XIV. Per concludere: Il Cile oggi
A conclusione è doveroso far notare come gli avvenimenti cileni, ed i rapporti stesi dalla stessa Cia, non debbano essere visti come un caso unico ed eccezionale, contingente e localizzato, ma come il paradigma di una concezione della politica nella quale la lotta al comunismo ha rappresentato la giustificazione (e talvolta l’alibi) per ogni tipo di intervento e per l’appoggio a quei regimi dittatoriali che, pur non garantendo “libertà e democrazia” per i popoli, andavano tuttavia sostenuti per i loro meriti di intransigenza anticomunista.
Come fa notare il giornalista Giovanni Cipriani[1], infatti, il golpe cileno ha rappresentato una delle più concrete e determinate applicazioni della teoria della “controinsorgenza” e della guerra rivoluzionaria che per oltre un quindicennio hanno ispirato le dottrine degli Stati Uniti in materia di azioni militari e di intelligence.
Questa teoria venne elaborata nell`immediato dopoguerra, principalmente come risposta alla vittoria della rivoluzione comunista cinese, che aveva indicato come, da un punto di vista militare, la guerriglia rivestisse un ruolo strategico per la conquista del potere, soprattutto nel periodo nucleare, quando le guerre convenzionali cominciavano a mostrare tutti i loro limiti, nel reciproco timore di una escalation incontrollata.
I militari americani, quindi, “credendo che l`unico modo per sconfiggere la guerriglia fosse quello di trasformarsi in guerriglieri”[2], cominciarono ad elaborare operazioni non convezionali clandestine per regolare le politiche dei governi e l’impiego delle forze armate: in pratica, una sorta di legittimazione politico-strategica per interferire pesantemente all’interno dei paesi alleati anche senza il loro consenso.
La teoria della guerra rivoluzionaria doveva rappresentare la risposta (uguale e contraria) alla guerra su scala planetaria lanciata dai comunisti, che si manifestava, secondo i teorici nordamericani, in ogni forma possibile: dalle lotte politiche legittime a quelle violente, da quelle ufficiali a quelle clandestine, da quelle legali a quelle illegali: in ogni modo si manifestassero, le attività comuniste andavano contrastate con ogni mezzo e bisognava far pressioni sui governi alleati, quando il loro tasso di anticomunismo sembrava divenire inadeguato rispetto al livello di scontro in atto.
Insomma, “se la teoria della controinsorgenza era stata elaborata pensando soprattutto ai paesi del Terzo mondo e ai movimenti di liberazione (dietro il nazionalismo c’erano sempre i comunisti, si sosteneva) la teoria della guerra rivoluzionaria serviva meglio a comprendere le dinamiche che si manifestavano in paesi molto più avanzati, dove la rivoluzione comunista avrebbe potuto vincere anche senza l’appoggio delle masse contadine e dei guerriglieri”[3].
La sintesi delle due teorie, e la loro traduzione operativa era riassunta nelle direttive del generale Westmoreland (capo delle forze armate americane in Vietnam) il quale “aggiornando le elaborazioni dei suoi predecessori in materia di operazioni di intelligence, di “stabilizzazione” e di guerra psicologica, spiegava ai militari come contrastare sul campo, anche in maniera spregiudicata, l`avanzata comunista, come utilizzare il terrorismo e l`infiltrazione a favore della stabilizzazione, come controllare, infine, forze armate e governi dei paesi ospiti”[4].
La contestualizzazione degli eventi è fondamentale: il Cile, quindi, nel 1973, non fu altro che la tragica conclusione di un “ciclo” che tra il 1960 e il 1975, nelle zone sotto il controllo diretto o indiretto degli Usa, vide il verificarsi di decine di golpe o di tentati golpe, in cui la Cia e i servizi di intelligence della Us Army svolsero un ruolo decisivo.
Nelle elezioni presidenziali 2006, la socialista Verónica Michelle Bachelet Jeria (nata il 29 settembre 1951) ministro della sanità e ministro della difesa per il presidente uscente, diventa il primo presidente donna del suo paese. Eletta al ballottaggio con il 53% dei voti, in opposizione all`imprenditore Sebastián Piñera, è in carica dall’11 marzo.
Il 10 dicembre 2006, a novantun anni, in seguito all’ennesimo ricovero per un attacco cardiaco, Pinochet muore presso l`Ospedale Militare di Santiago del Cile.
Anche da morto ha diviso il suo paese tra coloro che vedono in lui un brutale dittatore che pose fine al regime democratico di Allende e guidò un regime caratterizzato dalla tortura e dalla protezione dei ricchi, e quelli che credono che salvò il paese dal comunismo e guidò la trasformazione dell`economia cilena in un`economia moderna, anche se vi è un crescente riconoscimento della brutalità del suo regime, i suoi seguaci spiegano questo nel contesto della crescente violenza nella società cilena causata dai gruppi politici armati rivoluzionari nel decennio precedente il colpo di stato.
[1] Giornalista, analista di intelligence e saggista, è considerato uno dei massimi esperti italiani in tema di terrorismo e servizi segreti. È stato consulente della Commissione parlamentare sulle stragi nella XIII legislatura e della Commissione Mitrokhin nella XIV.
È condirettore della catena dei quotidiani del gruppo E Polis, e direttore del Centro studi strategie internazionali e della Rivista di Intelligence.
[2] G. Cipriani, Cia, Il rapporto sul Golpe cileno, Latinoamerica, n.73, settembre-dicembre 2000 in http://www.giannicipriani.it/Articoli/Cia-Cile.htm
[3] Ibidem
[4] Ibidem