Confessioni pseudopolitiche di un
nostalgico rossonero
...
Insomma, finalmente
sembra proprio fatta. Il pur sconosciuto ai più (anche in Cina, assicura Marcello
Lippi che se ne intende) cinese Li Yonghong è il nuovo proprietario del Milan,
dopo i 31 anni di Berlusconi. E' ufficiale, nel "comunicato
congiunto" delle due parti, sulla falsariga dei grandi eventi politici
internazionali:
«La finalizzazione
odierna dà piena esecuzione al contratto di compravendita firmato dall'ad di
Fininvest, Danilo Pellegrino, e da David Han Li, rappresentante di Rossoneri
Sport Investment Lux, il 5 agosto 2016 e rinnovato il 24 marzo scorso».
Aggiungendo i 290
milioni mancati (190 suoi, gli altri 100 garantiti a quanto pare dal fondo ) in
aggiunta alla caparra di 250 a suo tempo corrisposta, il signor Li ha così
finalmente sollevato la famiglia Berlusconi dal preoccupanti peso della società
di calcio, aderendo a una valutazione che molti addetti giudicano eccessiva.
*****
Negli anni Novanta (è
passato tanto tempo, spero nella prescrizione...) coltivavo, lo debbo
confessare, una cattiva abitudine. Il maggior quotidiano locale lanciava e
rilanciava una campagna diffusiva tendente ad aumentare le vendite, facendo
trovare a tutti gli aderenti la propria copia sullo zerbino di casa, all'alba,
ovviamente senza scampanellare: un sogno americano, come la bianca bottiglia
del latte che si vedeva deposta davanti alle villette a schiera dei film. La
cosa non dovette probabilmente risultare risolutiva, ma tirò avanti, a più
riprese, per alcuni anni.
Mi piaceva -mattiniero
lo sono sempre stato spontaneamente- pur senza aver mai aderito alla proposta,
uscire in pigiama sul pianerottolo, prelevare la copia del quotidiano già con
silenzioso miracolo planata davanti alla porta... dell'agenzia pubblicitaria
dirimpettaia, e leggerla al volo, in piedi: rientrando in casa d'inverno,
direttamente lì fuori d'estate, con un occhio/orecchio all'ascensore, che non
avessero a salire imprevisti i pubblicitari, di cui conoscevo i più distesi
orari abituali. Al termine, ripiegavo con attenzione il quotidiano, avendo
avuto cura di non sgualcirlo, e lo rideponevo, quasi „più nuovo che pria“ sul
pulisciscarpe di legittima appartenza.
Il giochetto andò
avanti indisturbato (vorrei rassicurare gli amici della «Stampa»: da molti anni
l'acquisto in edicola regolarmente, sette giorni su sette, lunedì incluso...)
fino alla mattina di un martedì non qualsiasi: il 29 marzo 1994. Lo stupore per
il risultato elettorale di quelle politiche anticipatissime, con la
stravittoria della coalizione Forza Italia/Polo della Libertà/Polo del Buon
Governo (ricordate? Silvio al 40%, lui allora davvero, con leghisti al Nord e
post-fascisti al Sud: geniale!) mi aveva a tal punto paralizzato, che ricordo
ancora adesso il sorriso di stupito compatimento con cui il titolare
dell'ufficio dirimpettatio mi colse col… suo foglio Fiat ancora spalancato, a
bocca aperta al centro del pianerottolo condiviso.
Quel momento avrebbe
portato alcune conseguenze radicali. La prima, e più decisiva, ma che trascende
il mio modestissimo orizzonte individuale, il fatto che quel responso
democratico delle urne scagliava il nostro paese in nel caos irresponsabile e
ingovernato dal quale, in buona sostanza, a distanza di quasi un quarto di
secolo non solo non siamo mai usciti, ma rischiamo addirittura di ripiombare
più profondamente. La seconda, più limitata al piano personale, la decisione di
smettere di occuparmi di politica. Alla "discesa in campo" per
"il paese che amo" del Berlusca avevo attribuito nel mio pronostico,
stupefatto dell'incautela, ben che gli andasse un 5-10%. Non avevo insomma
capito nulla del paese in cui ero nato e vivevo da almeno cinquant'anni, e
dunque era meglio lasciar perdere ("sa
t'è luc statni a cà tua!", si ammonisce dalle mie parti). La terza, che il fatto nuovo, dopo una vita
di onorata militanza (quanti bei San Siro domenicali nell'adolescenza! Si
decideva a metà domenica mattina, treno da Voghera, circolare 90 tuttora
esistente dalla Centrale a piazzale Lotto [di linee MM 1 rossa e adesso anche 5
lilla, ancora neanche l'ombra] panino e birra in piedi sul piazzale dello
stadio allora monopiano, biglietto accessibile al volo e tranquillamente
dentro, nella pace e nell'euforia...) mi imponeva di rivedere la fede
calcistica indefessamente professata dall'età della ragione. Relegandola „in
pectore“ a tempo indeterminabile.
Per carità, Berlusconi
era alla guida già da otto anni, e ci aveva regalato le entusiasmanti stagioni
di Gullit-Van Basten-Rjikard con Sacchi, che riportavano alla memoria -sono
abbastanza anziano da ricordarne anche le figurine- il trio Gre-No-Li e –qui
per testimonianza diretta- i trionfi successivi con Nereo Rocco in panchina.
Andava benissimo: si erano superati Riva e Buticchi, Colombo e Farina, persino
la duplice retrocessione in B a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, figurarsi
se era pensabile lamentarsi del pur craxiano Berlusconi, oltretutto
stravincente!. Non era lì il punto: ma che da presidente del Milan e delle sue
azienda lo volesse diventare anche del Consiglio dei ministri risultava nel
contempo comico e proprio indigeribile (e tuttora lo risulta, a scanso di
equivoci...).
Nella stessa fatidica
mattinata, però, giungeva anche la magnifica notizia che l'amica e collega
Giovanna Grignaffini, antica allieva e
assistente di Adelio Ferrero, e poi
a sua volta brillante docente di cinema al Dams di Bologna, era stata
altrettanto brillantemente, nel confronto diretto acceso dal nuovo
"Mattarellum", eletta deputata nel collegio di Bologna-Mazzini (lo
sarebbe stata nuovamente nel '96 a Bologna-Pianoro e nel 2011 in quello di San
Lazzaro di Savena). La telefonata di complimenti era di prammatica: ma il
discorso si spostò subito, dall'esito e dal quadro politico, a qualcosa di più
decisivo. Che fare del nostro comune destino di tifosi milanisti che si
sentivano improvvisamente a disagio? Si decise su due piedi la fondazione di
quel "Club Tifosi Milanisti autosospesi" che non avremmo mai
immaginato, non essendo sopravvenuto per via il ben che minimo ripensamento,
dovesse durare addirittura 23 anni!
*****
Se Marco Bellocchio si
trovasse a poter rifare oggi la sua opera seconda che porta il titolo rubatogli oggi per questo
divertissement, ma che risale invece a mezzo secolo fa, quando ci parlammo per
la prima volta in un convegno ad Amalfi, dieci anni prima che scrivessi un
libretto su di lui, si troverebbe di fronte a un orizzonte profondamente
mutante, ma forse anche facilitante. Il pur già facile bersaglio di quella
sottovalutata commedia grottesca era, poveramente, di fatto, la meschina e poi
mancata riunificazione PSI-PSDI (alla quale pure presi tragicamente parte,
manco a dirlo in posizione di minoranza...): il film intuiva e anticipava però
i primi germi di quel craxismo rampante e diffuso che avrebbe cominciato a
infelicitare la vita italiana anche in provincia (questa l'intuizione felice di
Marco...) un dieci-quindi anni dopo. Radicalmente opposto anche l'orizzonte
internazionale e soprattutto asiatico: nella Cina dell'epoca era in piena
esplosione la rivoluzione culturale, col tentativo del periclitante Mao Tse-Tung
(lo translittero come si usava nel profondo passato da cui provengo...) di
ribaltare le linee guida del Partito quali erano state determinate da Liu
Sciao-ci e Teng Xiao-ping (idem c.s.). Alla fine la "banda dei
quattro", immediatamente dopo la morte di Mao, sarebbe stata liquidata,
col maresciallo Lin Piao cancellato di fatto e damnato memoriae.
Oggi, probabilmente,
nell'Italia momentaneamente dominata da una ben diversamente grottesca
"banda dei quattro" (Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi: in ordine
decrescente ma tutt'altro che diminuente di influenza in atto: che poker
d'assi!) un remake aggiornato del film sul grottesco-surreale spinto gli
verrebbe ancora meglio. Sebbene forse l'operazione potrebbe essere più
congeniale a un Sorrentino che riprendesse gli stilemi deformatori del Divo, contaminandoli e a sua volta
aggiornaldoli con determinate modalità di sceneggiatura emerse nel recentissimo
The Young Pope e nell'altrettanto fresco e felicissimo suo secondo testo
narrativo, Gli aspetti irrilevanti.[Avevo già scritto questo pezzetto, trau n rinvio e l’altro del
sospirato closing milanista, quando Sorrentino ha annunciato un nuovo
film su Berlusconi con Servillo: giuro…].
Ma anche il quadro
mondiale si è rivoluzionato: in particolare la Cina, pur formalmente ancorata
tuttora al predominio politico ufficiale del PCC, si è paradossalmente mutata
nel più efferato e irriducibile esportatore di internazionalismo...
capitalistico che la storia umana avrebbe mai immaginato di poter sperimentare,
con effetti che stanno sconvolgendo l'intero globo terracqueo, in particolare mettendo alle corde, forse in
misura irreversibile, i già fragili equilibri economici e presto, ormai, anche
politici dell'Europa occidentale.
Bellocchio però, se
invece fosse lui a ripensare il film, non potrebbe più avvalersi di quel titolo
in chiave metaforica come nel 1967: non sarebbe più necessario immaginarsi
studenti velleitari (il maoista immaginario Camillo del povero Pierluigi Aprà)
che imbrattano nottetempo i muri con la fatidica scritta. Gli basterebbe
probabilmente uscire dal suo domicilio
per un caffè al bar sotto casa, per appurare con uno sguardo oltre il bancone
su chi glielo stia servendo, come ormai ognuno di noi anche nei piccoli centri,
che il suo titolo non potrebbe più essere metaforico-alludente, ma banalmente
constatativo. La Cina non è più "vicina", ma già tra noi, senza
bisogno di andare a Prato o nella Milano tra via Sarpi e via Canonica.
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Anche ad Hollywood,
dove il Wanda Group del plurimuliarcimiliardario pechinese Wang Jian-Ling sta
praticamente comprandosi a poco a poco tutto, oggi un Polanski che fosse
miracolosamente quanto improbabilmente lasciaro rientrare indisturbato negli
Usa, dovrebbe forse ripensare in modo meno libero un capolavoro come Chinatown
(1974). E tutto un filone di luoghi comuni sui personaggi cinesi cattivi,
dovrebbe a sua volta essere radicalmente ribaltato, se non addirittura lasciato
da parte, riprendendo invece quello opposto del cinese buono, quasi angelico,
come impersonato da Richard Barthelmess per l'indimenticabile Griffith di Giglio
infranto (1919).
Ma non è solo nel
cinema, nella ristorazione e somministrazione di cibi e bevande, nel mercato
immobiliare e turistico che la Cina viene avanti. E non solo perché l'abbiamo
proprio... vicina: guardate che quando
andiamo al cinema nella vicina e familiare…UCI multisala di Spinetta siamo già
ospiti, dalla scorsa estate, proprio di Mr Wanda! Ma è già da tempo qui, più che "vicina", anche nel pallone. Da due anni
Wang può dire autorevolmente la sua nella odierna Mecca del pallone, Madrid,
detenendo già un quinto delle azioni dell'"Atletico". Attraverso
l'elvetica Infront Sports & Media, che ha acquistato due anni fa, tramutandone
a fine 2015 la ragione sociale in Wanda Sports, ha la gestione dei diritti
televisivi della Lega Calcio e cointeressenze gestionali (sponsors e market) in
quasi la metà delle società di serie A.
E l'Inter stessa, come tutti sanno, dopo il passaggio transitorio da Moratti jr
all'indonesiano Thohir, che tuttora la preside, è da quasi un anno di proprietà
del gruppo cinese Suning, che fa capo a Zhang Jin-Dong (dovremo abituarci a
pronunciare giuste queste approssimative grafìe volonterosamente translitteranti).
Non penso di essere
particolarmente incline ad atteggiamenti razzisti e discriminatori, anzi (c'è
un'area politico-religiosa che fa di tutto per stare un po' sulle scatole
persino a me, ma non ne parlerò qui). Però confesso francamente di non riuscire
a "dare commercio" al cospicuo insediamento cinese nel nostro
tessuto: non ne frequento barbieri e sartorie, ne evito i banchi del mercato,
se entro in un bar divenuto a gestione sinoproveniente mi viene spontaneo di
uscirne alla chetichella o di evitare comunque di rientrarci, un'iniziale
remotissima sbornia parziale per i ristorantim quando ancora erano
pionieristici, l'ho smaltita da tempo e rapidamente (tutto qui?).
E tuttavia... E
tuttavia? E tuttavia faccio un'eccezione.
******
Valuto positivamente,
in un'epoca in cui non ci si stupisce più di nulla (i cugini nerazzurri d'altra
parte hanno già avuto il tempo di farci il callo...) l'arrivo del signor Li o
di chi per lui, anche se è ormai disperante, anche nel calcio, capire le
scatole cinesi (opps!) delle società e delle relative consuetudini fiscali. A
dire la verità a tifare, con la complicità dell'amico giornalaio che invece da
parte sua non ha ovviamente fatto obiezione di coscienza ai decenni del passato
regime onusto di coppe e scudetti, avevo già ricominciato dall'inizio del
campionato, liberato dalla speranzosità del "closing" atteso, poi
esistante nei frustranti rinvii, ma esaltato dalla squadra di Montella, dallo
spirito di semplicità che ne informa la gestione, ma soprattutto -questo è il
bello- dal ri-italianizzarsi della squadra: il portento Donnarumma e
l'infortunato Bonaventura, Locatelli, De Sciglio e Calabria. Niente mi era
sembrato più disappassionante, in questi anni, delle formazioni con undici
stranieri/undici, la strapotenza oraria delle pay-tv (l derby all'ora di pranzo
del sabato santo!). Adesso, grazie insieme a Montella e a Li (e a chi ha avuto
la pazienza di arrivare qui in fondo) si può tornare a tifare senza se e senza
ma. Può darsi che questo scritto possa avere infastidito i numerosi milanisti
rimasti nel secolo fedele: ma si perdona sempre ai figlioli prodighi, no? Spero
sia chiaro inoltre che si è voluto scherzare, come direbbe Benigni (adesso
telefono alla Grignaffini...). Almeno per buona parte.