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Anima e terra: aforismi e annotazioni
Psicoanalisi, fascismo e rivoluzione in Wilhelm Reich
Franco Livorsi

1) Il ritorno alla natura al di là della repressione sessuale e sociale

   Il pensiero del notevole psicoanalista ebreo tedesco e poi americano Wilhelm Reich può essere letto a diversi livelli. Da un lato Reich sembra essere stato un pensatore più freudiano dello stesso Freud, nel senso che in lui la ben nota enfatizzazione del ruolo della sessualità nella  psiche umana, caratteristica del fondatore della psicoanalisi, pare addirittura diventare pansessualismo, e la questione della frustrazione della sessualità emerge come il problema principale di ogni essere umano e addirittura dell’intera storia; ma dall’altro la sua impostazione non può essere risolta in una sorta di freudismo semplicemente “estremista”, come potrebbe apparire ad un lettore superficiale. Infatti Reich, in riferimento all’idea dell’uomo come essere sociale e socievole per natura emerge, tra gli psicoanalisti, come il più prossimo ai famosi discorsi di Rousseau sulle scienze e le arti (1750) e sulle origini della disuguaglianza tra gli uomini (1754), che hanno consolidato il mito del “buon selvaggio”[1]: insomma come il più persuaso che l’uomo “di natura”, ossia “per natura”, non sia affatto cattivo. In ciò egli è stato, paradossalmente, il meno freudiano di tutti gli psicoanalisti, dal momento che Freud, almeno nella piena maturità, diciamo dal 1920[2] alla morte, quando parlava dell’uomo come naturalmente è - o sarebbe - da sempre, ne sottolineava costantemente la tendenza naturalmente amorale e soprattutto asociale, l’attitudine individualista assoluta, tutta libido e niente affatto permeata da amore per il prossimo genericamente inteso, e ad un certo punto la riferiva espressamente al motto di Hobbes “homo homini lupus[3]. Inoltre, pur mantenendo il pansessualismo “freudiano”, Reich ampliava la nozione di sessualità ben oltre ogni limitazione genitale, in senso stretto ed anche in senso lato.

   Infatti Reich, come si vede nella sua grande ed ormai classica opera Psicologia di massa del fascismo (1933 e 1942)[4], scritta in prima versione all’avvento di Hitler al potere, mostra di considerare “scientifiche” tutte le idee espresse da Lewis Henry Morgan a Engels, e da Johann Jakob Bachofen a Margareth Mead, sul comunismo e comunitarismo dei pellirossa irochesi, e sulla sostanziale libertà sessuale ivi vigente (Morgan e Engels), nonché sul matriarcato originario (Bachofen, Morgan e Engels), matriarcato che sarebbe stato ancor vivo e creativo nella prima civiltà egeo cretese (Bachofen), e sull’esistenza di società polinesiane senza complesso di Edipo ed anzi con forte libertà libidica (Mead)[5]. Il vero problema, per Reich, era quello di capire come da quelle altezze di libertà e di reciproco amore - a livello cosiddetto spirituale come corporeo - si fosse via via precipitati in civiltà in cui la repressione della “libido” ha tanto grande parte, sino a culminare nella repressione a tutto campo della libertà dei singoli - e dei giovani e delle donne in particolare - propria dell’etica da caserma, tutta obbedienza ed autorepressione, propria del fascismo trionfante. 

2) Il ritorno storico e psicologico al comunismo libidico primordiale e la reazione fascista

   Ciò portava Reich a vedere nel fascismo, e in particolare nel nazionalsocialismo, nient’altro che la punta estrema di una tendenza connotata da un distacco progressivo dell’uomo dalla condizione animale: in vista di una società in cui il lavoro è “normalmente” coatto e gli istinti sono “normalmente” repressi. Il capitalismo - a suo dire - ha preparato il terreno per lo svolgimento finale, fascista, dell’autoritarismo antilibidico. La meccanizzazione della vita - con il suo lavoro seriale, con la sua ossessione macchinistica, con la sua idealizzazione della disciplina sul lavoro come nella quotidianità - sarebbe stata insomma funzionale allo sbocco fascista di cui si è detto. La repressione contro natura della libertà istintuale, ed anche solidale, dura però da migliaia di anni - forse addirittura dalla nascita dell’agricoltura nel neolitico, ma con sviluppi ed accelerazioni significativi in certe fasi piuttosto che in altre. Bisogna allora presupporre un fatto o insieme di fatti che ad un certo punto Reich - con formula che scientificizza semplicemente le idee del Rousseau del Discorso sulle scienze e sulle arti (1750) - chiama un vero e proprio “errore evolutivo”, per lui consistente nel  ripudio dell’animalità da parte dell’umanità. In tal caso il problema  dell’uomo diventa, perciò, quello del ritorno all’animalità.

   È possibile - si chiede in Psicologia di massa del fascismo - che una mente intelligente ammetta che la miseria umana non può essere distrutta finché l’uomo non ammetterà di nuovo di essere un animale?[6] 

   È questa la domanda fulminante, e a mio parere centrale, di Reich. Con ciò egli dà voce ad una tendenza presente in tutta la psicoanalisi, a scapito di certo conservatorismo illuminato del fondatore del movimento psicoterapeutico e culturale in questione: una tendenza che dà anzi a tutto questo movimento il più grande significato rivoluzionario. Si pone infatti, qui, ma anche nella psicoanalisi in generale, la questione del superamento della frattura tra uomo ed animale, tra coscienza ed istinto, tra pulsioni e ragione. Si mette con ciò a fuoco, però, in termini simbolici, la questione del superamento del cosiddetto peccato originale, che era poi consistito nell’invenzione di una ratio post-animale, da pretesi dominatori del creato: da esseri “come Dio”, coscienti della morte e della nudità (nel mito del Genesi). Si introduce insomma, in Reich e a diversi livelli in ogni psioanalisi, la prospettiva che Henri Bergson nell’Evoluzione creatrice (1907) chiamava del “ritorno cosciente dell’uomo all’istinto”[7]. Tuttavia in Reich lo si fa in modo formalmente molto irreligioso, molto materialistico, molto biologico (e dunque con un approccio ben diverso da quello di Bergson, che però in chiave spiritualistica e mistica poneva lo stesso problema del superamento della frattura tra spontaneità vitale ed intelletto astratto, meccanicistico e burocratico). Scrive infatti Reich:

   “Via dall’animale; via dalla sessualità!” sono i principi informatori alla base di qualsiasi ideologia umana. Non importa se un fascista la  esprime sotto forma di “superuomo” razzialmente puro, un comunista sotto forma di onore proletario classista, un cristiano sotto forma di “natura spirituale-morale” dell’uomo, o un liberale sotto forma di “valori morali superiori”. Da tutte queste idee risuona sempre la stessa musica monotona: “Io non sono affatto un animale; io in fondo ho inventato le macchine, e l’animale no! E io non ho i genitali come l’animale!” Questa è la sopravvalutazione dell’intelletto, della ragione “pura, meccanicistica, logica”, nei confronti della pulsione, della cultura, nei confronti della natura, dello spirito nei confronti del corpo, del lavoro nei confronti della sessualità, dello stato nei confronti dell’individuo, del superuomo nei confronti del sottouomo[8].

   Reich sostiene che questo plurimillenario allontanamento dalla natura, che per lui culmina nell’industrialismo capitalistico e, politicamente, nel nazifascismo, nella storia dell’umanità viene da molto lontano. Esso sarebbe stato reso possibile dalla convergenza fra tre forze formidabili, dalla lunga età storica: la famiglia monogamica e patricentrica, o patriarcale; il misticismo religioso, specie cristiano; e infine, last but non least, lo Stato. Tali forze sono tutte ritenute disciplinatrici autoritarie. Esse, inoltre, sarebbero intrinsecamente antilibidiche, volte a criminalizzare la libera sessualità. 

   Otterrebbero tale “bieco” risultato attraverso le seguenti vie: proibizione, nella famiglia specie patriarcale o tradizionale - che vedrebbe in ciò quasi il massimo male e pericolo per i propri membri - di ogni forma di sessualità fuori dal matrimonio o addirittura semplicemente non volta a far figli; apologia e protezione della religione, cristiana, che sempre predica la predetta morale sessuofobica contro natura, e che lo fa sempre, guarda caso,  all’ombra dello Stato, e di fatto come religione di Stato, o comunque come anima di uno Stato detto “cristiano”, il quale per parte sua tende sempre ad organizzare tutta una vita regolamentata, fondata su una morale rigida, innaturale, burocratica, militaresca, da caserma o all’ombra della caserma. (Qui non voglio soffermarmi sulla negazione del misticismo, che mi pare impropria se non altro perché - ma nello specifico poi Reich lo riconoscerà - è pure esistito un misticismo vitalistico, di cui ad esempio nel mondo antico i misteri di Dioniso sono stati grandiosa espressione, e che è pure spesso prorompente nell’induismo, specie nei culti, antichi e nuovi, dedicati al Krishna raffigurato e raccontato tra le sue pastorelle, ed entro certi limiti allo stesso Shiva, negli elementi di esaltazione dell’erotismo e della fertilità[9]. A parte ciò, comunque, il ragionamento di Reich colpisce molto).

   Il pensatore condivide del tutto l’idea marxiana del comunismo come “resurrezione della natura”[10], come piena libertà che giunge a realizzarsi tramite la sparizione delle classi, la quale ultima renderebbe finalmente possibile una società di liberi e uguali, senza Stato. Tale libertà intersoggettiva piena, a suo dire - oltre che in conformità alla grande speranza redentiva di Lenin e dei bolscevichi tra il 1914 ed il 1920 -   giunge prima abolendo rivoluzionariamente lo Stato tradizionale; poi dando il potere ai soviet, o consigli liberamente eletti dai lavoratori, che per tal via realizzano, ma veramente in prima persona, la dittatura del proletariato, ponendo via via fine, con tale loro potere sociale diffuso e coordinato, alla divisione tra società (in cui si lavora) e Stato (in cui si amministra e si reprime), e realizzando dunque uno “Stato che si estingue”, che si atrofizza di tempo in tempo man mano che le classi si estinguono, ossia vedono cadere via via le reciproche differenze economico sociali. In pratica Reich pensa, e scrive, che dal 1848 - in cui, guarda caso, fu pubblicato il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels - è iniziato il pur travagliatissimo “ritorno a casa” - se così si può dire - del reprobo figliol prodigo che si era allontanato dalla sua vera vita, ossia dalla vita conforme al modo di essere originario della madre natura. Dal 1848 in poi sarebbe insomma iniziata, e si sarebbe via via ampliata, una riscossa dell’uomo primordiale, ritenuto “biofilo” e solidale, il quale è stato sempre vivo nel substrato di ogni uomo, al di sotto dei pesanti strati di egoismo e di vita deviante costruiti nella psiche nei secoli, in ciascuno di noi. Dal 1848 sarebbe in marcia, prima episodicamente e poi in modo prorompente, una grande rivoluzione ininterrotta e di lunghissima durata contro la vita artificiale, repressa, alienata, in cui la capacità di amare è circondata ed impedita da mille lacci e lacciuoli. Questa grande riscossa della natura libidica nei confronti degli stili di vita e delle istituzioni contro natura, per Reich è poi il socialismo e comunismo (però nel senso libertario, democratico e rivoluzionario; non certo in quello statalista e repressivo, ben presto equiparato al fascismo).

   L’Ottobre sovietico del 1917 sarebbe stato, almeno alle origini, il culmine di tale tendenza liberatrice. E infatti Reich si impegna in una dimostrazione puntuale relativa al carattere di grande liberazione proprio degli anni di lotta “per il potere”, ma anche “al potere”, di Lenin, di cui vaglia anche fondamentali atti di governo che tendevano a porre fine ad una plurisecolare intangibilità della famiglia monogamica, all’indissolubilità del matrimonio, alla subordinazione della donna e, più in generale, alla subordinazione del lavoro umano.

   Tuttavia quello che Freud chiamava Super-Io (il moralismo interiore “paterno”), cui Reich dà pure una grande valenza sociale (psico-sociale), a quel punto si sarebbe spaventato incredibilmente, determinando - dopo la rivoluzione “veramente” comunista - una controrivoluzione. Il cuore di questa controrivoluzione sarebbe stato la Germania, dove il pericolo di rivoluzione sovietistica era stato altissimo. L’uomo “irrigidito” - antilibidico, tutto casa religione lavoro e disciplina, militarista e burocratico, piccolo borghese, ma anche borghese, e persino proletario laborioso e “di buon comando” (almeno in moltissimi casi di proletari, sia pure contro un’altra tendenza pur vistosamente presente tra loro, volta alla rivoluzione) - attuò una sorta di grande controffensiva reazionaria contro la rivoluzione incombente o in marcia. Fece una sorta di rivoluzione alla rovescia nel nome di tutti i valori tradizionali: una rivoluzione contro la rivoluzione, controrivoluzione – mascherata da rivoluzione - ritenuta da Reich clericale e autoritaria, cristiana e fascista.

   Reich, espulso dalla Società psicoanalitica in quanto avrebbe teso a farne un centro di lotta politica comunista, e dal Partito Comunista Tedesco in quanto sostenitore di una rivoluzione sessuale più che sociale (in tempo di stalinismo vittorioso), sin dal 1932-‘33 si trovò controcorrente in toto[11]. Denunciò, nella sua opera “politica” fondamentale qui vagliata (specie dalla seconda edizione), anche il “fascismo rosso” che si sarebbe affermato, con lo stalinismo, in Unione Sovietica. Ma ritenne sempre che la disfatta del “vero comunismo” degli anni ‘17-20 fosse solo una parentesi storica. In realtà una lotta contro quello che gli pareva essere stato un “errore evolutivo”, che durava dai primordi della civiltà umana in forme via via più gravi, poteva e doveva conoscere sconfitte e vittorie molteplici prima di giungere a compimento.

3) La rivoluzione libidica e sociale al di là della politica

   Tuttavia il fronte di lotta principale, specie dagli anni Quaranta del Novecento in poi, non gli parve più essere quello politico, bensì quello consistente nella diffusione di comportamenti di vita alternativi ad ogni repressione libidica, e ad ogni autoritarismo, nella vita quotidiana. È interessante notare, al proposito, una sorta di riscoperta della “libertà da” (libertà dal potere alias dallo Stato, libertà come privacy, libertà tipicamente liberale secondo Constant), ora riproposta in chiave antiborghese invece che liberal-capitalistica come nei padri fondatori della tendenza appunto liberale[12]. Dalla sfera della creatività personale (che per il radicale pansessualista Reich si esprime nel fare all’amore senza inibizione alcuna con chiunque ci aggradi, a prescindere da qualsiasi patto o contratto, e in primo luogo a prescindere da ogni limitazione della libertà libidica, della donna e dell`uomo) alla sfera della creatività interpersonale (che si esprime nel sapere razionale come nel libero operare), dovrebbe affermarsi lo spontaneismo libidico più ampio possibile. Infatti egli osserva:

   Non c’è bisogno di conquistare prima la libertà perché è presente spontaneamente in tutte le funzioni vitali. Ciò che deve essere conquistata è l’eliminazione di tutti gli ostacoli della libertà. (…)

   La società e la moralità naturali degli uomini sono presenti. Bisogna eliminare il disgustoso moralismo che seppellisce la naturale moralità per richiamarsi a impulsi criminali che esso stesso ha generato[13].

   E ancora:

   Il concetto di democrazia del lavoro quindi non è un programma politico, non è una prefigurazione mentale di una “pianificazione economica” o di un “Nuovo Ordine”. La democrazia del lavoro è un dato di fatto che finora è sfuggito all’occhio umano. La democrazia del lavoro non può essere organizzata, allo stesso modo che non è possibile organizzare la libertà. Non si può organizzare la crescita di un albero, di un animale o di una persona. La crescita di un organismo è, grazie alla sua funzione biologica, libera nel senso più stretto della parola. Altrettanto dicasi della crescita naturale di una società. Si regola da sé e non ha bisogno di leggi o di una regolazione. Potrà soltanto essere ostacolata oppure se ne potrà abusare.

   La funzione di tutti i tipi di dominio autoritario è quella di ostacolare le naturali funzioni autoregolate. Il dovere di un ordinamento veramente ispirato alla libertà non può che essere quello di eliminare ogni tipo di ostacolo che si frappone alle funzioni naturali[14].

   In pratica si tratta di liberare l’amore, come pure la ricerca, e come pure il lavoro, da ogni dipendenza: non già, per Reich, costruendo un potere speciale per tale compito - come certo pensava al tempo della prima edizione del suo opus sul fascismo, quando a modo suo era per una dittatura del proletariato alla Lenin, sia pure con accentuazione della dimensione della democrazia diretta, o autodiretta - ma praticando l’amore libero, la libera ricerca, il libero lavoro individuale o associato, dal basso in alto, nella sfera sociale e della vita quotidiana.

   Va pure notato che Reich, rendendosi conto del fatto che una libera sessualità intesa esclusivamente, e non solo principalmente, come attività genitale veniva a negare la profonda empatia cui la nostra specie sociale dovrebbe tendere, elaborò una nozione polimorfa di sessualità libera, e credé di scoprirne il fondamento ontologico, per lui scientifico, in quella che chiamò energia orgonica. In pratica tale energia sussisterebbe come una sorta di anima del mondo, non però separata dai corpi, ma come loro radicale, o forza vitale. Perciò l’eros proromperebbe sì nel coito, ma anche in ogni contatto empatico tra i corpi, che si cercano non solo nelle zone della riproduzione, ma in ogni punto, a suo dire sempre carico di energia vitale, sempre impregnato di eros[15].

   È strano che egli non avvertisse l’identità assoluta tra la nozione di energia orgonica e quella induista del prana, visto come energia cosmica, da introiettare in massimo grado, e dunque che egli non cogliesse il tratto panteista della sua conclusione “metafisica”, pretesa scientifica. Ma è pure possibile che tutto ciò, a questo genio del pensiero psicoanalitico libertario, nel prosieguo degli anni non sfuggisse affatto.

4) Le aporie di Wilhelm Reich

   Naturalmente non è necessario, e per chi scrive neanche augurabile, concordare globalmente con Reich. Il limite del suo pensiero, anche a prescindere dalle esagerazioni sessualistiche, sembra essere quello stesso degli anarchici, i quali, individuato il carattere autoritario dello Stato, pensano di poter abolire direttamente lo Stato in quanto tale, o di poterne fare a meno come società, dal momento che vedono nello Stato stesso non il minor male, ma il maggior male. A mio parere il passaggio dalla famiglia patriarcale al libero amore, o quello dal lavoro servile al lavoro libero, o quello dallo Stato al non-stato, postula un’evoluzione e non un salto (che pure in un punto indeterminato ed indeterminabile dell’evoluzione potrà verificarsi).

   Inoltre l’irreligiosità e il materialismo, per quanto trionfanti, a me non paiono affatto un processo di liberazione umana. Mi sembrano anzi, ormai, assolutamente funzionali alle più aggiornate forme di oppressione, diciamo pure capitalistica: quelle stesse illustrate benissimo da Marcuse nel suo ora classico Uomo a una dimensione (1964)[16]. Per me l’ateismo, come diceva Robespierre, è borghese[17]. Il materialismo è borghese. E il materialismo storico non ha funzionato: cosa che però Reich spiega benissimo - nell’ultimo caso - lui stesso, ad esempio laddove cita con favore l’obiezione, probabilmente colta dal vivo, di uno dei due fratelli espulsi da Hitler dal suo partito perché anticapitalisti sul serio (e che erano stati sul punto, alla metà degli anni Venti, di metterlo in minoranza), Otto Strasser - definito qui - in riferimento al 1930 - uno dei “rivoluzionari intelligenti e con intenzioni oneste, anche se di mentalità nazionalista e metafisica” - ricordando che questi diceva ai marxisti e comunisti, diventati ormai suoi interlocutori politici:

   “Da ottant’anni a questa parte, dov’è la conferma pratica della teoria della rivoluzione sociale? Il vostro errore di fondo è quello di negare o deridere l’anima e lo spirito e di non comprendere che essi muovono tutto"[18].

   Tuttavia se ciò viene ricordato sino in fondo, e se noi ricorderemo che esiste anche un misticismo vitalistico (a tratti anche nel cristianesimo); e che la “libertà da” - volta contro la dipendenza dell’amore, come del sapere, come del lavoro - è un processo che si può realizzare solo gradualmente; e se ci ricorderemo pure che il “fare politica” non si salta, anche Reich - per tutto il resto, che non è poco - potrà essere considerato un buon maestro. Ma solo con tali limitazioni, se non andiamo errati, Reich naturalmente replicherebbe che siamo condizionati noi stessi da pregiudizi “piccolo borghesi” (il che potrebbe anche essere, seppure nostro malgrado, vero).

(7/11/2007)

franco.livorsi@unimi.it



[1] Si vedano i testi di J.-J. ROUSSEAU: Discorso sulle scienze e le arti (1750) e Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754), in: Scritti politici, a cura di P. Alatri, Torino, UTET, 1969.   

[2] Il Freud della “piena” maturità è quello che scopre che la libido, l’energia ciecamente desiderante dell’inconscio, non tende solo all’eros, ma anche a thànatos (morte), e quindi anche alla distruttività: almeno a partire dal suo saggio Al di là del principio di piacere (1920), in “Opere”, a cura di C. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol. 9, pp. 187-249.

[3] S. FREUD citava con favore l’affermazione di T. Hobbes (per cui si rinvia a Leviatano. La natura, la forma e la potenza di uno Stato ecclesiastico e civile, del 1651, e a cura di R. Giammanco, Torino, UTET, 1955, due voll.) in: Il disagio della civiltà (1929), in “Opere”, cit., 1978, vol. 10, pp. 553-630.

[4] W. REICH, Psicologia di massa del fascismo (1933 e poi 1946), Milano, Sugar, 1974. Ho utilizzato l’ed. del 1981.

[5] Dell’antropologo L. H. MORGAN si veda: La società antica. Le linee del progresso umano dallo stato selvaggio alla civiltà (1877), Milano, Feltrinelli, 1960. Di J. J. BACHOFEN, Il matriarcato (1861), Torino, Einaudi, 1988. Di F. ENGELS L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), a cura di F. Codino, Roma, Editori Riuniti, 1973 (riprende la rivalutazione del comunismo originario e libero delle origini, pur in un quadro evoluzionistico, in cui quello stadio è destinato ad essere superato. Riprende ugualmente l’idea di una civiltà egeo-cretese greco arcaica connotata da assenza di proprietà, libertà sessuale e ginecocrazia, pur deplorando il “guscio mistico” da Bachofen). Di M. MEAD si vedano: Sesso e temperamento (1935), Milano, Il Saggiatore, 1967; Maschio e femmina (1949), ivi, 1962.

[6] W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, cit., p. 391.

[7] Per un approccio complessivo, critico e persuasivo, al pensiero di questo fondamentale filosofo contemporaneo, si veda: A. PESSINA, Introduzione a Bergson, Bari-Roma, Laterza, 1994.

[8] W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, cit., pp. 391-392.

 “ Sottouomo” nel contesto sta per  animale poco umano, ossia per  uomo niente affatto speciale, considerato di secondo o inferiore livello,

[9] A. DANIÉLOU, Shiva et Dionysos: la religion de la nature et de l’Eros: de la préhistoire à l’avenir, Paris, 1979 (tr. it. Siva e Dioniso. La religione della Natura e dell’Eros. Dalla preistoria all’avvenire, Roma, Ubaldini, 1980). Si veda ora l’interessante videocassetta Alain Daniélou, a cura di W. Weick e A. Andriotto, prodotta a Lugano dalla Televisione della Svizzera italiana, nel 1995 (n. 4 della serie “Il filo d’oro”).

[10] Su ciò rinvio ancora al mio saggio L’idea della comunità senza classi e senza Stato nella storia del marxismo, cit., in cui commento pure questo riferimento, che va ai Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Karl Marx.

[11] Per la ricostruzione di tali vicende di Reich, si veda il suo libro, pubblicato per la prima volta in Italia (previa traduzione dal manoscritto), Individuo e Stato, Milano, SugarCo, 1978. Integra bene: W. REICH, Passioni di gioventù. Un’autobiografia 1897-1922 (postumo, 1988), Milano, SugarCo, 1990. Ma si confronti con: L. DE MARCHI, Vita ed opere di Wilhelm Reich, Milano, SugarCo, 1980-1981, due voll.

[12] J.LOCKE, Due trattati sul governo (1690), a cura di L. Pareyson, Torino, UTET, 1960; B. CONSTANT, Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni (1818), in: Principi di politica , a cura di U. Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 219-239.

[13] W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, cit., p. 410.

[14] Ivi, p. 408.

[15] W. REICH, La rivoluzione sessuale (1936), Milano, Feltrinelli, 1969, quinta ed.

[16] H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione (1964), Torino, Einaudi, 1967.

[17] Si veda, su ciò, soprattutto: H. GUILLEMIN, Robespierre politico e mistico (1989), Milano, Garzanti, 1989.

[18] W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, cit., p. 35.

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