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Letture
Saraceni ad Acqui (I)
Giancarlo Patrucco

Capitolo I

Il lupo grigio avanzava lentamente, aggirandosi fra i tronchi delle farnie che stendevano i loro mantelli  lungo  il pendio. Si era messo in movimento al calar del sole, quando il mare rinnova il suo ultimo assalto alla costa  prima di acquietarsi nel buio. Aveva atteso quel momento accucciato in una forra, all`ombra, in compagnia dei suoi fratelli. Poi, appena  l`aspro sentore del salmastro si era insinuato fin lì, le teste si erano sollevate di scatto e il branco aveva cominciato la sua marcia verso l`interno.

Seguendo una disposizione collaudata nei secoli, i cacciatori si erano dispersi lungo un ampio fronte, avanzando al piccolo trotto nel sottobosco, con  tutti i sensi all`erta. Alle prime prede c`era stato il solito susseguirsi di zuffe e di ringhii, mentre il branco si disputava la carne rossa. Poi, col procedere della notte, le pance si erano riempite, gli appetiti si erano calmati e la spedizione era proseguita per istinto, più che per necessità. Ora, mentre in alto il cielo accennava a schiarire, il lupo grigio procedeva solitario, muovendo il corpo sinuoso tra i cespugli di felce e di ginepro, macchia appena  più chiara fra le tante macchie scure del sottobosco.

Con un balzo leggero scavalcò un grosso ramo abbattuto che si era messo di traverso. Poi si rifece gli unghioli contro un tronco e strofinò la pelliccia lungo la corteccia. Stava già pensando di tornare indietro, un po` annoiato da tutto quel silenzio, quando le narici colsero nell`aria il fremito di una sorgiva che zampillava più sotto. Solo in quel momento il lupo si accorse di avere sete. Allora, con la lingua penzoloni, si mosse e, a piccoli balzi, caracollò agilmente per la discesa.

Qualche decina di metri più a destra, al limite tra la radura e il bosco, anche i cavalli sentirono l`odore dell`acqua. Quelli in testa alla colonna scartarono irrequieti, il piccolo morello in coda accennò un`impennata e nitrì. L`uomo che lo conduceva  al passo tirò le briglie e gli accarezzò il dorso per acquietarlo. - Buono, Farad! Buono - sussurrò in una lingua aspra e musicale insieme. Poi,  aiutandosi col chiarore della luna, si girò intorno guardingo. Quando colse il suono dell`acqua, si rilassò e accennò un sorriso. Lanciò un richiamo ai compagni che marciavano avanti e fece piegare il morello a sinistra, conducendolo verso la sorgiva.

Il nitrito arrestò  il lupo a metà della sua corsa.  Su quei monti non c`erano cavalli bradi e nessuno poteva saperlo meglio di lui che ne era il padrone. Quindi, doveva esserci qualcun altro. Molti altri, anzi, perché i rumori stavano aumentando e lo scalpiccio degli animali si udiva ormai distintamente sul terreno.

Incuriosito e anche  un po` sdegnato, il lupo rinculò  con le orecchie frementi e la coda ritta, in attesa di vedere chi erano gli intrusi che osavano invadere il suo regno. Non dovette attendere a lungo. Di lì a qualche minuto, infatti, la colonna fu in vista. Gli uomini marciavano intabarrati per difendersi dall`umidità della notte, circospetti e silenziosi come fantasmi. Al lupo, però, non sfuggì il baluginio dei finimenti e neppure il tintinnio delle armi che portavano addosso. L`odore, poi, lo aveva già sentito: era quello degli incendi, del sangue e della morte che quei predoni portavano con sé lungo le valli.

Al lupo la prospettiva parve interessante. Così si mosse con cautela e iniziò un lungo giro che lo fece arrivare alla polla da sopravvento, per non allarmare i cavalli. Lappò a lungo l`acqua fresca, si rialzò, diede una scrollatina al pelo e  ricominciò le sue manovre, avvicinandosi silenziosamente alla colonna che si era messa in sosta.

Il campo era stato sistemato in una piccola radura tra gli alberi, proprio accanto alla sorgiva. Da una parte si erano raccolti gli uomini, seduti a confabulare in crocchio o distesi sotto le piante; dall`altra pascolavano i cavalli. Soltanto il piccolo morello, ancora irrequieto, se ne stava un po` discosto dagli altri e il suo cavaliere lo accarezzava, parlandogli all`orecchio.

- Sagitto - disse uno del gruppo, alzandosi e andandogli incontro - gli uomini sono stanchi e vorrebbero mangiare qualcosa di caldo…

- E tu no, Bakthiar? - lo interruppe l`altro con un sorriso ironico. Il morello, da parte sua, abbassò la testa verso il padrone e soffiò rumorosamente dalle froge, quasi a voler sottolineare la domanda.

- Vedi? - osservò Sagitto, voltandosi verso il cavallo. - Anche  Farad se n`è accorto. - Poi colse lo sguardo stolido di Bakthiar  e capì che il suo  sarcasmo andava sprecato. Allora si fece serio e guardò in alto. - Sì - disse - è ancora buio e il fumo non si noterà troppo. Però voglio tutti all`erta, perché non si sa mai.

Sentendo una nota di preoccupazione nella voce dell`altro, Bakthiar s`incupì. - C`è qualcosa che non va? - chiese, preoccupandosi a sua volta.

Sagitto ebbe un gesto di fastidio. - C`è sempre qualcosa che non va, Bakthiar - disse, piantandogli in faccia due occhi puntuti come carboni. Quindi riprese la sua aria ironica: - Ma non ti scervellare. Qui, siamo al sicuro.

 - Certo! - assentì vigorosamente Bakthiar, più sollevato. Poi proseguì di slancio: - Certo che siamo al sicuro! E ad  Aquae faremo una strage, eh, Sagitto?  Con un bottino come non si è mai visto!

- Certo, certo! - bofonchiò Sagitto, che sentiva crescere l`irritazione dentro di sé, di fronte alla sicurezza dell`altro. - Però, non bisogna mai vendere la pelle del lupo prima di averlo messo in gabbia.

- Ma noi siamo tanti! - osservò Bakthiar. - E abbiamo i rinforzi della flotta…

- Appunto - lo interruppe Sagitto. - Vedrai che i tuoi rinforzi ti aiuteranno, specialmente quando ci sarà da dividere il bottino.

Bakthiar masticò a lungo quelle parole, deglutendo vistosamente e incassando la testa tra le spalle nello sforzo di comprenderne il significato. Alla fine, un barlume di comprensione gli  accese gli occhi. - Vuoi dire… - mormorò pensoso.

Sagitto rimirò l`espressione intenta dell`altro e pensò che Allah non era sempre misericordioso. Per esempio, di Bakthiar aveva fatto un uomo grande e grosso, ma in quanto a cervello, non aveva proprio ecceduto. - Certo che voglio dire - osservò a sua volta.

- Ma quelli stanno con noi! - protestò Bakthiar, col tono di un bambino a cui hanno tolto un gioco. - Sono nostri…alleati!

- Fin che gli fa comodo, Bakthiar. Fin che gli fa comodo.

- Allora… - disse l`omone, spalancando la bocca come un pesce. Poi, non trovando altre parole, insaccò nuovamente la testa tra le spalle e lanciò a Sagitto uno sguardo supplichevole.

Sagitto provò pena per lui. Erano stati insieme in mezzo a tanti scontri e Bakthiar, a suo modo, era profondamente leale. Così allungò una mano e gli diede un buffetto sulla spalla. - Ma tu tranquillizzati - disse con  tono rassicurante. - Se vogliono farci qualche scherzo, noi glielo impediremo.

Bakthiar lo guardò, ancora dubbioso. - Davvero? - disse.

- Davvero! - rispose Sagitto con aria grave.

A quel punto, la faccia triste di Bakthiar si aprì ad un sorriso. Restituì il buffetto a Sagitto, facendolo quasi traballare, e gli rivolse uno sguardo pieno di fiducia. - Allora vado - disse. - E starò all`erta, come dici tu. 

Sagitto lo osservò allontanarsi. Poi  diede un colpetto sulla groppa del morello e lo lasciò libero di pascolare. Quindi si sfilò l`arco che teneva a tracolla e si sedette ai piedi di una grossa farnia, appoggiandosi al tronco nodoso.

 "Glielo impediremo". Quelle due piccole parole erano bastate a rassicurare Bakthiar, ma lui,  perché non riusciva a mettersi  tranquillo? Eppure, le condizioni per fare un bel colpo c`erano tutte. La penetrazione verso l`interno era andata di pari passo con l`arrivo della flotta. Le galee saccheggiavano Genua e, intanto, le bande  a terra mettevano a ferro e a fuoco le vallate, spingendosi sempre più verso l`interno.

Uno dopo l`altro erano stati conquistati tutti i centri costieri e, nell’entroterra, erano cadute le rocche di  Cario, Millesimo, Cruce Ferrea. Mentre le schiere dei Saraceni scendevano le valli, colonne cariche di rifornimenti salivano per i versanti opposti. Frumento, olio, vino, bestiame, foraggio, ma anche pezzi più pregiati: suppellettili, monili, paramenti sacri e soprattutto schiavi, la merce più preziosa,  pronta per essere esposta sui mercati di Damasco e di Baghdad.

Nella loro feroce avanzata i difensori della fede avevano spinto davanti a sé il gregge degli infedeli come fanno i pastori con le pecore.  Ora, tutti i profughi e i sopravvissuti alle scorrerie si stavano riversando ad Aquae, l`ultimo e più grande centro del fondovalle. Prenderlo,  significava avere la strada libera per le ricche pianure del nord.

Sagitto si leccò le labbra pensando ai tesori che lo aspettavano e alla fama che avrebbe guadagnato. Lui, piccolo montanaro berbero, ricordato come difensore della fede e sterminatore dei miscredenti! Ce n`era abbastanza per essere orgogliosi, paragonandolo con ciò che era quando lo avevano sbarcato su quelle coste, qualche anno prima.

Allora,  quando la fusta spagnola lo aveva scaricato a Varagine con un gruppo di altri giovani animosi, si chiamava ancora Alì Khasim el Fezzani. Il nome altisonante, però, non bastava a dargli l`aspetto del guerriero e nemmeno a riempirgli di denari la borsa. Così aveva cercato di mettere a profitto quel poco che possedeva: cervello sveglio per individuare la preda, occhio acuto nel prendere la mira e mano ferma per tirare l`arco. La sorte, poi, aveva fatto il resto.

Durante una delle sue prime scorrerie, lui e la sua banda erano incappati in un brutto guaio. Insieme ad altri gruppi avevano risalito l’entroterra fino ad arrivare ai confini di una stretta valle, immersa nel verde e attraversata da un grande fiume. Il posto sembrava pieno di villaggi e ricco di prede, ma, proprio nel mezzo, era guardato da una torre appollaiata su una rupe inaccessibile. Da lassù le guardie potevano controllare tutta la valle e avrebbero sicuramente intercettato ogni avanzata. Così venne deciso di mandare avanti la banda di Sagitto, per cercare di espugnarla mettendo a tacere i difensori.

Quella notte, il giovane Alì conobbe che cos’era veramente la paura. Col cuore in gola scese nel letto del fiume seguendo i compagni. Poi, cercando di ripararsi alla meglio dietro la cortina della boscaglia, cominciò lentamente a risalirne il corso, orientandosi al tocco e scivolando sulle pietre viscide del greto. 

 In quella posizione erano difficilmente visibili, confusi tra le piante e il buio, ma bastava che alzassero gli occhi per vedere la sagoma della torre incombere su di loro, stagliandosi minacciosa al chiaro della luna. Era evidente che, nel caso in cui fossero stati scoperti, non ci sarebbe stato ritorno per nessuno. Quindi, mentre si avvicinavano  incespicando, ognuno di loro biascicava preghiere e guardava in alto,  con l’incubo del fuoco che poteva brillare in ogni momento lassù, in cima.

La strada sembrava non finire mai, mentre il carro della notte correva sempre più veloce. Quando il gruppo lasciò finalmente il fiume, le dita dell’alba già sfioravano i contorni della torre e si insinuavano nel suo grande occhio che guardava il vuoto.

L’ultimo sforzo, il giovane Alì lo fece con il fiato mozzo, risalendo l’erta accidentata e addossandosi allo strapiombo subito sotto la cima. Quella  era l’unica zona coperta ma, per arrivare alla base della torre, c’era ancora un breve tratto dove sarebbero stati in vista piena.

Il gruppo esitò, conscio del pericolo che aveva davanti eppure consapevole che, ormai, non poteva più tornare indietro. Poi, il destino decise per loro. Sulla torre, proprio in cima, prese a baluginare una piccola luce che si muoveva avanti e indietro. Quindi una figura si sporse e lanciò un richiamo nel buio. Nessuno rispose, ma la luce cominciò a muoversi avanti e indietro, come se qualcuno maneggiasse un tizzone di brace.

Ormai non si poteva più aspettare. Persi per persi, i Saraceni uscirono dai loro ripari   correndo e urlando a perdifiato, agitando le lance e impugnando le scimitarre. Il giovane Alì partì all’assalto con loro, sapendo in cuor suo che era tutto inutile. Che quell’uomo lassù li avrebbe visti e che nessuno sarebbe arrivato in tempo per impedirgli di dare l’allarme.

Poi  gli venne un’idea temeraria. Si lasciò andare contro una roccia, si mise in ginocchio e tese l’arco. Con il cuore in tumulto e le mani tremanti, incoccò una freccia e la lanciò nell’aria. Il tutto in un unico movimento, leggero come una danza e rapido come la folgore. La sentinella,  là sopra, non se ne accorse neanche, trafitta a morte proprio mentre stava per dar fuoco alla paglia.

Con il tempo, la storia era passata di bocca in bocca, ingigantendosi oltre misura come tutte le storie raccontate al fuoco dei bivacchi. Lui non aveva mai voluto vantarsene, ma aveva preferito lasciare che la fama di quel tiro si spargesse da sé. In un colpo solo ci aveva guadagnato prestigio, una parte di riguardo nel bottino della scorreria e anche un nome nuovo, che correva tra i campi saraceni così come nei villaggi dell`interno. Ora era il capo della banda più agguerrita della costa,  aveva gente al suo servizio e una dimora sontuosa, ricavata, non per caso, nella grande torre cilindrica di Eca Nasagò, che svettava sopra Garexio.

Di quei momenti, comunque, rimpiangeva soprattutto l`ingenuità della giovinezza, quel buttarsi a capofitto nelle avventure senza starci troppo a pensare e senza altri calcoli che quelli necessari per battere il nemico. Da troppo tempo non si sentiva più così e temeva che non avrebbe mai  ritrovato  la vitalità di allora.

 Anche l`arco non era più lo stesso. Prese distrattamente quello che aveva posato accanto e lo osservò. Il legno era accuratamente levigato, rinforzato ai lati da lucide borchie d`argento e intarsiato al centro della doppia curvatura. Un oggetto prezioso più che un`arma, ben diversa dal rozzo arco di pioppo con cui si era dato alla ventura.

La corda, poi, era un vero capolavoro. Una volta doveva farsi bastare la canapa e bisognava staccarla sempre dall`arco, per evitare che si allentasse per l`umidità e per la tensione. Quella che aveva tra le mani, invece, era fatta con tendini sottili, strettamente intrecciati, ed era sempre pronta all`uso, anche dopo una notte all`addiaccio. Però era talmente sensibile ad ogni minima variazione del braccio, da richiedere tempo e precisione per la sua messa a punto. Tutto il contrario del tiro istintivo di un tempo.

Sagitto scrollò la testa al pensiero. Anche l`arco si era fatto complicato come la sua vita.  Quella flotta di Fatimiti, ad esempio. Lui non aveva niente contro i seguaci della figlia del Profeta, che Dio lo rimeriti sempre, però non si poteva negare che credevano di essere i padroni del mondo. Da quando avevano dato la fonda lungo la Matutiana, dopo l`impresa di Genua, anche l`ultimo dei marinai si era sentito in diritto di guardare tutti dall`alto al basso. Per non parlare dei comandanti, altezzosi e sprezzanti come visir.

Gli erano giunte molte voci su quello che i Fatimiti avevano combinato nelle isole a sud della lunga terra. Si diceva che in Sicilia avessero resa dura la vita ai primi conquistatori, tra cui tanti Berberi come lui. E che avessero sedato senza pietà ogni rivolta, spargendo più sangue musulmano di quello degli infedeli Rumi.

 Una cosa, comunque, gli dava fastidio più di tutte le altre. Lui era  un  veterano del brigantaggio. Col tempo, era diventato un esperto nel tendere agguati e aveva imparato la difficile arte del nascondersi, così come la pazienza di aspettare che la preda finisse nella rete. Questi Fatimiti, invece, sapevano fare una cosa sola: urlare come dei forsennati e andare all`assalto.

Non a caso, erano stati loro a insistere per Aquae. Era nella loro indole buttarsi a corpo morto senza tanti calcoli. Sagitto, invece, avrebbe preferito  circondare la città, farle terra bruciata intorno e aspettare. Poi, quando il frutto fosse stato maturo, un colpo solo e zac: Aquae sarebbe caduta nelle sue mani.

Senza rendersene conto, accompagnò i pensieri con un brusco movimento dell`arco che stringeva ancora in pugno. Fu sorpreso, dunque, quando qualcuno vicino a lui lo apostrofò. - Sagitto. Ehi, Sagitto, che fai? La guerra da solo? - disse la voce di Bakthiar. Poi l`omone, sorridendo, gli porse una ciotola. - Tieni - aggiunse. - Ti ho portato un po` di harisha. Mangia qualcosa anche tu.

Sagitto si riscosse come da un sogno e si maledisse per essersi fatto prendere di sorpresa. Poi si ricompose e allungò il braccio verso la ciotola che l`altro gli porgeva. - Ah, sei tu Bakthiar - disse. - Stavo riflettendo un po`.

- Altri cattivi pensieri? - chiese l`omone, accoccolandosi sui talloni.

- No, direi di no - mentì Sagitto. Quindi, per nascondere il suo imbarazzo, abbassò la testa sull`harisha e cominciò a pescare in quella densa pappa di grano e di montone.

Il sapore non era granché, ma almeno era calda. Così Sagitto la trangugiò tutta, mentre Bakthiar lo guardava premuroso.

Finito di mangiare, il piccolo berbero alzò lo sguardo al cielo. - Ormai è quasi giorno - osservò. - Prima della preghiera, voglio che siano spenti i fuochi e legati i cavalli.

Anche Bakthiar guardò in su, verso il cielo che si stava tingendo d’azzurro. – Oggi non pioverà – disse soddisfatto, cominciando a rialzarsi per tornare indietro. Proprio in quel momento, però, si sentì distintamente un fruscio alle spalle dei due uomini. Bakthiar restò immobile dove si trovava, mentre la mano di Sagitto corse alla cintura.

Per alcuni, interminabili istanti, il tempo sembrò fermarsi. Bakthiar stava sospeso a metà, senza osare raddrizzarsi e neppure abbassarsi di nuovo. Sagitto teneva il manico del pugnale così stretto, da farsi sbiancare le nocche delle dita. Quando il fruscio si ripeté, entrambi presero ad arretrare lentamente, con gli occhi incollati alla macchia che si stendeva oltre la radura.

Raggiunto il gruppo, non ci fu bisogno di sprecare parole. Quella era gente abituata a trovarsi in situazioni difficili e a cavarsela in ogni occasione. A gesti, Sagitto fece segno di allargarsi per circondare la zona. Poi avanzò a sua volta, appoggiato da Bakthiar che teneva in pugno una grande mazza ferrata.

Nel sottobosco il lupo grigio avvertì che qualcosa era mutato. Prima,  dal suo posto di osservazione, coglieva tutti i piccoli rumori del campo: le voci sommesse, l`acciottolio delle stoviglie, qualche breve risata. Ora, all`improvviso, più nulla, tranne lo scalpiccio intermittente dei cavalli. E gli uomini, dov`erano andati gli uomini? A fare cosa?

Mentre stava lì a chiederselo, la risposta arrivò dalle sue spalle. Avanzando a semicerchio, gli uomini stavano cercando di stanare qualcuno o qualcosa. Sentendo il frastuono che facevano, il lupo abbassò le orecchie disgustato. Poi socchiuse gli occhi, passò la lingua sulle zampe e si rialzò lentamente, mentre tutti i suoi muscoli si tendevano, pronti a scattare.

Il Saraceno non lo vide neanche. Riuscì soltanto a scorgere una massa grigia che gli piombava addosso, atterrandolo. Sentì degli artigli che gli laceravano la giubba e si trovò due occhi gialli piantati nei suoi. Allora si coprì la faccia con le mani e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo

L`urlo lacerò la quiete  della foresta, ma il lupo non si scompose. Scavalcò agilmente il corpo steso a terra, orinò contro una pianta tutto il suo disprezzo e scomparve come un`ombra nella macchia. Agli uomini  accorsi non rimase che accalcarsi intorno al malcapitato, riportandolo, più morto che vivo, alla sorgiva.

La preghiera del mattino, quel giorno, fu più lunga e sentita del solito. Dopo quello che era successo, nessuno era più disposto a sorvolare sui propri peccati e tutti quei feroci predoni salmodiavano con insolito fervore, lanciando sguardi furtivi intorno nel timore di veder comparire qualche altro spirito cattivo.

Sagitto non era superstizioso e, per quanto lo riguardava, i jinn apparivano soltanto nelle storie raccontate ai bambini. Eppure, quello strano episodio  aveva finito col  turbare anche lui. Così, mentre pregava, passò la mano sotto il barracano, scostò la tunica e tastò il sacchetto di pelle che portava legato al collo. Dentro,  su un pezzetto di pergamena tutta consunta,  c`era una scritta: "Non temere, Allah è al tuo fianco." Visto il momento,  un aiuto divino era proprio quello che ci voleva.

 

14/08/2006 12:00:00
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