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Lo sguardo polivalente di Alberto Farassino
Nuccio Lodato
   Un critico amico di Alessandria, a quattordici anni dalla scomparsa

Il mondo della critica cinematografica italiana, che non fruisce di una memoria più lunga di quanto non ne metta purtroppo in luce, più in generale, il nostro paese nel suo insieme, tende un po’ a dimenticarsi, tra mille altre cose, anche dell’importanza del contributo offerto dal “colletivo Cinegramma” tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Lo ha descritto bene uno dei suoi quattro antichi componenti, il mio compagno di università Tatti Sanguineti, intervistato da Anna Bandettini per “la Repubblica” il 3 marzo 2004, a un anno esatto dalla scomparsa di Alberto Farassino, in occasione dell’uscita dei suoi postumi Scritti strabici da lui curato: Io ero del clan dei savonesi: Aldo Grasso che fu il primo ad arrivare a Milano, io e poi più avanti Mimmo Lombezzi e Carlo Freccero. Grasso aveva incontrato il clan dei milanesi: Alberto Farassino e Francesco Casetti che stavano in Cattolica, nel gruppo intorno a Bettetini, in via Sant' Agnese. Era la fine degli anni ' 60, il periodo del collettivo Cinegramma: Farassino, Casetti, Grasso e io facevamo le proiezioni in Cattolica. Camerini, Blasetti, Rossellini.... il cinema degli anni '40-'50 che noi ricominciavamo a far vedere con occhio vergine. Poi ci fu il periodo del cineclub Brera nel '73-' 74 fino al '77. Era una Milano divertente”.

Proprio questo aver saputo tenere insieme ricerca scientifico-didattica e "militanza", con una presenza innovativa in istituzioni, stampa e media, contrassegnò l’intensivo contributo del quartetto allo svecchiamento dell'una e dell'altra area, in una sapiente osmosi che contaminava positivamente il meglio dei due ambiti, oltre ad aver contribuito vistosamente al non facile ingresso definitivo dellamateria” cinema e audiovisivi in ambito universitario (poi Francesco Casetti addirittura a Yale; Aldo Grasso in Cattolica e al "Corriere"; Sanguineti, battitore libero troppo allergico alla disciplina per mirare alla progressione accademica, un po’ dappertutto...).

Con la limpidezza superiore della sua scrittura non solo giornalistica, la caratura scientifica e didattica di Farassino (piemontese di Caluso, figlio di operaio Fiat, classe ’44) è tuttora commensurabile in quanto ha lasciato attorno e dietro di lui. Una tra le tante possibili prove provate di tutto questo:  se oggi il Friuli è con tutta probabilità la regione a più densa di cultura filmica d'Italia (superiore se possibile alle stesse Emilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Sardegna e Lazio), questo è irradiato anche e soprattutto dalla cattedra  resa fondamentale da Alberto nei suoi lunghi anni giuliani, dopo il pionieristico lavoro di fondazione e "semina" di Lino Miccichè.

La ricca messe di festival triestini e udinesi, la Cineteca del Friuli a Gemona e le Giornate del Muto a Pordenone, le ulteriori istituzioni universitarie della stessa Udine e di Gorizia vedono spesso e volentieri alla loro testa suoi ex-allievi. Ma al fondo della vicenda friulana  c'è anche  Davide Turconi (cattedre non ne ebbe mai...), che con le sue vacanze nell'amata Grado di Biagio Marin e Fulvio Tomizza e le relative proiezioni estive organizzatevi propiziò, all’inizio degli Ottanta, l'avvio delle Giornate del Muto

Il nome di Turconi ci riconnette a Pavia e a lui: è merito quasi esclusivo di Farassino (e della sua lungimiranza anche “politica”, che seppe intuire dietro un assessore provinciale della Lega l’interlocutore paradossalmente giusto) se il relativo Fondo è oggi totalmente dell'Università, e ne fa una punta di diamante non più solo potenziale di eccellenza scientifica e didattica (come dimostrò il lavoro pionieristico svoltovi da Elena Mosconi ai primordi della ri-acquisizione) in grado di competere quanto a risorse con Bologna Roma Milano.

Ma se il mondo universitario e quello istituzionale (la presidenza del Sindacato Critici; il cda del Centro Sperimentale; la condirezione scientifica della grande Storia del cinema italiano voluta ancora da Micciché; i numerosi festival spesso genialmente diretti) avevano saputo riconoscere e compensare Alberto, non altrettanto ha fatto quello della grande stampa. Sarebbe ingiusto non ricordare la poco commendevole vicenda della mancata titolarità della rubrica di "Repubblica" dopo il passaggio al “Corriere” di Tullio Kezich, che oltretutto ha fatto da apripista alla tendenza -già un po' anticipata da altri- di estromettere i critici "veri" e il loro stesso lavoro dai quotidiani (fanno oggi eccezione poche grandi testate, "Corriere" per fortuna in testa, con “Messaggero”,Stampa” eMattino”).

Quella personale di Farassino fu al contrario una storia di lunghissime fedeltà: basti pensare al rapporto anche diretto con  Jean-Luc Godard e al lavoro pluridecennale sul suo cinema (l’ultimo corso pavese, dopo l'ennesima edizione della monografia, sempre gremito…). E appunto agli studenti: Luca Malavasi ed io potremmo testimoniare -oltre che della disinvoltura del viaggiare con la chemio portatile a tracolla-  del suo aver voluto impartire le estreme istruzioni telefoniche dettagliate sulle tesi in corso non pochi giorni ma poche ore prima del grande congedo definitivo. E altra lunghissima fedeltà fu quella alessandrina al Premio “Adelio Ferrero”, della cui giuria fece parte ininterrottamente dalla fondazione nel 1978 fino alla scomparsa, e che lo vide spesso determinante nell’individuazione di ragazzi che sarebbero poi divenuti suoi autorevolissimi interlocutori e colleghi (ricordiamo solo l’a sua volta compianto Buccheri nel ’92, Morreale nel ’93, lo stesso Malavasi nel 2001). Si dovette a lui, quando la manifestazione crebbe, nel 2002, col festival della critica “Ring!”, purtroppo troncato per forza maggiore dopo sole nove edizioni, l’ideazione del “Guantone d’oro” che riconoscesse di anno in anno ai decani della critica “Una vita da boxeur”. Propose i riconoscimenti per la prima edizione a Callisto Cosulich e Fernaldo Di Giammatteo. Il primo accettò di buon grado, il secondo declinò garbatamente…

E assai intensa, anche se purtroppo e involontariamente troppo breve (1998-2003!) fu la sua fedeltà all’amatissima  cattedra ticinense, dando finalmente cittadinanza riconosciuta al lavoro di Adelio Ferrero che l'aveva inaugurata prima di passare al neocostituito DAMS bolognese, e di Lino Peroni che la consolidò in un quarto di secolo esatto di indimenticabile assiduità. Oggi Federica Villa, dopo la tragedia di Buccheri, si ritrova nelle mani un grosso strumento, pur  nei tempi per tutti grami che ovunque si stanno attraversando.

Vorrei infine ricordare il suo magnifico gusto per il divertimento, all'occorrenza anche apertamente provocatorio, senza cui non si fanno bene le cose, fin dai tempi aurei dell'intesa perfetta con quel gigante della cultura spettacolare lombarda che fu Franco Quadri, che portò all’esperienza indimenticabile del cineclub Brera di via Formentini. Mille possibili esempi: uno per tutti. Primo convegno internazionale sul cinema underground, organizzato da Ester de Miro,  "Il Gergo Inquieto", Palazzo Tursi, Genova 1977. E’ il momento del tripudio revanscistico di Vittorio Fagone e del suo “cinema d’artista”. I “vecchi” maestri dell’”indipendente italiano” del decennio precedente e gli sparuti critici già loro sostenitori sono trattati da revenants e bene o male abbozzano. Ma la sera precedente c’è stata la prima di Guerre stellari

e Farassino con Casetti ha disertato i “lavori” per andarlo a vedere. La mattina seguente, prendendo la parola come relatore, non ha –tra il serio e il faceto- dubbi: antichi e nuovi fautori del cinema off stanno sbagliando tutto, la vera avanguardia protesa al futuro sono gli effetti speciali, all’epoca invero strabilianti, di Lucas!

Devo a una sua affettuosa ironia sul mio pensionamento scolastico un po’ anticipato persino la  mia successiva esperienza universitaria pavese: certo avevo accettato il suo invito per il solo piacere lavorare con lui alla gestione del Fondo Turconi, nell’acquisto del quale da parte della Provincia con la quale lavoravo, nell’82 avevo avuto piccola parte. E sono rimasto in credito della promessa visita comune, avendo a base la sua casa al mare, al problematicamente accessibile mausoleo del Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia a Capo San Donato della sua natìa Finalmarina, complice una comune passione storica per la Grande Guerra: noi che “ci eravamo evitati la seconda”, come motteggiava Goffredo Fofi. Non ho più ritrovato voglia e coraggio di andarci da solo. Posso ancora rimpiangere, in privato, come tanti, l’insuperato e orgoglioso confezionatore di torte, o in alternativa il serissimo ordinario che pregava la segreteria dell’allora ancora “Facoltà” di Lettere di dispensarlo da impegni orari il martedì. “Perché, professore?” chiedevano sorprese le signore dell’ufficio. “Ma perché Vigoni” rispondeva lui, riferendosi alla storica pasticceria di fronte all’università, produttrice dell’inarrivabile torta omonima, col tono di chi enunci un’ovvietà “il martedì è chiuso!”.

Martedì 30 maggio, presso la storica Aula Foscoliana, con il Magnifico Rettore Fabio Rugge e i Professori Dario Mantovani e Virginio Cantoni,  l’Università di Pavia e il locale Rotary Club hanno consegnato il Premio Internazionale “Girolamo Cardano”, giunto alla 32^ edizione, ad Aldo Grasso, docente di Storia della radio e della televisione presso la Cattolica di Milano e critico televisivo del “Corriere della Sera”. Il premiato, introdotto da Elena Mosconi, ha tenuto una lectio magistralis sul tema Né apocalittici né integrati: uno sguardo culturale nuovo. E’ nella consuetudine della manifestazione ricordare simultaneamente, ad ogni assegnazione annuale, un “personaggio richiamato”, la cui traiettoria biografica e culturale presenti attinenze con quella del premiato.  La relativa scelta è caduta su Alberto Farassino, già ordinario di Storia e critica del cinema nello stesso ateneo, prematuramente scomparso nel 2003. Memoria affidata a chi ebbe allora, a sorpresa, il non lieto né lieve onere di succedergli temporaneamente. 

16/06/2017 19:16:04
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