Bestie di scena con la regia di Emma Dante
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Molto
dibattuta, questa produzione del Piccolo Teatro di Milano per la regia di Emma
Dante non può lasciare indifferenti.
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Quattordici
attori-ginnasti-danzatori (7 donne e 7 uomini) entrano in azione sul palco trenta
minuti prima dell’orario ufficiale indicato e affrontano una sequenza di
movimenti ginnici che pian piano si intensifica e diviene una danza quasi
tribale, mai casuale nonostante il personaggio (il sé) che ciascun attore
rappresenta paia alla ricerca della motivazione per cui si trova lì, chiedendosi
a fare cosa, per chi, a quale fine.
Lentamente,
nel passaggio che ogni figura compie cedendo la propria posizione scenica di
privilegio, quella al centro di un cerchio-esistenza umano composto dalle
ulteriori restanti, ad un altro ginnasta/danzatore, prende forma l’idea che,
DOPO, ad inizio spettacolo avvenuto - lo spettacolo “vero”, quello per cui si è pagato il biglietto - possa accadere
qualcosa di inatteso.
Sarà
infatti così: lo spettatore è idealmente trascinato in questa messinscena – suo
malgrado – per confrontarsi con la massa di figure in movimento che realizzano un’azione
globale, così umana, di carne viva, pulsante, che può spaventarlo perché
rappresenta la sua stessa carne e può risucchiarlo in un vortice infernale.
Il
ritmo acustico impresso dal battito dei ventotto piedi in sincronico movimento
sulla pavimentazione del palco, risulta essere una musica potente, un suono
arcaico che fa da prologo alla narrazione che verrà ma che è già proposta in
quei trenta minuti iniziali di “riscaldamento”
dei corpi-attori-umanità, mentre lo spettatore, ancora un po’ distratto, cerca
di orientarsi; talvolta già annaspa e si ritrae, si sottrae alla richiesta di
guardare e tenta simbolicamente di allontanarsi, ovvero di uscire di scena ancor prima di esserci entrato effettivamente:
perchè è sì il palcoscenico-attore che si offre come scena e scenografia, ma è
anche il pubblico, a sua volta, ad essere idealmente ed emotivamente invitato ad
entrare a farne parte: una luciferina suggestione sembra volergli suggerire di confondersi con la massa umana danzante, di
iniziare a “sentirla dentro”, così
come di iniziare a farsi penetrare da essa.
Cos’è
un corpo? Cos’è il movimento? Cos’è la relazione tra gli umani? Cos’è, infine,
un attore, sembra volersi chiedere la regista realizzando uno spettacolo che ha
una dirompente e potente forza centrifuga. Proprio in questa forza risiede la
sua magnifica, entusiasmante pericolosità: pericolo costituito dalla potenza
intrinseca nei corpi in movimento che potrebbero e possono raggiungere lo
spettatore, ripeto: suo malgrado.
Malgrado le resistenze, difese, automatismi, nevrosi, la convenzionalità di
pensiero e di movimento. Raggiungere quindi lo spettatore per costringerlo a
denudarsi, a pulirsi, a ritrovare la primitiva pura essenza e con essa il
senso, ma per immetterlo poi nuovamente, modificato, ricondotto alle origini
della specie dalla quale discende, nel percorso del suo cammino.
Emma
Dante, che attraverso il suo ruolo di regista regola i fili di quello che
appare inizialmente come un attore-marionetta, sembra voler esprimere una sua
idea sul mestiere dell’attore rappresentato come corpo/bestia che si sottomette
ricoprendo un ruolo passivo, che viene privato della dignità, della
volontà e dell’autoconsapevolezza di se,
ma esprimere un giudizio critico di tale contenuto mi appare frutto di
un’analisi superficiale e comunque non esaustiva dello spettacolo.
Se
si indaga oltre il semplice apparire, se ci si insinua nella metafora proposta,
risulta evidente che la recita in scena è metafora del mondo stesso; un mondo
popolato da un’umanità fragile e spaventata che ricerca affannosamente un
contatto, un filo-legame, un gesto, un movimento collettivo, un linguaggio
comune che renda possibile la comunicazione e sopportabile il mestiere di
vivere, che offra la possibilità di superare lo spettro ancestrale - sempre
presente - della desolante Solitudine cui nessun umano è in grado di sottrarsi
e che conduce al pensiero della Morte come compimento della folle o
meravigliosa danza della vita.
Il
Nudo è l’indiscusso protagonista dello spettacolo, mai volgare, direi
asessuato, come se fosse esso stesso un abito a disposizione del corpo-attore.
Saranno infatti i corpi, pian piano, a compiere un’azione – la azione – liberatoria, l’unica
umanamente possibile, quella di abbandonare gli indumenti/schermi-schemi
costrittivi. Corpi che inizialmente si troveranno in una dimensione di
spaesamento e di vergogna, novelli Adamo ed Eva in contraria azione. Il liberarsi
dell’indumento costituisce il punto di partenza e non di arrivo di un viaggio,
dentro di sé ma pure alla ricerca di un nuovo contatto possibile con l’altro da
sé.
La
regista pare chiedere di “perderci”, di lasciarci andare, non in senso bohemienne ma da spettacolo tragico che
diviene catartico. La paura del Male, del Nudo che priva delle difese è
l’Inferno dal quale ascendere a nuova vita, quella dell’Autenticità, forse del
Nulla oppure del Tutto.
E’
inevitabile, così come risulta evidente, il riferimento alla Commedia dantesca.
La
storia-non storia diretta dalla Dante riporta – per citarne uno tra i diversi –
al Canto XIV (Inferno, 3° girone, dove sono puniti i violenti contro Dio,
natura e arte), che vede i dannati nudi e piangenti rappresentati in posizioni
diverse: supini i più disperati, altri seduti e una moltitudine in corsa senza
sosta.
“D’anime
nude vidi molte gregge
Che
piangean tutte assai miseramente,
e
parea posta lor diversa legge.
Supin
giacea in terra alcuna gente;
alcuna
si sedea tutta raccolta,
e
altra andava continuamente.
Quella
che giva intorno era più molta,
e
quella men che giacea al tormento,
ma più al duolo
avea la lingua sciolta.”
(Inf.
XIV, 19-27)
Anche i disperati corpi nudi sul palco, dannati
o condannati da una legge divina o terrena a seconda dell’interpretazione che
riteniamo più consona alla nostra visione dell’esistenza umana, corrono
follemente o giacciono a terra contorcendosi. Inizialmente spaesati, nudi corpi
nel loro Purgatorio, diventano poi
disperati quando attraversano l’Inferno della perdita del tutto e, infine, risulteranno
interiormente ri-composti, ri-nati, quando sembreranno aver trovato una formula
non solo individuale ma anche collettiva per approdare ad un Paradiso possibile,
non necessariamente probabile.
Emma
Dante affronta ancora una volta la sfida registica con estremo, totalizzante
coraggio, realizzando uno spettacolo che si iscrive nel teatro d’avanguardia e
compie un’operazione che necessariamente deve turbare per adempiere al suo fine
provocatorio. La registra propone di conseguenza un’azione scenica dal sapore rivoluzionario,
che si avvale del più arcaico dei linguaggi, quello corporeo, che risulta
essere molto più sconvolgente-coinvolgente del verbale.
Corpo
quindi come protagonista assoluto, capace di prevaricare l’azione pur
facendosene interprete e, allo stesso tempo, sovrastandola; allora, non è poi
così essenziale la presenza di una drammaturgia, non esplicitata in questi
settantacinque minuti senza intervallo proprio perché non fondamentale
all’operazione teatrale.
Il
corollario di emozioni rappresentate e proposte dal gruppo di attori in scena
(dolore, paura, angoscia, vergogna, sorpresa, smarrimento, rabbia,
frustrazione, amore, gioia, allegria, rifiuto, coraggio e altre infinite sfumature della
mente e del cuore) si avvale del fondamentale utilizzo espressivo del corpo-movimento, poi di suoni (il motivo
acustico scandito dai piedi sarà talvolta accompagnato dall’improvvisa
emissione di grida gutturali e primitive emesse dagli attori) e anche dell’imprevedibilità
d’azione di oggetti che piovono dall’alto (un cielo?) o che irrompono da dietro
le quinte (uno spazio inconscio misterioso?). Tali emozioni posso essere
liberamente accolte/interpretate dallo spettatore in base alla sua personale
sensibilità, alle sue angosce inespresse e ai suoi fantasmi, alla sua storia
personale: ecco quindi che una vera e propria trama non risulta necessaria in
quanto viene di volta in volta scritta dagli attori in compartecipazione con la
percezione del singolo spettatore, quale prodotto di un proprio bisogno.
Ne
risulta uno spettacolo estremo, che richiede a chi lo guarda di mettere in
discussione le proprie convinzioni e che
lo induce a compiere un atto – ancorchè momentaneo (?) – di liberazione da
tutte le difese, le sovrastrutture erette a salvaguardia del suo spesso
presunto equilibrio. E di rinascere migliore, dopo un Giudizio Universale che
passa attraverso la Perdita Totale, assoluta, irreversibile, della parola nota,
dei panni-schermo che nascondono e falsamente proteggono l’io, dei
condizionamenti sociali, degli schemi mentali precostituiti e fuorvianti.
Possiamo
sicuramente immaginare la regista nella veste di un Virgilio-guida al femminile,
che invita l’umanità-spettatore a penetrare la “selva oscura”, attraversare il baratro e trovare un nuovo
Significato. Se un significato c’è.
In
ultima analisi, regredire per poter proseguire. E’ questa una visione
esistenziale, una concezione dell’Umanità, che può non essere condivisa ma
sulla quale vale senz’altro la pena riflettere. Oltre il corpo-scena, oltre lo
spettacolo-teatro. La sapiente, meravigliosamente irriverente e intensa regia
di Emma Dante e l’eccezionale – direi eroica - prestazione offerta dai quattordici
corpi-attori risultano così essere un dono offerto allo spettatore che potrà,
se ne sarà in grado, avere il privilegio di compiere questo
pensiero-riflessione.
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regìa,
elementi scenici e costumi: Emma Dante; luci: Cristian Zucaro; con: Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola
Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino,
Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivan Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele
Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli; Daniela Macaluso, Carmine
Gugliara; assistente di produzione:
Daniela Gusmano; produzione:
Piccolo Teatro di Milano-Teatro d'Europa/Atto Unico-Compagnia Sud Costa
Occidentale/Teatro Biondo-Palermo/Festival d'Avignon; 75' senza intervallo.
[28 febbraio-19 marzo: Milano, Piccolo
Teatro "Strehler"; 21-22 marzo: Lugano, Sala Teatro LAC ] e: 18-25 luglio:
Festival d'Avignon – Gymnase du Licée "Aubanel" – 13-22 ottobre:
Roma, Teatro Argentina; 27 ottobre-5 novembre: Palermo, Teatro Biondo; 7-11
novembre: Catania; 12 novembre: Reggio Emilia; 6-25 febbraio 2018: Parigi, Rond
Point; 28 marzo: Decines; 30-31 marzo: Antibes; 3 aprile: Montbéliard; 8-20
maggio 2018: Milano, Piccolo Teatro "Strehler".