Sono
nuove le attrattive economiche per la produzione italian
Sabato 11 novembre, alle 17, presso la
Sala Convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, il locale Circolo
del Cinema (Film & Video) propone il terzo incontro della serie Visioni seriali,
dal titolo Tuffàti nella serie (o sullo smart…). Ma è cinema “vero”? Intervengono Fabrizio Garlaschelli, Nuccio
Lodato, Laura Massone e Loretta Ortolani. A seguire alcune premesse informative
che varranno da introduzione al dibattito, nel corso del quale verrà anche
offerta una selezione di articoli sull’argomento apparsi negli ultimi mesi
sulla stampa italiana e internazionale.
Siamo stati abituati per moltissimo tempo
a considerare le reti tv come un estremo luogo di riporto passivo e ritardato
di film nati per le sale, o tutt'al più, nei periodi più recenti ma ormai
remoti del vcr e vhs, e si potrebbe quasi aggiungere il dvd (poi si ha
l'impressione che nel giro di pochissimi anni neppure il blueray starà più
tanto bene). Oggi invece accade esattamente
l'opposto: è una profonda, capillare, giornaliera rivoluzione in atto.
“Non è il budget che fa funzionare una
storia” ha sentenziato, peraltro piuttosto ovviamente, David Levine, capo
sezione “drama” della potentissima HBO (intervistato da Gianmaria Tammaro per
“La Stampa” il 23 scorso): “Produciamo meno di altri canali perché puntiamo
sulla qualità. Non è sulla previsione degli ascolti che ci basiamo. Crediamo
che i nostri contenuti debbano andare in onda la domenica, una volta la
settimana. Ed è importante che si tratti di prodotto imperdibili. L’industria
cinematografica si è rinchiusa in se stessa. Per il cinema un’idea originale è
un rischio. In televisione, invece, è quello che cerchiamo. Attori, registi e
sceneggiatori scelgono il piccolo schermo perché possono approfondire nuovi
aspetti del lavoro”.
E’ comunque un punto di vista efficace per
esporre i termini di una problematica innovativa che sta letteralmente
sconvolgendo, per l’ennesima volta nella storia, modi e tempi, modalità,
opportunità e oneri di fruizione dello spettacolo riprodotto. L’argomento che
Levine sta introducendo è la realizzazione, in corso d’opera, de L’amica geniale, le cui riprese sono in
svolgimento con la regìa di Saverio Costanzo (un autore, classe 1975, ancora
troppo poco riconosciuto: i suoi primi quattro film, nel decennio 2004-14, Private e
In memoria di me, La
solitudine dei numeri primi e Hungry Hearts, sono risultati tutti di eccezionale
livello). C’è la coproduzione italiana di Lorenzo Mieli (Wildside), con
l’obiettivo di lanciare a livello mondiale i già tradottissimi e gettonatissimi
quattro volumi del romanzo in progress della misteriosa –o meno…- Elena Ferrante,
già trascritta sullo schermo magnificamente da Martone per L’amore molesto nel 1995, e infelicemente da Faenza con I giorni dell’abbandono dieci anni dopo.
(Costanzo e Mieli avevano già realizzato con Sky, a partire dal 2013, i 105
episodi da 25’ ciascuno della versione italiana di In Treatment, tratto da un originale statunitense di fonte primaria
israeliana, tutti congiunti dalla figura dello psicoterapeuta Sergio
Castellitto, attorniato da un rutilante cast variabile di pazienti).
“Sono stati scelti solo attori e attrici
locali” insiste entusiasta Levine: “L’ambientazione è meravigliosa, così come
la storia, che fotografa il cambiamento dell’Italia nel corso degli anni. Per
noi è importante che tutto resti in una dimensione locale e specifica, per dare
coerenze e credibilità al racconto. Il motivo per cui stiamo lavorando così
tanto in Italia è che vi abbiamo trovato storie incredibili. Abbiamo lavorato
con Sorrentino per The Young Pope convinti
che la sua fosse una grande idea. Se siamo così spesso in Italia è perché ci
piace collaborare con persone di talento, e qui ce ne sono parecchie”.
Un punto di vista interessante,
quand’anche diametralmente opposto a quello espresso sullo stesso argomento da
Riccardo Tozzi della Cattleya, il produttore italiano maggiormente impegnato,
anche a livello internazionale, sul medesimo fronte (lo riportava da Venezia
Fulvia Caprara, sempre per “La Stampa”, all’indomani della proiezione dei primi
due episodi della nuova serie Netflix Suburra,
la prima produzione italiana dell’emittente, attualmente in onda, il 3
settembre): “Lo specifico di Netflix è nel suo carattere globale: le categorie
dell’aggancio nazionale non contano più. Bisogna parlare al mondo, proponendo qualcosa
di forte e di autentico, che vada bene per i pubblici più differenti”.
Al di là del mistero, che solo Tozzi
potrebbe risolvere, di come si possa concepire qualcosa di “autentico” adatto
“ai pubblici più differenti”, è difficile immaginare due ottiche più opposte,
ma anche paradossali: il produttore straniero magnifica l’unicità
insostituibile dell’Italia come laboratorio di idee e set realizzativo; quello
italiano al contrario enuncia una filosofia globalista ad oltranza.
Curiosamente, nella stessa occasione
veneziana della conferenza stampa di Tozzi, un cineasta e attore
dell’importanza di Sergio Rubini lanciava una precisa scomunica alle serie, nel
nome della buona, vecchia cara autorialità: “Possono cambiare i mezzi con cui
si fa cinema, possono cambiare le modalità con cui si vedono i film, ma è
importante mantenere l’unicità dell’opera, espressione di uno sguardo
personale. Le serie tv non hanno questo sguardo unico, sono realizzate da
diversi registi e perdono completamente il senso profondo che possiede un film
d’autore. Non sono cinema come oggi vogliono farci credere” (la fonte è sempre
il quotidiano torinese del giorno successivo). Ma di tutto questo si è già
detto analiticamente in un precedente articolo l’ultima decade di settembre (Romanzi criminali, film, tv e il TTP Netflix
del cinema).
La tendenza in atto può essere facilmente
rappresentata seguendo la cronologia delle più popolari serie realizzate in
Italia nell’ultimo quindicennio: Romanzo
criminale, Gomorra e appunto il
recentissimo Suburra. Notate la
cronologia e la progressione.
Nel 2002 esce da Einaudi il meritatamente
fortunatissimo Romanzo criminale del
giudice De Cataldo; il relativo film per la sala firmato da Michele Placido
interviene tre anni più tardi: la successiva prima serie tv appare nel 2008-09,
e la seconda l’anno successivo. Otto anni complessivi, insomma, per definire il
triplice trapasso. Nel frattempo, 2006, appare con ancora maggior fortuna da
Mondadori (poi passerà a Feltrinelli) il romanzo-saggio Gomorra di Roberto Saviano. Passano stavolta appena due anni, ed
ecco il relativo, peraltro magnifico film di Matteo Garrone: ce ne vorranno
altri sei per la prima relativa serie, ulteriori due per la seconda (e siamo
all’anno scorso) e la terza andrà in onda su Sky (Atlantic e Cinema) a partire
da venerdì prossimo. Gli anni complessivi stavolta sono undici, ma gli episodi
si sono moltiplicati. Il caso di Suburra,
come si è già avuto modo di rilevare allora, è ulteriormente concentrato e
finalizzato: ancora De Cataldo e Bonini pubblicano da Einaudi il romanzo nel
2013, predestinandolo programmaticamente alla realizzazione della serie:
Sollima (già impegnatissimo nelle due serie da Romanzo criminale e nelle altrettante prime due di Gomorra) realizza il film per le sale
praticamente subito dopo (l’ha proposto RaiTre poco tempo fa: il dvd circola
dal 2016) e l’irradiazione della relativa prima successione di dieci episodi è
cosa di questi giorni.
Lo stesso regista si è sfilato da
quest’ultima realizzazione per lavorare alla nuova iniziativa seriale tratta,
senza più alcuna intermediazione di sala, da Zero zero zero ancora di Saviano, uscito nel 2013: ne inizierà le
riprese il marzo prossimo, il probabile titolo internazionale dovrebbe esserne
però . Di Costanzo e dell’Amica geniale si
è già detto: saliente il fatto che sia coinvolta in diretta la Rai e che i
dialoghi resteranno in italiano anche nell’edizione internazionale,
sottotitolata in inglese: questa è davvero un’inversione di tendenza clamorosa.
Alcune osservazioni: le serie entrano in
regime concorrenziale, come appare evidente dal conflagrare della
coprogrammazione fra Gomorra 3 su
Sky e Suburra la serie su
Netflix, e prima ancora per il passaggio appunto di Sollima, che è un po' il
deus ex machina unificante le operazioni della triplice trilogica, alla nuova
impresa della trascrizione bis dall’ormai quotidianamente onnipresente Saviano.
L'analisi di badtv.it, una per tutti: «Romanzo criminale ha fatto
da progetto pilota, Gomorra ha definitivamente aperto le porte alla
serialità internazionale italiana, The Young Pope infine è stata la
certificazione di un trend, benedetta da un colosso come HBO. La domanda
mondiale di serie tv italiane esiste e tutte le principali case di produzione
sono pronte ad approfittarne: non certo da oggi ma da qualche anno, solo che la
progettazione di una serie di altissimo profilo richiede tempo, così tra la
fine del 2017, il 2018 e il 2019 prenderanno il via le riprese di moltissimi
progetti pensati per un pubblico non solo italiano e molto più ampio rispetto
ad esso, pensato per rivaleggiare con gli equivalente americani e mondiali».
E le nuove
serie italiane in grande stile e con già corrisposta ambizione di circuitare
ancora in ambito internazionale (altro risvolto in cui al contrario i nostri
lungometraggi di sala sono tradizionalmente deboli) in progettazione non
mancano: Django (un concentrato Tozzi/Cattleya per Sky: il protagonista
potrebbe riessere Franco Nero, come nel western all’italiana di Corbucci oltre
mezzo secolo fa!) e Colts, che addirittura Sergio Leone avrebbe a suo
tempo pensato e che ora i figli Andrea e Raffaella si propongono di realizzare
ricorrendo per l’avvìo allo stesso Sollima una volta liberato dal nuovo Saviano.
Suspiria de profundis, ispirato a
Dario Argento che lo supervisionerà, col titolo esatto del romanzo di De
Quincey che ne ispirò occultamente Suspiria e apertamente Inferno,
affidato per la regìa al debutto della videoartista Flora Sigismondi (e poi non
si dica che il buon vecchio cinema tradizionale non è prodigo di idee per le
nuove serie…). Les Italiens,
diretto da Nicolas Winding Refn dal ciclo noir di Enrico Pandiani, e Il
Regno di Agnieska Holland dal romanzo… post-evalngelico di Carrére (ancora
Cattleya): tutti questi previsti per il 2018, come forse il “secondo”
Sorrentino di The New Pope. Beati Paoli dovrebbe essere nel 2019
un’altra iniziativa del Leone Film Group che, sempre secondo le informazioni di
Marino Niola, avrebbe convinto Tornatore a occuparsi serialmente della setta
segreta siciliana. Infine girerebbe l’idea, nel 2020, di serializzare in
Vaticano le inchieste, restate indenni dal vaglio dei tribunali, di
Gianluigi Nuzzi.
In altre
parole, ecco la via d’uscita intravista dalla crisi del nostro cinema, buona
anche quando Zalone si prende tanto astutamente quanto meritatamente un qualche
anno sabbatico, mentre Benigni appare ormai in sabbatico permanente. Non
saranno certo le nostre commediette anemiche e tutte identiche o i più rari ma
corrispondenti drammini esangui a ridare appunto sangue e linfa all’ansimante
sistema delle sale. Anche
perché i pochissimi fuoriclasse veri vanno all'estero: prima il solito
Sorrentino: This Must Be the Place, 2011, poi Youth – La giovinezza 2015,
infine il ricordato The Young Pope l'anno scorso, ma qui siamo già appunto
transitati alla serialità. Poi Garrone, fin da Reality 2012 e Il
racconto dei racconti 2015; adesso Virzì: Ella e John in concorso a
Venezia e nelle sale dal prossimo gennaio.
Insomma, andrebbe paradossalmente riconosciuto a camorra e
non-mafia (mi riferisco alla sentenza romana del 20 luglio…) criminale di
contribuire, almeno quanto a materia per soggetti, all’innalzamento del PIL. Va
osservato anche come, curiosamente, ‘ndrangheta e Sacra Corona restino invece
narrativamente quasi al palo: alla prima solo il bellissimo Anime nere di
Munzi, 2014, dal romanzo di Gioacchino Criaco [Rubbettino, Soveria Mannelli
2008: è un nobile editore col quale non si entra però nel grande giro...] con
Braucci in sceneggiatura; alla seconda qualcosa in più, l’altrettanto valido Galantuomini di Edoardo Winspeare
(2008), il semiclandestino Fine pena mai di Barletti e Conte l’anno
precedente e il Diario di uno scuro della Fluid Video Crew visibile su
Vimeo in quello successivo).
Oggi il cinema
italiano dispone di quattro uomini di punta: in ordine di anzianità anagrafica
e di debutto, Martone, Virzì, Garrone e Sorrentino. Il primo sembra l'unico tra
loro non disponibile al momento a uscire dall'Italia: troppo interessato a fare
teatro e lirica, e a penetrare col suo cinema il mistero storico italiano (Noi
credevamo, lo stesso Il giovane favoloso e il nuovo Capri-Batterie attualmente in lavorazione sull’isola
e nel Cilento). Gli altri all'estero ci sono già stati, come si è
ricordato: non sfugga però che il vero centravanti di sfondamento è stato
Sorrentino, non coi film ma con la serie di The Young Pope e il suo plebiscitario successo mondiale.
Le cose cambiano…