, mentre un`associazione di puro miglioramento materiale dopo dieci anni torna a morire", o in sé o per il singolo che vi abbia creduto, la cui fede per lo più si isterilisce. Pensi un po’ alla fede nei partiti, almeno da parte delle persone intelligenti o che non caccino la testa sotto la sabbia come gli struzzi o, peggio ancora, ma queste non sono mai intelligenti, che non siano fanatiche …

- E Freud? Che cosa le rispose Freud?

- Mi diede una risposta laconica e freddina, in cui asciutto asciutto diceva di non aver mai voluto fondare una nuova religione. Era il suo modo di dirmi: alt!

- Nonostante questo modo diverso di considerare il Sacro nell`inconscio, se non erro i suoi rapporti con Freud allora erano piuttosto buoni.

- Sì, io direi, anzi, che erano ottimi. O almeno tali parevano a tutti quanti, me compreso, anche se io seppi sempre - a meno che non lo pensi ora col senno di poi - che Freud era diverso da me. Sapevo che da lui stavo apprendendo, e che avrei appreso moltissimo. Ero anche lusingato e grato per il suo grande apprezzamento. Egli  mi dava la sua amicizia, che per me, anche psicologicamente, era molto importante. Riconoscevo che allora egli era più esperto di me nell’esplorazione delle profondità abissali dell’animo umano. Ma ero spesso più convinto che persuaso dalle sue idee più caratteristiche. Sentivo che la relazione tra le nostre concezioni della vita - anche psichica - era più di convergenza che di concordanza. A tratti intuivo oscuramente che si trattava, tra noi, più di una grande alleanza, benefica per entrambe le parti, che non di una vera unità di pensiero. Intuivo oscuramente che c’erano tra noi differenze profonde, che per allora non sapevo e forse neppure volevo formulare. Ma, soprattutto, sapevo che non avrei potuto restare sempre attaccato ai calzoni di quel grande padre spirituale, anche se come ogni padre egli lo avrebbe desiderato con tutto il cuore.
Comunque anche l`idea del padre come archetipo, come immagine arcaica piuttosto che come uomo in carne e ossa, maturò in me, in tutta la sua forza dirompente, solo dopo un certo tempo dall`inizio del nostro sodalizio, man mano che intervenivano i grandi motivi dottrinari di separazione. Allora, intorno al 1910, pareva dovessimo andare d`amore e d`accordo chissà per quanti anni ancora. Forse per sempre. Egli andava dicendo a tutti che ero il suo Delfino, il suo principe ereditario. L`investitura, che avrebbe dovuto farmi piacere, da un lato - non posso negarlo - certamente mi lusingava, ma dall’altro era per me fonte di autentica angoscia. Lei penserà certo che io dica così perché con Freud poi c`è stata rottura (o se non lo pensa potrebbe pensarlo), ma non è così. Mia moglie Emma sapeva bene come stavano le cose, e, senza il mio permesso- cosa che mi irritò molto quando lo seppi, lo confesso - scrisse su ciò una letterina a Freud.

- Sua moglie conosceva Freud ?

- Ma certo! Egli era spesso nostro gradito ospite qui in Svizzera, in questa villa sul lago, che mi ero appena fatto costruire.

- E che cosa diceva la signora Emma a Sigmund Freud ?

- Non so se faccio bene a farle leggere la letterina in questione, ma tant`è ... Ormai siamo in ballo ... Sarà cosa di un momento. Poi rimetteremo tutto nella cartellina.

E ciò detto Jung estrasse da un armadio la letterina ingiallita di Emma Jung e lesse lui stesso.

- Senta qui che cosa gli scriveva la mia Emma: "Non si è impunemente figli di un grand`uomo" (questo era detto per Freud, che si sentiva mio grande padre), "dal momento che costa già tanta fatica staccarsi dai padri comuni. E quando poi questo padre importante ha addirittura il gusto della famiglia patriarcale come disse Lei stesso …"
Era acuta la mia Emma, è? E senta ancora questo: "Mi sento felice e onorata per la fiducia che Lei ha in Carl, ma mi sembra quasi che Lei a volte dia troppo. Non crede di essere eccessivo nel vedere in lui il successore e colui che porterà a compimento la sua opera? Non succede, spesso, di dare parecchio perché si vuole parecchio?"
Emma aveva capito che Freud voleva scambiare con me fedeltà assoluta alla sua dottrina e mio potere sugli adepti. Ma non era cosa per me, questa.
Quando intervenne la rottura tra me e gli psicoanalisti freudiani proprio il più ortodosso di tutti quanti, Ernest Jones, che sta ora scrivendo - pare - una grande biografia di Freud, me lo disse, prendendomi da una parte, mi pare al congresso di Monaco di noi psicoanalisti del 1912. Eravamo nell`atrio di un piccolo teatro, accanto ad una colonna in stile liberty.

- In questo congresso c`é molta animosità nei suoi confronti, Jung, ma io non ce l`ho con Lei. Sono sì, di cuore, e anzi di tutto cuore, con Freud, ma so bene che la rottura tra voi due era scritta negli astri.

- In che senso?

- Ma da un lato perché Lei stesso mi ha spesso indotto a pensare ciò. Ricordo che una volta Lei mi ha detto di sentirsi un eretico per natura, e di essere anzi stato inizialmente attratto nel nostro sodalizio psicoanalitico anche per carattere ritenuto allora generalmente eretico del pensiero di Freud. Il solo fatto che tutti lo attaccassero pareva a Lei motivo buono per metterne in rilievo i lati buoni. Ma le sue riserve si sono sempre fatte sentire, se uno voleva sentirle. A Freud, Lei ha sempre dato le spalle, ma mai il viso.

- E voi freudiani ortodossi lo avevate capito subito?

- Sì, sin dalla sua prima relazione, mi pare del 1907, sulla pazzia, o "dementia praecox". E poi, sa, senza voler sopravvalutare queste cose, eravamo aiutati da un sesto senso di razza.

- Addirittura di razza?

- Ma sì, sì, quasi tutti gli psicoanalisti sono ebrei, è evidente, e Lei invece è un "gentile". Anche Freud sapeva che c`era in Lei un substrato nordico e cristiano, un misticismo alla san Giovanni della Croce, che con la sua forza irresistibile condizionava l`accettazione di una teoria materialistica, scientifica, laica e sostanzialmente atea come la nostra.

Alcuni di noi, anzi, nel 1910 cercarono sino all`ultimo di convincere Freud a desistere dall`idea di farla presidente della neonata Associazione Psicoanalitica Internazionale.

- Anche Lei?

- No, io no, come può ben immaginare.

- Il battistrada dei contrari sarà stato Abraham, immagino.

- Sì, posso ben dirlo, ora, tanto più che di qui in poi per lui questo precedente sarà tra noi freudiani un titolo d`onore.

- E Freud che disse?

- Stava lasciando la sala del nostro congresso costitutivo, e parlava con una decina di noi, tra cui Abraham, il più riluttante ad accettare la sua presidenza. Freud si allacciò lentamente il cappotto e, dal più al meno, disse:- Voi siete nella grande maggioranza ebrei, e perciò non siete in grado di guadagnare amici alla nuova dottrina. Gli ebrei, nella psicoanalisi, debbono accontentarsi della modesta funzione di preparare il terreno. È assolutamente essenziale che io stringa dei legami con il mondo della scienza in generale. Avanzo negli anni e sono stanco di essere continuamente attaccato. Noi tutti siamo in pericolo. Non sentite il furore teutonico che cova sotto la cenere contro di noi, e contro la psicoanalisi?
Non mi lasceranno neppure un cappotto addosso.
Lo svizzero ci salverà. Salverà me e salverà anche tutti quanti voi.

- Dunque - dissi allora io al vecchio Jung - lo scontro era, se capisco bene, tra materialismo e spiritualismo: tra l`antica idea, che fu pure di tanti padri farisei della mia razza, e che è oggi condivisa da gran parte della scienza, dell`inesistenza di un`anima spirituale separata dal corpo (o dell`anima tout court), e la sua psicologia profondamente “animica”?

- Sì, direi di sì.

- Ma è possibile che un problema così astratto - così filosofico più che scientifico, in fondo - potesse avere una forza di rottura tanto grande?

- Benedetta ragazza, - osservò Jung ridendo - vede che il suo materialismo atavico viene fuori? Gli ebrei possono credere in una cosa tanto inconcepibile come la resurrezione dei morti, con tutta la loro carcassa ormai dissolta dal tempo, e magari con lo scoperchiarsi di miliardi di tombe, o comunque in qualcosa del genere, nel giudizio universale, ma nella linea dominante della loro cultura non riescono a credere nell`immortalità o eternità della psiche, alla quale invece noi cosiddetti ariani siamo così portati ad aderire.

- Veramente la fede nella resurrezione dei morti è anche, se non soprattutto, cristiana, mi pare.

- Sì sì, ma ha una bella radice ebraica. Invece dell`immortalità dell`anima si ha il morto che si risveglia, col suo corpo di diamante, ma concreto come il mio e il suo. Ammetto che le cose siano felicemente contraddittorie anche nei testi sacri, ma in linea di tendenza mi pare che lo si possa dire.

- Ma come si manifestarono, dapprincipio, le vostre divergenze?

- Vede, io mi sono sempre interessato - come ormai sa bene - anche di parapsicologia. Sin dal tempo dell`Università avevo letto gran parte della letteratura in proposito.

- Del resto Lei fece persino la tesi di laurea sullo spiritismo e quello fu il suo primo libro.

- Sì, ma un po` ciurlando nel manico: relativizzando molto i fenomeni descritti, attribuendoli all`isteria della cugina Elly (voglio dire alla medium in questione).

La parapsicologia, certo, è una sapienza in cui il grano e il loglio sono ancora confusi, molto confusi, ma nelle sue penombre fioriscono pure bellissime rose. Ci sono tante cose che fanno pensare.

Freud, che era portatissimo a credervi, non voleva piegarvisi.

- Sì??

- Lei potrebbe intuirlo già da una delle folgoranti epigrafi del suo opinabilissimo, ma splendido, libro Interpretazione dei sogni.

- Cioè?

- È il verso di Virgilio, posto come epigrafe del libro, nel novembre 1899: "Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo". Vale a dire: "Se non posso piegare gli dèi del cielo, muoverò quelli dell`Acheronte".

- Ed ecco - dissi io, meditabonda - il primo cenno alla nékya greco antica, alla discesa di Ulisse o magari di Orfeo o di Enea stesso agli inferi, nel regno dei morti, equivalente per noi a quella negli abissi dell`inconscio, in cui stanno le ragioni seminali del nostro essere profondo, e pure delle nostre pene - fare irruzione nella nostra scienza.

 - Ricordo - notò Jung - una delle discussioni tra me e Freud sulla parapsicologia, di cui io e Ferenczi - un suo notevole seguace ungherese – avevamo - autonomamente l`uno dall’altro - deciso di occuparci, o, nel mio caso, di tornare ad occuparmi.

Una volta, nell`aprile del 1909, mi trovavo ospite a casa di Freud. Discutevamo appunto di parapsicologia.

 - Per me - dicevo io dopo aver appena sorseggiato il caffè del dopo pranzo - la parapsicologia è una scienza in divenire, una scienza allo stato nascente.

- Ma non ci sono scienze allo stato nascente, caro Jung. La scienza c’è o non c’è. Può bastare un teorema solo, ma quello deve esserci. Altrimenti per me non c’è geometria.

- Vale anche per la psicoanalisi ?

- Ma certo. Anche noi abbiamo il nostro teorema di Pitagora  ...

- Cioè di Freud (dissi io sorridendo).

- Se preferisce (osservò Freud lusingato).

- E qual è, di grazia?

- Ma è l`"Edipo" naturalmente. È il carattere universale del complesso di Edipo, l’eroe che amò sua madre e uccise suo padre seguendo un  tragico destino - incestuoso con lei e di lotta a morte con lui - : destino che ogni individuo deve vivere nella prima infanzia e poi superare. A quello scenario paradigmatico si legano, per me, tutte le nevrosi. Chi persiste in quelle morbosità necessarie della prima infanzia anche dalla pubertà in poi è nevrotico. 

- Lo so, lo so. Ma che cosa servirebbe, secondo Lei, per rendere scientifica la parapsicologia?

- Un esperimento, anche un solo esperimento, ma riproducibile in condizioni di assoluto controllo.

- Ma anche il complesso di Edipo non si può riprodurre a volontà.

- Sì, ma tutti lo provano. C’è una sua evidenza.

- È però anch’essa contestata ...

- Caro Jung, non parlerà mica un po` per partito preso, per spirito di contraddizione?

- Io???

- Vede, caro Jung, ci sono tanti veri ciarlatani che fanno di tutto per far passare noi psicoanalisti per gente come loro. Non dobbiamo prestare il fianco. Dobbiamo attenerci a leggi reiterabili, tali da riguardare fenomeni che si manifestino in ogni uomo sotto qualsiasi latitudine e anche in qualsiasi tempo.

- Per me va bene, ma sa quanta gente contesterebbe quest`idea di un uomo sempre uguale a se stesso indipendentemente dalla società in cui vive e addirittura dalla storia?

- Il latino della scienza non è fatto per gli illusi che vogliono salvare il mondo una settimana sì e una no, si chiamino questi Gesù Cristo o Carlo Marx (tutti miei compagni di razza, tra le altre cose).

- Mi pare che il suo punto di vista sia un po` troppo positivista. Lei, lo scopritore della dinamica autonoma dell`inconscio, sembra credere solo nelle cose che si toccano, mentre sa meglio di me che siamo avvolti dal mistero.

- Sì, questo sì - rispose Freud come parlando a se stesso -, ma dobbiamo cacciare i misteri irrisolvibili fuori dalla porta, e anche dalla finestra. Se siamo scienziati dobbiamo seguire il criterio del “rasoio” del filosofo medievale Occam. "Delle cose di cui non possiamo parlare", in termini razionali, almeno come scienziati "dobbiamo tacere". Dobbiamo mettere la chiave sotto lo zerbino, credo per sempre.

- Eppure Lei sa meglio di me che la telepatia esiste, e se esistono pensieri che si trasmettono senza fili da un posto all’altro, o che si incontrano l`un l`altro - come con i nostri pazienti ci accade tante volte - come possiamo negare la parapsicologia? Chi ammette la telepatia deve ammettere la serietà della ricerca della parapsicologia.

- Ammetto la telepatia. Ma penso ugualmente che dobbiamo stare alla larga dalla parapsicologia. Dobbiamo evitare di passare per guaritori da baraccone. Sarebbe la fine della nostra scienza. Lei, che è molto portato per tali cose, deve starci più attento di ogni altro.

- E che ci posso fare io? - dissi quasi come in un lamento -. Posso forse censurare le mie opinioni come i preti cattolici, e anche protestanti per la verità, per credere nei dogmi, siano essi pure i nostri?

- No, questo no. Sarà sufficiente difendere il bastione principale.

- E sarebbe?

- È la nostra teoria della sessualità (del carattere sessuale di tutte le nevrosi). Mio caro Jung, mi prometta che non abbandonerà mai tale teoria. Questa è per noi la cosa più importante. Vede, dobbiamo farne un dogma, sì, proprio un dogma, un incrollabile baluardo.

- Dio mio, caro professore. Ma siamo scienziati, o almeno cerchiamo di esserlo. Lei mi ricorda, in questo momento, mio padre quando mi diceva: "E promettimi solo questo, figlio mio, che andrai in chiesa tutte le domeniche". Lei vuole costruire un baluardo, ma io - a parte i dubbi che provo come laico di fronte ad ogni nozione di rocca della verità - mi chiedo a che dovrebbe servire questa nostra fortezza inespugnabile.

- Deve e dovrà servire, caro Jung - glielo dico, anche se so che la cosa non Le farà piacere - contro la nera marea di fango dell`occultismo. Capisce ora perché cerco di dissuaderla dall`interessarsi di parapsicologia?

Ammutolii, forse un po` offeso intellettualmente. Poi percepii, in me stesso, uno strano stato di agitazione. Mi sentivo le caldane come accade talora alle donne quando smettono di essere feconde. Era come se fossi sull`orlo di un infarto o di uno choc. Freud se ne accorse, naturalmente. Provò a richiamarmi con dolcezza.

- Ma che cos`ha, caro Jung ? Mi sembra quasi sull`orlo di un crollo nervoso. Non sarà mica per quel che ho appena detto, no? Noi, uomini dell`inconscio, non dovremmo mai esagerare l`importanza delle opinioni. Come il popolino sa benissimo, ci sono cose più importanti delle opinioni, nella vita reale. Ma che si sente, diamine?

- Provo una strana sensazione. Ho l`impressione che il mio diaframma si sia indurito come il ferro e sia anzi arroventato come metallo incandescente.

Proprio in quel momento si sentì un grande schianto nella libreria. Balzammo in piedi spaventati, temendo che essa potesse caderci addosso.

Freud, assai turbato, chiese:- Che può essere stato?

Io, che ora ero diventato più calmo che mai, notai:- Ecco, questo è un esempio del cosiddetto fenomeno di esteriorizzazione catalitica.

- Ma non dica sciocchezze, Jung!

- Non sono sciocchezze, caro professore.

- E come può esserne così sicuro?

- Perché sento, sento che tra un istante ci sarà un altro schianto dello stesso genere.

In effetti un istante dopo si sentì uno schianto anche superiore al primo. Freud mi guardò a lungo, senza profferire parola. Era come di sasso.

Il mattino dopo mi accompagnò alla stazione. Io, colpito dal suo turbamento del giorno prima, avevo deciso di non tornare più sull`argomento e in ogni caso di minimizzarne la portata, per non pregiudicare il nostro dialogo a venire con uno scontro di opinioni troppo netto, su cose di cui oltre a tutto non sono mai stato tanto sicuro nemmeno io, pur essendo sempre stato aperto all`esperienza e ai suoi misteri. Ma lungo il tragitto Freud stesso volle tornare sull`argomento, mentre una carrozzella scoperta ci portava alla stazione.

 - Ora, caro Jung - disse Freud - temo di dover di nuovo riprendere la mia parte di padre, per dirle una volta per tutte quali sono le mie vedute sui fenomeni spiritici. Debbo farlo, perché le cose, creda a me, in proposito stanno ben diversamente da come piacerebbe credere a Lei.

- Dica pure. Sono tutt`orecchi.

- Non nego di essere stato molto impressionato dai suoi esperimenti e dalle sue considerazioni. Ma quando Lei è andato a letto, ho deciso di fare qualche verifica.

- Sì?? E che cosa ha scoperto?

- Deve sapere che nella stanza accanto a quella in cui stavamo ieri si sentono diversi scricchiolii, proprio in corrispondenza alle due pesanti statuette egiziane antiche, di cui come sa sono appassionatissimo raccoglitore ed estimatore, e che sono posate sulla tavola in quercia della scrivania. Nel salotto accanto alla sala in cui ieri eravamo, i rumori sono invece rarissimi (questo è vero).
Quando sentimmo quel doppio schianto, fui propenso ad attribuire ad esso un significato diciamo pure paranormale. Ma il rumore era connesso al carico eccessivo dei miei libri sugli scaffali della libreria. Esso si ripeté più volte nelle ore in cui Lei dormiva, e ciò senza che la cosa fosse ormai minimamente in rapporto con i miei pensieri, o con considerazioni che riguardassero Lei o i suoi particolari problemi di fantasmi.
Le dico di più. La mia credulità, o almeno la mia particolare propensione a credere con facilità, svanì non appena cessò la suggestione della sua presenza in sala. Mi sembra dunque assai improbabile, per varie ragioni profonde che non sto a richiamare ora, che fenomeni del genere possano ripetersi.
Lei dormiva, e i mobili mi stavano davanti non più animati da spiriti. Vedevo ora la natura, come dice Goethe, non più animata da dèi dopo che essi avevano abbandonato la Grecia antica.

- Dunque, Lei giunge a questa conclusione?

- Sì, e perciò, se me lo permette, io inforco di nuovo i miei paterni occhiali montati in corno (lo fece effettivamente) e ammonisco il mio caro figliolo e Delfino a voler rinunciare piuttosto a capire qualcosa anziché far compiere all’intelletto i grandi sacrifici che l`aprirsi a tali dubbie faccende comporta e comporterà sempre.

- E se - chiesi io dopo qualche istante di silenzio - parlassimo d`altro, caro professore? Non dico che quel che Lei afferma sia sbagliato. Vorrei però rifletterci ancora a lungo, facendo nel mio privato tutte le letture su tali cose che mi parranno chiarificatrici.

- Va bene, va bene, caro Jung. Lasciamo stare, lasciamo stare, se preferisce.
Pensiamo piuttosto al nostro prossimo viaggio in America. L`invito è giunto ad entrambi - senza che ci ponessero direttamente a confronto a quel che pare - da parte della stessa Università …Come diavolo si chiama?

- La Clark University, del Worcester, nel Massachutess.

- È stata una bella combinazione.

- Chiamiamola pure così, tanto per non tirare in ballo gli spiriti del cielo (dissi io ridendo).

- Per la prima volta potrò parlare della nostra psicoanalisi ad un pubblico internazionale, anche se non proprio del paese che avrei voluto io …, ed anzi, se debbo essere sincero, in un paese straniero che mi sta alquanto sull`anima, se non vogliamo parlar di palle … Sì, sì, sia detto tra noi … Io, certo, avrei preferito un grande paese della vecchia Europa: l`Inghilterra ad esempio, o anche la Francia. In tal caso saremmo sempre stati nel nostro humus. Che possono capire gli americani - quella gente senza radici proprie, quei fanciulloni, quegli europei mancati - di verità emerse dai profondi abissi del nostro mondo ebraico e greco?

- … e cristiano.

- Certo, e anche germanico se preferisce.

- A me invece gli americani piacciono molto. Sono gente libera, spontanea, intraprendente, e forse con un grande futuro.

- Non vorrà mica paragonarli a popoli come tedeschi o inglesi? Quelli sì che hanno un grande passato, che poi vuol pure dire avere un grande futuro. Dove sono i Dante, i Michelangelo, i Goethe e gli Shakespeare d`America?

- Diamo tempo al tempo, professore. (Risi, e sorrise anche Freud).

- Potremmo partire insieme da Brema. A noi potrebbe aggregarsi il caro giovane collega ungherese Ferenczi, che a quel che capisco piace molto anche a Lei, non è vero?

- Sì, è anzi il collega non svizzero, dopo di Lei, che io senta più affine.

- E lo capisco. È stranamente imparentato al suo proprio modo di pensare. Tende lui pure al misticismo e, ahimè, alla parapsicologia.

- Lasciamo stare, lasciamo stare …- dissi io ridendo.

- Ma sì, ha ragione - disse Freud sorridendo -, lasciamo stare. Allora Le scriverò per l`albergo a Brema. Io sono già stato all`Hotel del Reich. Se vuole potrò prenotarle una camera.

- Benissimo, benissimo. Basterà che Lei mi scriva due righe in proposito.

Scesi davanti alla stazione e afferrai con la sinistra la grossa valigia. Strinsi la mano a Freud con forza, dopo aver messo i bagagli a terra.

- Non scenda, non scenda, professore - raccomandai a Freud -. I suoi pazienti l`attendono. Grazie infinite di tutto, e perdoni le mie eresie, anche se io non riesco tanto facilmente a rinunciarvi …

- Ma Le pare, caro Jung? Vederla e parlarle per me è sempre un piacere. Lo sa bene, no?

- Grazie di tutto, dunque, e a presto.

-----

In effetti ci ritrovammo, poco tempo dopo, nella sala da pranzo dell`Hotel del Reich di Brema: io, lui e il caro Ferenczi. Ma i problemi di dialogo non erano finiti. Il padre della psicoanalisi non era mai stato in analisi, e nonostante la lunga e coraggiosa autoanalisi, di cui tanto si è parlato, qualche grossa traccia di nevrosi in lui permaneva. A tavola - non ricordo neanche perché - ad un certo punto si cominciò a parlare del fenomeno dei cadaveri nelle paludi. Mi pare che ad introdurlo fosse stato Ferenczi, ma io mostrai subito di interessarmene oltre ogni limite. Purtroppo …

 - Lei, Jung, - chiese il nostro Sàndor - ha mai sentito parlare di questa faccenda dei cadaveri delle paludi in Germania?

- E come no? Non solo il nostro professor Freud, ma anch`io sono attratto dal mondo archeologico, e anzi da tutto ciò che è primitivo.

- Infatti tutto ciò - disse Freud - è ben vicino al mondo dell`inconscio, che tanto interessa noi.

Ma di che si tratta? Io, ad essere sincero, non ne so niente. Mi interessa, anche se i discorsi sui cadaveri mi hanno sempre messo un po` di timor panico. È irrazionale, lo so, ma che posso farci?  Ciascuno di noi ha le sue debolezze, non è vero?

- Certo… Questi "cadaveri delle paludi" sono semplicemente corpi di uomini vissuti nell`epoca della preistoria nella Germania settentrionale. Essi annegarono lì, decine di migliaia di anni fa, o vi furono seppelliti dai loro pietosi figlioli.

Nel dir così, inavvertitamente, dovetti fermarmi a fissare Freud, che subito aggrottò severamente le ciglia come faceva quando qualcosa non gli piaceva. Io, però, niente affatto preoccupato per la sua reazione, proseguii.

 - L`acqua degli acquitrini nella quale i corpi morti giacciono - notai - contiene acidi dell`humus, che da un lato consumano le ossa dei cadaveri, ma dall’altro ne conciano la pelle, sì che questa e i capelli risultano, quando li si ritrova, conservati perfettamente. Sostanzialmente si tratta di un processo di mummificazione naturale, nel corso del quale i corpi sono schiacciati sino ad appiattirsi sotto il peso della torba. E infatti i resti vengono sempre ritrovati da scavatori di torba: nello Holstein, in Danimarca e in Svezia.

A questo punto intervenne Freud, stranamente irritato:- Vorrei proprio sapere perché ci tiene tanto a questi cadaveri delle paludi, Jung …

- Ma sono resti della preistoria: di quell`uomo antichissimo, e certo ancora dominato dall`inconscio che è padre di tutti noi, dal quale tutti discendiamo …

- Padre vero? Padre nella palude: ucciso, sepolto e mummificato, non è così?

Si alzò, e proprio in quell`istante sentì che tutto gli girava intorno. E svenne.

- Dio mio, - gridò Ferenczi - che abbiamo combinato?

Subito volli intervenire, toccai Freud sotto la testa e lo osservai.

- Niente di rotto, per fortuna. Ora lo porterò sul sofà …Abbiamo assistito ad uno svenimento isterico in piena regola.

Sollevai Freud di peso, aiutato da un cameriere subito accorso. Lo deposi su un sofà. Dopo qualche istante, e qualche piccolo schiaffetto sulle guancia, Freud si risvegliò.
Egli mi rivolse uno sguardo tristissimo.

- Sono svenuto, vero? - osservò.

E Ferenczi:- Sì, e ci ha fatto prendere un bello spavento.

- Vada a prendermi un cognac, Sàndor, se non Le spiace.

Rimasi per qualche minuto, solo, al suo capezzale.

- Dio mio, professor Freud, che Le è capitato?

- Debbo proprio dirglielo?

- Sì, sì, La prego nel modo più vivo …

- Lo so che Le parrà un`assurdità, e Lei non ne può niente, caro Jung. Ma io ho pensato, con momentanea angosciosa certezza, che tutto quel suo chiacchierare sui nostri “padri” nella palude sottendesse …

- Che cosa, di grazia?

- … un suo desiderio inconscio di vedermi morto: la tendenza a sacrificarmi come sostituto del padre, o come padre della nostra confraternita psicoanalitica.

Quasi disperato osservai:-  Ma come ha potuto, caro professore, come ha potuto attribuirmi un simile pensiero?

- Non se la prenda, Jung ... Il fatto è che Lei ha il complesso del figlio ribelle, chiamato a detronizzare il padre.

- Lei lo pensa?

- Sì, certamente. Lei è un eretico nato, o, se preferisce, un rivoluzionario …

- Io però non La sento come padre, ma semmai come un maestro, come un fratello maggiore, e come un alleato …

- Storie! Storie, Jung! Tutti gli psicoanalisti mi sentono come il loro padre. Sono il loro Mosè, e i colleghi di più forte personalità debbono per forza volermi uccidere. È fatale. È la tragedia di Edipo o - vedendo la cosa dalla mia parte - di Laio, il grande padre di Edipo, che questi - in apparenza suo malgrado - accoppò.
Del resto Lei sa benissimo che cos`è l`ambivalenza emotiva. Noi possiamo al tempo stesso amare molto qualcuno e desiderarne a tratti, ma intensamente, la morte. L`odio si cela, è latente, anche nel cuore dell`amore. Specie tra figli e genitori, o tra fratelli.
Ma cerchiamo di porre almeno sotto chiave questi pensieri tristi, e concentriamoci sul nostro viaggio.

Procedemmo nel nostro viaggio per l`America su una bella nave da trasporto. E, un po` per ingannare il tempo, un po` per istruirci vicendevolmente, decidemmo di raccontarci, a colazione, i nostri sogni. Di quelli di Freud non posso dire, perché il segreto professionale per me vale anche ora, dopo che è morto da un buon ventennio. Ci mancherebbe altro … Posso però dire della discussione sui sogni miei: sogni, come ben può capire, da evocatore di miti, che però Freud voleva sempre ridurre a conflitti edipici. Siccome l`Edipo personale, infantile, per mia fortuna io l`ho superato bene, essendo - diceva lui pure - uomo carico di figli, amato dalla moglie, e non solo da lei, e di grande successo professionale, mi attribuiva un complesso di Edipo nei suoi confronti. L`amore-odio lo avrei avuto per lui, che si considerava il mio padre ideale. Tutti i salmi per lui dovevano finire in gloria. Ricordo che un mattino gli raccontai il seguente sogno.

 "Ero in una casa sconosciuta, bianca, a due piani. Era ‘la mia casa’.
Mi trovavo al piano superiore, dove c`era una specie di salotto, con mobili d`epoca in stile rococò. Alle pareti erano appesi antichi quadri di valore.
Bello! Bello!- dicevo a me stesso -. Ma è proprio la mia casa? Non è male. Non è male.
Ma come sarà il piano di sotto?
Scendevo le scale e raggiungevo il piano terreno.
Tutto, qui, era molto più antico, e capivo che questa parte della casa doveva risalire al 1400. L`arredamento era ancora medievale ed i pavimenti erano di mattone rosso. E tutto, lì, era piuttosto buio, illuminato solo da feritoie.
Andavo da una stanza all`altra pensando:- Ora, veramente, devo esplorare tutta la casa.
Così giungevo di fronte ad una porta pesante, come di una torre antica, e l`aprivo.
Emergeva una scala in pietra, all`ingiù, che conduceva in cantina.
Scendevo, scendevo, scendevo, e mi trovavo in una stanza con un bel soffitto a volta, eccezionalmente antica.
Esaminando le pareti scoprivo qualcosa d`inaspettato in mezzo ai comuni blocchi di pietra.

- Guarda, guarda, - mi dicevo - questi sono mattoni certamente di origine romana.

E che pavimento! Lastre di pietra, e ancora lastre di pietra. E quest`anello per terra? - Si direbbe una botola.
Tiravo l`anello, e la lastra di pietra si sollevava.
Allora emergeva un`altra scala, di stretti gradini di pietra, che portava ancora più giù, nelle profondità della terra.
Scendevo anche questi scalini, e entravo in una bassa caverna scavata nella roccia.
Uno spesso strato di polvere ne copriva il pavimento, e nella polvere erano sparpagliate ossa e cocci, resti di una vita umana arcaica.
Prendevo in mano due teschi umani, evidentemente di epoca remota e semidistrutti."

 - Che ne dice, professor Freud?

- Mah, vuol sapere quale sembri a me, per farla breve, il punto focale del suo sogno?

- Sì, sì, dica pure.

- Per me tutto va a parare nei due teschi della fine. E siccome ogni sogno maschera un desiderio inconscio, lei dovrebbe cercare di dirmi chi siano le persone che vuole far fuori … Chi sono questi teschi?

Provavo una violenta resistenza a riconoscere che desideravo far fuori questo o quello. Avevo pure qualche sentore di quel che il sogno volesse in realtà dire. Ma allora non mi fidavo ancora del mio giudizio e, soprattutto, volevo sentire l`opinione di Freud in proposito. Volevo imparare da lui. Ma forse anguilleggiavo anche un poco. Cercavo di non contrariarlo troppo temendo nuove reazioni tendenzialmente isteriche, e anche la fine della nostra grande amicizia e del nostro importante sodalizio, cui certo tenevo molto, davvero in modo un po` filiale, o un po` troppo filiale. Perciò risposi:- Chi sono i teschi? Glielo dico subito. Sono mia moglie e mia cognata.

Freud parve sollevato.

- Bene, bene - disse-. Visto? "Cherchez la femme". Anzi, dato che Lei è un gallo, "les femmes". Ne fa fuori due alla volta …

- Ma io amo mia moglie …

- Niente paura, È solo un po` di ambivalenza emotiva. Lei avrà certo un complesso materno positivo, troppo positivo, da superare. Un po` d`analisi la metterà a posto, vedrà …

- Ma a me, cara Aniela, premeva trovare il vero significato del sogno, che era certo quello che "noi" chiamiamo un "grande sogno". Che voleva svelarmi l`inconscio?

- La sua stessa struttura, non è vero?

- Vediamo, vediamo … Interpreti Lei, Aniela. Sarà un buon esercizio per entrambi, e io prenderò fiato.

- Parrebbe una sorta di immagine della psiche. La coscienza sta in salotto. Il suo habitat illuminato, appunto cosciente, è in stile rococò.

- Eh!Eh!Eh! Il mio tempo è quello del nonno medico, figlio di Goethe (forse) … Ciascuno ha un tempo psicologico vero. Il mio è quello. È il tempo degli illuministi, ma anche degli “illuminati”, che come Mozart ben sapeva potevano benissimo identificarsi.

- Ma già al pianterreno comincia l`inconscio vero e proprio. Quanto più Lei scende in basso, tanto più lui, l`inconscio, si fa oscuro. Trova pure l`uomo delle caverne, il primitivo, l`antropoide, mezzo bestia e mezzo uomo. Forse il tutto emergeva proprio da discussioni accanite di quei giorni. O no?

- Sì, sì. Nei giorni precedenti il sogno mi ero posto molti scottanti interrogativi. Mi chiedevo: "Su quali premesse si fonda mai la psicologia di Freud? Egli riduce quasi ogni manifestazione psichica alla storia personale del soggetto, a quello che uno ha rimosso dall`infanzia, a quello che più segretamente egli abbia voluto o voglia. Ed ecco che il mio sogno dava la risposta alla mia domanda.

Il sogno ci parla sempre, anche se non sempre comprendiamo. Oggi lo sappiamo bene, noi… Ma allora tutto era ancora oscuro.
Il sogno risaliva sino alle fondamenta della storia della civiltà, una storia di successive stratificazioni della coscienza. Il mio sogno pertanto rappresentava una specie di diagramma, o grande schema, della psiche umana. Metteva in luce un presupposto di natura totalmente impersonale, indipendente dalla vicenda mia come singolo sognatore.
Quel sogno divenne per me un`immagine-guida, che in seguito si sarebbe rafforzata in una misura inaspettata. Fu la mia prima intuizione dell`esistenza, nella psiche di ciascuno, di un a-priori collettivo: voglio dire di qualcosa che c`è in tutti gli uomini da sempre, senza essere frutto di esperienza personale, ma che semmai condiziona tale esperienza, per così dire filtrandola.
Dapprima ritenni che quella faccia collettiva, a tutti comune, dell`inconscio, fosse solo costituita - come tardivamente Freud avrebbe ammesso - da tracce di primitivi modi d`agire ormai scomparsi nella psiche dell`uomo moderno. Egli le avrebbe poi chiamate “tracce mestiche”, ossia residui di una memoria di specie, un poco come i due canini in bocca al cavallo, da tempo immemorabile solo erbivoro.
In seguito, però, con più vasta esperienza, e sulla base di più sicure conoscenze, ravvisai in quelle presenze nella psiche delle forme istintive del pensiero, ovviamente inconsce, cioè degli “archetipi”, delle “impronte originarie” (o “dell’originario”) nella nostra mente.

- E così si pose agli antipodi di Freud.

- Diciamo che sin dall’intuizione del 1909, connessa al sogno sulla struttura dell’inconscio, non ho più potuto consentire con Freud sul fatto che il sogno sia come una facciata dietro la quale si nasconderebbe il “vero” significato (in sé chiaro, ma occultato alla coscienza). Secondo me i sogni sono natura. Essa non ha intenzioni ingannatrici, ma esprime qualcosa come meglio può, così come una pianta cresce o un animale cerca il suo cibo.

- E così ruppe con Freud?

- Non corra, non corra. Allora i miei erano solo oscuri dubbi, improvvise illuminazioni. Diciamo che cominciò in me il lento lavorio che mi avrebbe poi condotto a rompere con lui. Ma allora il tutto era come latente, occultato pure dai nostri successi americani, dalle lauree ad honorem da noi ricevute in quel nuovo mondo, dalle conversazioni con filosofi e psicologi di chiara fama come William James, dal successo stesso delle nostre lezioni e conferenze, che parevano comportare un gratificante destino comune, che faceva passare in secondo piano le nostre divergenze …

- … che però scoppiettavano, sotto la cenere.

- Esatto. Tuttavia i motivi di convergenza erano tali da mettere in ombra le differenze.

- E l`America? Confermò le vostre impressioni di partenza? Fu anch’essa motivo d`attrito?

- Non direi. Comunque girammo molto, con i nostri amici psicologi, in quelle gioiose settimane.

A pensarci bene si era solo a cinque anni dalla grande guerra, ma questa pareva ancora lontanissima, specie vedendo le cose dagli Stati Uniti, che sembravano estranei ai problemi di potenza della vecchia Europa.

Sulla via del ritorno questa volta lasciammo stare, forse con una punta di tatticismo reciproco, i nostri sogni, per concentrarci invece sulle rispettive impressioni sugli americani. In proposito io allora abbozzai una teoria sulla negritudine americana che piacque non poco a Freud e che ebbi poi modo di sviluppare anche in una lunga intervista al "New York Times" del 1912.
Mi pareva che gli americani bianchi avessero, generalmente, il "complesso del negro". Ne parlai a lungo con i miei compagni di viaggio - Freud e Ferenczi - sulla tolda della nave, mentre stavamo comodamente su tre sdraio posti l`uno accanto all’altro, con le classiche grandi coperte di lana addosso per proteggerci dai venti.

- E che cosa sarebbe, per Lei, caro Jung, questo complesso del negro? - chiese Freud.

- Il segreto dell`atteggiamento americano in materia di sesso … Ha visto come tutti arrossiscono facilmente quando si parla di faccende genitali? Lì accade persino agli psicologi …

- E come no? Sembrano più vittoriani degli inglesi, più autorepressi dei preti cattolici. Del resto quello è un paese fondato da calvinisti radicali …

- Eppure - interloquì Ferenczi un po` perplesso - in nessun paese al mondo la psicoanalisi vi è più popolare.

- Non si lasci ingannare dalle apparenze, caro Sàndor - disse allora Freud -. In realtà chiamano psicoanalisi una forma molto edulcorata di curiosità, anche alquanto adolescenziale, per la psiche. Ma cercano di occuparsi dell`inconscio prescindendo dai coglioni e dalle faccende di letto in generale: il che, come noi ben sappiamo, è un`assurdità … Ma lasciamo parlare Jung del suo complesso del negro. Questo mi interessa veramente.

- In parole povere a me pare che la loro tendenza a glissare in faccende di sessualità …

- … diciamo pure la loro pruderie, il loro vergognarsi come signorine tanto tanto per bene …

-  …siano cose tutte legate al complesso del negro. Si ha paura della superiorità, o supposta superiorità, del negro in materia sessuale …

- I famosi centimetri in più attribuiti al loro cazzo? - chiese Ferenczi divertito.

- Quello e altro - dissi io. - Penso, in generale, alla latente invidia per la spontaneità nel fare all`amore propria del primitivo, più vicino all`istintività naturale. E un certo primitivismo nel negro sussiste. Mi pare indubbio …

- E per questo: beato lui …, se è vero - disse Ferenczi -. Sembra che faccia all`amore meglio di noi …Che paradosso però! Loro, che darebbero certo un occhio, o persino una palla, per avere la pelle bianca come noi, sono superiori nella cosa che conta di più per l`uomo bianco …

- Diciamo pure per l`uomo in generale …- interloquì Freud. - Se è come dice lei, però, - osservò rivolto a me -, ciò deve sottendere un influsso molto profondo, anche se negato, dei negri sugli americani …, se non addirittura dei nativi indiani su tutti questi ex europei.

- Esattamente. Detestano il negro e vengono ad assomigliargli. Si finisce, del resto, per assomigliare sempre a quello che si combatte …

- E questa pruderie, questa ritrosia da signorine in materia di amore genitale, spiega poi le resistenze degli americani al carattere inevitabilmente sessistico della psicoanalisi, non vi pare?

- Ma anche gli europei non scherzano - notai io -, in materia di resistenze alla teoria della sessualità. Noi svizzeri, anzi, su ciò siamo all`avanguardia.

- La sua annotazione critico-autocritica mi fa molto piacere. Tuttavia è un fatto che tutte le obiezioni sciocche, noiose, insipide contro le nostre teorie - a cui, ahimè, ormai siamo persino abituati - in America le abbiamo ritrovate: immutate.

- È indubbio, però, - notai io- che gli americani esprimano pure un grande attivismo, direi carico di futuro, che fa pensare …

- Sarebbe interessante - disse allora Ferenczi - vedere l`origine delle energie che alimentano il loro indubbio dinamismo nella vita quotidiana.

- Io - osservò Freud - ho una mia ipotesi. Hanno una società in cui si accede giovanissimi al lavoro emancipandosi dalla famiglia, e spesso abbandonandola. Per tal via si dissolvono precocemente i vincoli familiari, e con essi anche le componenti erotiche, che nella famiglia , e lì soltanto, possono germogliare naturalmente, a tempo debito. In tal modo le componenti erotiche vengono allontanate dalla vita, e le Grazie abbandonano il paese. Per compensazione dell`erotismo familiare mancato, di una vita affettiva piena e prolungata nella famiglia (pur con tutte le sue miserie), sviluppano tutto l`attivismo che abbiamo notato. Ma così restano anche un po` fanciulloni, e perciò aperti all`influsso del primitivo, da Lei, caro Jung, prima sottolineato.

- Sì, è vero. Io però, forse, sono portato a dare più valore al primitivo, all`uomo dell`inconscio. Ma non posso negare che nell`americano questo primitivo influisca molto di più che sugli europei.

- Ma culturalmente e socialmente- si domandò Ferenczi -, possiamo dire che l`americano sia un bianco come tutti noi (ebrei e non ebrei)?

- Io ne dubito - risposi -. Solo un europeo ingenuo può ritenere che l`America sia una nazione “bianca”. Non è del tutto “bianca”. È, piuttosto, se posso fare un gioco di parole, una nazione pezzata. Non c`é niente da fare. È proprio così. E per me ciò deriva dal continuo e secolare contatto con i primitivi: siano stati, o siano, negri o anche indiani pellirossa.
Che cosa vi può essere di più contagioso del vivere fianco a fianco con un primitivo?
Ho degli amici che sono stati a lungo in Africa, e mi hanno raccontato, in proposito, cose sbalorditive. Parlano - come se fosse la cosa più pacifica del mondo - dell`esperienza del "diventare negri". Noi naturalmente possiamo considerare, o non considerare, il negro, come possiamo considerare o non considerare l`inconscio …

- … che del resto - ci ricordò giustamente Freud - non a caso nei sogni a noi bianchi appare spesso come negro …

- Appunto! In ogni caso - seguitai - questo cosiddetto uomo primitivo eserciterà sempre un`enorme attrazione su di noi, perché affascina gli strati inferiori della nostra psiche, che hanno vissuto per un periodo indicibilmente lungo in condizioni simili, in un mondo per noi arcaico. L`europeo nordico è stato civilizzato sì e no da mille anni, ma quante centinaia di migliaia di anni abbiamo vissuto da primitivi?

- Ciò vale per tutta l`umanità - confermò Freud -, perché anche tre o quattromila anni di civiltà sono una bazzecola rispetto al lungo ciclo del primitivismo più o meno inconscio.

- Già - dissi -. E secondo me si ritorna sempre, come dicono i francesi, ai primi amori, nella memoria più profonda. Il negro ricorda - più alla nostra mente inconscia che non a quella conscia - non solo il tempo in cui siamo stati tutti primitivi personalmente, cioè bambini, ma anche la nostra preistoria umana, che, per quanto riguarda la razza germanica, è una faccenda di dodici o tredici secoli al massimo. Il barbaro che sta in noi continua a mantenere una vitalità strabiliante e cede facilmente alle lusinghe dei suoi ricordi latenti di gioventù. L`uomo di colore vive dunque nelle nostre città e perfino nelle nostre case, ma anche nel nostro inconscio. Ciò si vede bene nell`americano. Lì ogni negro ha il complesso dell`uomo bianco e ogni bianco ha il complesso del negro. Il primo ammette il desiderio irrealizzabile di essere bianco. L`altro si vergognerebbe a morte di apparire negro. Eppure …

- Eppure? … - chiese Freud incuriosito.

Ed io:- Avete notato la risata americana? Da dove spunta questa risata a cuore aperto, infantile?

- Ma anche "junghiana" - notò Ferenczi sorridendo bonariamente.

- Sì, è vero, perché io pure mi espongo di continuo all`influenza dell`inconscio, che è il primitivo dentro di noi, anche se non sono a contatto, di solito, con negri, e tanto meno con pellirossa …

E la smisurata e chiassosa voglia di socialità degli americani? E il piacere di muovere il corpo? E le smargiassate di ogni genere? Il jazz stesso non ha forse lo stesso ritmo dello n`goma, la danza africana?

Io però sostengo che c`è nell`americano un primitivo che ha avuto un influsso anche superiore al negro.

- Su ciò - disse Freud perplesso - non La seguo.

- Parlo dell`influsso dell`indiano, del pellirossa.

- Negli adoratori bianchi del dio dollaro? Via, caro Jung, non le sembra di esagerare?

- Io ho l`impressione che in America si trovi di certo una grande quantità di materialismo volgare, come dappertutto, o anche un po’ di più, ma anche un idealismo estremamente ammirevole, quale raramente si può incontrare tra noi europei. C`è, è vero, una continua e anche volgare corsa al dollaro, ma al tempo stesso il denaro in America spesso lo si getta via, come se l`accumularlo non fosse, lì, lo scopo centrale del ricco, o di chi vuole diventarlo.

- È interessante, anche se per me è difficile da concepire ... Che cosa ne evince? Dove vuole andare a parare?

- Per me il loro voler far soldi  a tutti i costi è un mezzo; gareggiare, arrivare primi, è il loro vero fine.

- Parrebbe, detto così, l`ideale eroico - notò Ferenczi.

- Sì, e non mi stupirei che i loro romanzetti sui cow boys, e sugli eroi con la pistola a tamburo, nel prosieguo del tempo dessero luogo a una vera epica popolare.

- Lo sa - disse allora Sàndor - che un pensatore estremista di sinistra, sindacalista rivoluzionario, o anarcosindacalista, o come diavolo si dice, lo ha appena scritto in un suo libro che ora in Francia va forte?

- Davvero?

- Sì, un certo Georges Sorel ha appena pubblicato un libro intitolato Riflessioni sulla violenza. Cita tra l`altro l`ideale eroico del superuomo di Nietzsche, che costui traeva dal mondo greco antico, specie omerico, attualizzandone il modello. Sorel si chiede come mai Nietzsche non si fosse accorto che l`ideale eroico viveva in concreto, nel suo tempo, nell`uomo del Far West.

- Interessante, molto interessante - dissi io, vecchio cultore di Nietzsche.

- Ma allora - chiese Freud - perché questi americani si agiterebbero tanto per far soldi?

- Appunto per dimostrare di essere i più bravi, come quell`indiano che per conquistare la sua bella con un ricco dono per il futuro suocero rubò un’intera mandria di cavalli.
Anche il fascino per il magico, per i riti di ogni genere, e per lo spiritismo, forti in America come non mai - in una misura inimmaginabile nella vecchia Europa - per me ha quest`origine. Mi fa venire in mente la danza degli spettri, e in generale i riti sciamanici dei pellirossa.

- Ma com`è possibile se il contatto con i pellirossa è stato così saltuario, inferiore persino a quello con i negri?

- Anche su ciò io ho una mia ipotesi, che però mi pare così azzardata che esito a dirla persino a voi.

- Coraggio, coraggio Jung …- disse Freud incuriosito.

- Al pari di certi romantici del secolo scorso io credo nella teoria del genius loci … È possibile che l`uomo venga assorbito da un paese. Nell`aria e nel suolo di  ogni paese esistono delle variabili che a poco a poco lo compenetrano e lo rendono simile al tipo di abitante originario: sino al punto che le sue stesse fattezze, senza che vi sia stata mescolanza di sangue, vengono a subire una lieve nuova impronta.

- Juuung!!- fece allora Freud

- Sì, professore?

- Abbiamo discusso tanto amabilmente sin qui. Fermiamoci! Lasciamo la sua parapsicologia fuori dalla porta, almeno per scelta volontaria.

- Ma certo, cari amici. Godiamoci questa nostra armonia ritrovata.(8)

(segue)

 
07/10/2006 12:00:00
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23.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it) Verso la fine del mio tirocinio in Psichiatria cominciavo a diventare quel che si dice - anche se a me quest`espressione ha sempre fatto un po` ridere - una celebrità. E non sempre per ragioni “scientifiche”. Avevo preso ad applicare, come Le ho già detto, l`ipnosi a scopo...
 
14.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it ) - Così, attraverso lo studio sistematico dei fenomeni medianici della giovane cugina isterica Helly, iniziai il mio lungo viaggio nei misteri della mente.Mi ero appena laureato, per la verità nel migliore dei modi, quando Bleuler mi offrì un posto da assistente in Psichiatria...
09.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it)Rimanemmo silenziosi, nella penombra, per circa un minuto. Jung si accese la pipa e cominciò ad emettere piccole nuvolette di fumo dal suo “camino”. Poi ruppe il silenzio:- Forse potremmo ricominciare. Ma non saprei bene da dove …- Beh - replicai - intanto potrebbe dirmi quale...
 
02.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it )Le escursioni filosofiche del "primo Jung" mi avevano incuriosita. Perciò nell`incontro successivo ripresi la conversazione da quel punto.- Potremmo ricominciare a parlare dei suoi filosofi da comodino della prima giovinezza?- Volentieri, ma smettiamola con i nostri meravigliosi...
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Alessandro Gassman e Marco Giallini sul grande schermo ...
Al Teatro Sociale tornano i tanto attesi appuntamenti del Sabato Pomeriggio in Famiglia quest'anno una...
Segnaliamo un articolo comparso sulla rivista economiaepolitica.it in cui si sostiene la tesi che le...
Segnaliamo un interessantissimo articolo di Rosa Canelli e Riccardo Realfonzo sulla crescente disuguaglianza...
Il Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio annuncia che il Gruppo di Lavoro Tecnico-Scientifico...
Segnaliamo un interessantissimo articolo del prof. Felice Roberto Pizzuti docente di Politica Economica...
I MARCHESI DEL MONFERRATO NEL 2018 Si è appena concluso un anno particolarmente intenso di attività,...
Stephen Jay Gould Alessandro Ottaviani Scienza Ediesse 2012 Pag. 216 euro 12​ New York, 10 settembre...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/diritti/scuola-sanita-e-servizi-pubblici/servizio-sanitario-nazionale-a-prezzo-regionale-il-paradosso-del-ticket/...
Segnaliamo, come contributo alla discussione, un interessante articolo comparso sul sito “Le Scienze.it” Link:...
Il Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato” presenta il suo nuovo progetto per il 2018: le celebrazioni...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/la-ripresa-e-lo-spettro-dellausterita-competitiva/...
DA OGGI IN RETE 2500 SCHEDE SU LUOGHI, MONUMENTI E PERSONAGGI A conclusione di un intenso lavoro, avviato...
Segnaliamo il libro di Agostino Spataro, collaboratore di Cittàfutura su un argomento sempre di estrema...
Memoria Pietro Ingrao Politica Ediesse 2017 Pag. 225 euro 15 Ha vissuto cent’anni Pietro Ingrao...
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