Louise e Renée da Balzac con la regia di Sonia Bergamasco
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Mentre dà vita al suo gigantesco affresco della società ottocentesca nella
quale vive, Balzac osserva le donne, tutte, e tutte le ama e nelle Mémoires de deux jeunes mariées (che è il titolo originario dell’opera dal quale
lo spettacolo è tratto) ne rappresenta con profondità emozioni, sogni e cadute,
vissuto interiore e tentativo di affrancarsi dalle convenzioni
dell’epoca.
Sin dalle prime scene della rappresentazione di questo “Louise e Renée”
si evince che scaturisce da una
visione profondamente al femminile - e quella della regista Bergamasco lo è -
che viene proposta al pubblico da due interpreti capaci di restituire quell’eterno doppiofemminile
che oggi, come nell’ottocento, è ancora parte del conflitto nel quale le donne
si dibattono passando dall’Eden dell’infanzia alla disillusione dell’età
adulta: essere mogli/madri o spiriti liberi non soggetti ad alcuna restrizione
famigliare e sociale? E possono questi due aspetti convivere e, soprattutto,
comunicare tra loro?
Di muri interiori ed esterni lo spettacolo ci parla:
quelli che furono del collegio dove Louise e Renèe trascorsero 9 anni
dell’infanzia e quelli che le imprigionano da adulte, mentre loro danno voce,
prima alla giocosità ed allegra fisicità dell’infanzia e, dopo, alla rabbia,
alla frustrazione, al dolore, al rimpianto del proustiano tempo perduto.
E se il corpo è prigioniero di invisibili catene –
meravigliosamente rappresentate dalla fasciatura che cinge il loro punto vita e
della quale tenteranno di liberarsi in una delle più belle scene dello
spettacolo – la parola, che tra le due donne lo sostituisce, è libera e ne è la
regina incontrastata.
E’ infatti la Parola la vera protagonista, la parola
che si sostituisce al contatto tra loro, la parola che è confessione intima e
non solo comunicazione con l’altra da se, la parola che sovrasta gli eventi, la
parola che prima è infantile gorgeggio e dopo urlo rabbioso. E poi si fa
silenzio.
Effettivamente si può pensare che Louise e Renée
potrebbero essere una sola figura femminile che contiene duplici aspetti,
quelle sfumature e variegature che sono le mille parti di ogni donna, che se
integrate tra loro compongono un femminile armonioso ma, se restano separate –
come rappresentato in questo spettacolo – frantumano la personalità.
Bravissima Federica Fracassi/Renée con la sua mimica
espressiva supportata da un volto dai lineamenti ottocenteschi e dalla sua
recitazione classica, qui perfetta. La sua magnifica interpretazione riconduce
ad un’attorialità che oseremmo definire demodè
e che ricorda le grandi attrici teatrali italiane del passato, una per tutte
Lydia Alfonsi. Questo “far teatro come una volta”, che non è incapacità di
esprimersi con nuove formule recitative ma è espressione di una dote
eccezionale di trasfigurarsi in un tempo altro e, nel medesimo istante, di
essere prepotentemente nel presente della sala, ipnotizzandola, facendola
vibrare con le vocali, con le consonanti che in Renée si fanno parola/verbo.
Perfetta pure Isabella Ragonese nella fase in cui è la
giovane Louise, che il suo corpo minuto e il suo viso da fanciulla incarnano
con naturalezza. Credibili e autenticamente plausibili, da attrice ben
impostata, le sue squillanti e squisite risate di vezzosa ragazza ancora ignara
del dolore che gioca, anche con gioco dolcemente ambiguo, grazie alle movenze
fluenti di un corpo non ancora espressione di donna compiuta, quasi a volerlo
far vibrare-librare nell’aria. Sarà la voce, invece, a scandire il tempo, nel
“tic-tac” ripetitivo delle parole. “Renée
dove sei?”: è forse il suo modo indiretto di domandarsi: “Io, dove sono? L’altra parte di me dov’è?”.
Grande quindi è il merito di Sonia Bergamasco che
debuttando qui nel ruolo di regista dimostra,
attrice tra le attrici, una profonda capacità di estrarre da ognuna
delle due colleghe, non solo le evidenti ma anche le più intime, vibranti
capacità interpretative. Solo una donna poteva essere in grado di srotolare
questo filo dell’esistenza femminile, come una Parca che gira la ruota e narra
la storia, la modula, la indirizza., la rende lieve e subito dopo intensa,
tragica, per poi proporla ancora da un’altra angolazione, sempre un po’
incompiuta, come è la vita di ogni donna autenticamente immersa nell’esistenza. L’angolazione proposta
dalla Bergamasco in questo lavoro induce a pensare che la strada intrapresa
della regia le sia consona e possa in futuro offrire interessanti sorprese, non
solo alle donne.
Spettacolo misurato eppure esaltante, perfetto nel suo
essere tradizionale, dove esserlo significa non avere la pretesa di proporre
una versione innovativa di un classico (e un classico è tale se tale resta..)
ma l’audacia che la regista ha avuto – sempre più rara oggigiorno – di
dimostrare come un’opera possa essere ancora attuale seppure
rappresentata secondi i canoni tradizionali.
Infine, ma non in ultimo, la drammaturgia di Massini,
parte essenziale dell’operazione teatrale, si conferma di altissimo livello.
Louise e Renée, da Mémoires
de deux jeunes mariées;
drammaturgia di Stefano Massini, regia di Sonia Bergamasco; scene di Marco
Rossi; costumi di Gianluca Sbicca; cura del movimento di Alessio Maria Romano.
Con Isabella Ragonese (Louise) e Federica Fracassi (Renée).
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.
Si replica al Piccolo Teatro – “Paolo Grassi” a tutta domenica 30
aprile.