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Letture
Adelaide (5)
Giancarlo Patrucco

V


Quando la carretta si mise in marcia per lasciare la casa di Taso, il sole si era levato da un pezzo. Soltanto il giorno avanti Osmund avrebbe sbuffato, recriminato e sbraitato ordini, lamentandosi del ritardo. Quel mattino, invece, aveva manifestato un umore  completamente diverso. Si era aggirato nella corte con passo tranquillo, rilassato e sorridente, prendendo commiato da tutti: dai bambini, che gli si erano buttati al collo; da Taso, che lo aveva stretto in un lungo abbraccio; e da Alimunda, che lo aveva guardato sorpresa da quell’atteggiamento. Poi la giovane aveva incrociato lo sguardo di Adelaide e sul suo volto si era dipinta un’espressione d’intesa.

 Da donna a donna, aveva detto Osmund prima. E, da donna a donna, quell`espressione voleva dire che Alimunda aveva capito tutto. Adelaide, invece, stava ancora cercando di raccapezzarsi. Per fortuna, con Bastiano in avanscoperta, a cassetta c’era Brunello che mai avrebbe osato rivolgersi alla sua regina senza essere interpellato. Così, mentre lui spronava le mule e  chiacchierava con Ingorde dietro, Adelaide tentò di mettere un po` d`ordine nella ridda di pensieri che le si affollavano in testa. Senza molto successo.

Più   pensava a quanto era avvenuto e più si alternavano in lei emozioni contrastanti. Fin  dal primo incontro, quel modo di muoversi, di parlare, di atteggiarsi, quelle movenze ostentate e l’ardire sfrontato che Osmund aveva esibito nei suoi confronti avrebbero dovuto metterla sull’avviso. Lei aveva ben intuito il pericolo, però aveva sbagliato la persona. Non era di lui che avrebbe dovuto diffidare, bensì di se stessa.

Fra loro due era lei quella  più debole, più indifesa, più disperata. Quella che cominciava la giornata  piena di coraggio e la finiva in lacrime. Che progettava una fuga solitaria, ma non aveva l’ardire di portarla a compimento. E parlava da regina ma poi, appena vedeva un uomo,  si comportava  come una donna qualunque. In tutto questo  Osmund c’entrava poco. Lui le aveva soltanto dato quello che lei aveva cercato fin dall’inizio.  Se c’era qualcuno da biasimare, quella era lei e nessun altro.

Già, ma  perché biasimarsi? In fondo lei era una donna, con le sue paure, le sue ansie, ma anche le sue voglie e il desiderio di trovare qualcuno che le scaldasse il cuore, sciogliendo il gelo che la stringeva dentro. E Osmund era l’uomo giusto perché anche lui soffriva e la sua ferita era un fuoco che poteva riscaldare entrambi.

Anche in quel momento, guardandolo cavalcare avanti, Adelaide si sentiva attratta da quell’uomo asciutto e poderoso, dall’incedere risoluto e dalle movenze agili come quelle di una fiera. Quando si voltava, lei avrebbe potuto perdersi in quegli occhi intensi e in quel sorriso scarno, ammantato di un fascino misterioso e un po` perverso.

Dovette confessare a se  stessa, arrossendo, che in mezzo alle rovine della fornace si era proprio persa e che avrebbe potuto  perdersi di nuovo. Questa volta, senza ritorno.

 Quel pensiero la colpì con la violenza di un pugno. In un lampo si vide sfilare davanti agli occhi le immagini della sua vita recente: la morte di Lotario, la solitudine, la disperazione, l’ansia per Emma,  ma anche le lunghe notti di veglia, passate a meditare il riscatto.  Dopo tanto patire, non poteva rinunciare ora; non doveva, non era giusto. “Salvati”, le martellava una voce in testa, “tirati fuori, fin che sei in tempo”. Ma da cosa doveva tirarsi fuori? Da chi salvarsi? Da se stessa, forse? 

Con un sospiro Adelaide si abbandonò contro lo schienale, mentre il pensiero tornava a quel momento di abbandono. Ora sperava soltanto di non doverne pagare uno scotto troppo alto.

Intanto la carretta proseguiva la sua marcia nella foresta. Rispetto al giorno prima, il tempo era cambiato completamente. Gli spicchi di cielo che s`intravedevano in alto apparivano grigi e spenti. Un  vento impetuoso scuoteva le cime degli alberi e strappava gemiti sordi ai tronchi,  facendo cadere sulla comitiva una pioggia di foglie e di rametti. Per ripararsi  i viaggiatori si strinsero nei mantelli, ma dovettero presto liberarsene perché il cielo basso li avvolgeva  in una cappa opprimente come un sudario.

Fu così che furono grati ad Osmund, quando ordinò una sosta. Una pausa breve, per riposarsi e ristorarsi con pane, birra e formaggio di cui li aveva provvisti Alimunda alla partenza. Adelaide mangiò sul carro, assistita da Ingorde, ma sentì su di sé gli occhi di Osmund per tutto il pasto. Poi, mentre il tempo rimaneva scuro, ricominciò la marcia dentro a quell’interminabile distesa verde.

Soltanto a pomeriggio inoltrato il paesaggio cambiò. La boscaglia cominciò ad aprirsi in piccole radure, poi in terreni a prato, finché  apparvero dei coltivi inframmezzati   da macchioni.  Il sentiero si fece più largo e il cammino più agevole, mentre i viaggiatori respiravano liberamente, finalmente sollevati dall’oppressione di quell’intrico. Quando videro un’edicola al bordo della strada, capirono di essere prossimi a un centro abitato e quel pensiero li rallegrò. Osmund, invece, rallentò la marcia e fece segno di fermarsi. Quindi portò due dita alla bocca e fischiò: una nota bassa e una alta, che sembrarono perdersi nel nulla della piana.

 Adelaide e Ingorde si stavano scambiando uno sguardo perplesso  quando, in risposta al segnale,  dal macchione dietro l’edicola spuntò la figura di Bastiano. L’ometto portava in testa il solito feltro rincagnato, ma se lo tolse e lo agitò in aria, facendo segno di raggiungerlo. A un cenno di Osmund, Brunello  fece deviare la carretta oltre l’edicola, infilandosi nel folto dove Bastiano li aspettava.

All’interno della macchia c’era una piccola radura che  Bastiano aveva trasformato in una sorta di bivacco. Il cavallo che pascolava da un lato, un orcio pieno d’acqua, una coperta stesa sull’erba a fare da giaciglio e un fuoco al centro, con uno spiedo che sfrigolava al calore della fiamma. L’ometto corse subito verso il fuoco, girò lo spiedo e controllò la cottura di quello che ci stava sopra. Poi si passò un dito sulle labbra e alzò gli occhi al cielo. – Ah! – disse con espressione estatica, mentre un odorino di carne arrosto si diffondeva nell’aria - meglio di una locanda. Peccato che la lepre sia  una sola  e gli avventori tanti!

- Smettila di fare il buffone e dicci cos’hai visto! – lo interruppe Osmund sbrigativo. Intanto, mentre Orso accudiva i cavalli, anche gli altri  si stavano avvicinando, ansiosi di sentire le novità e di capire se c’erano pericoli in vista.

Bastiano ridivenne subito serio, si sedette per terra accanto al fuoco  e si grattò la testa con vigore. Poi prese due bastoncini e li incrociò  ai suoi piedi. - Ecco…fate conto che queste siano strade: quella che risale da Papia e  quella che da Milano porta al fiume…Noi siamo qui – disse prendendo due pietre e posandone una sotto il bastone orizzontale. – E qui c’è Cusbeth – continuò collocando l’altra pietra poco distante, all’incrocio delle vie.  – Un  villaggio grande, pieno di traffici e di…

- Questo lo sappiamo già! – lo interruppe seccamente Osmund. – Dicci soltanto quello che ci interessa e non divagare.

Bastiano prese il nuovo rabbuffo stringendosi nelle spalle. Poi raccolse il bastoncino orizzontale e lo guardò pensoso. – A Cusbeth era giorno di mercato – ricominciò – ma per le strade c’erano più soldati che mercanti. Armigeri dappertutto, nelle locande, in piazza e persino in chiesa.

- Dunque ci cercano! - esclamò Adelaide raggelata.

- Certo, ma bisogna vedere chi  – osservò Osmund guardando Bastiano.

L’ometto alzò le braccia e scrollò la testa sconsolato. - La gente era spaventata e i pochi che non avevano affari urgenti giravano alla larga o stavano tappati in casa. Alla locanda, però, correva voce che cercassero un gruppo di malfattori, in fuga verso Milano. Tagliagole da strada… con una donna a capo…

- Allora sono perduta! -  esclamò ancora Adelaide in un singhiozzo, mentre Ingorde le si faceva intorno e Brunello l`osservava costernato. Solo Osmund conservò il suo sangue freddo. Si limitò a raccogliere l’altro rametto e lo soppesò nel palmo della mano. – Non ancora – disse  sorridendo a mezza bocca – non ancora. Le strade non vanno mai in una direzione sola. – Poi strinse le dita, spezzando il bastoncino in due parti e gettandolo tra le fiamme.

Quella sera, nonostante il fuoco risplendesse vivido e la lepre risultasse cotta al punto giusto, non c’era calore nella comitiva. Subito dopo aver mangiato Bastiano si raggomitolò nel suo giaciglio, scontroso e di cattivo umore come se delle notizie che aveva portato si sentisse responsabile lui. Brunello e Ingorde presero ad aggirarsi nella radura con fare aggrondato, quasi che quella cinta di piante  intorno li facesse sentire già dietro le sbarre della prigione. Soltanto Orso sembrava quello di sempre. Sereno e placido, se ne stava accoccolato accanto al fuoco, avvolto nel suo mantello e indifferente a tutto.

Adelaide si ritirò sulla carretta, si coricò sul pianale e finse di dormire, ma intanto controllava le mosse di Osmund attraverso le fessure della sponda. Alla fine  di tutte le riflessioni di quel giorno, di una cosa si era fatta certa: se voleva  continuare per la sua strada e tirare dritto, non avrebbe più dovuto correre il rischio di restare sola con lui,  di guardarlo negli occhi. Sapeva che, altrimenti, la sua fermezza avrebbe vacillato pericolosamente. Solo quando lo vide inoltrarsi  nel boschetto scese in fretta e si arrischiò allo scoperto, percorrendo di corsa la radura per raggiungere l’edicola che avevano costeggiato arrivando.

Da quando le era passata accanto si era ripromessa di tornarci per  cercare nella preghiera un po’ di conforto.  In quel riquadro stinto dalle intemperie le parve di  decifrare la figura di un uomo, con in mano un bordone e in testa un cappello da viaggio. Ai suoi piedi un mantello, steso a terra nel fango. Adelaide ne dedusse che doveva trattarsi di san Martino, il protettore dei viandanti, e quella scoperta le sembrò di buon augurio. Allora abbassò il capo e piegò le ginocchia, chiedendo al santo che stendesse il mantello anche sui suoi passi.

In quel momento un rumore alle sue spalle la fece sussultare. Si voltò di scatto e si accorse di avere Osmund di fronte. – Non dovete stare all’aperto - disse  lui.  - Qui fuori siete troppo in vista.

Adelaide si guardò intorno preoccupata, ma la piana era deserta. –  Non c’è nessuno – disse. – Comunque avete ragione: è meglio tornare al coperto. – E cercò di tagliare il sentiero per raggiungere gli alberi.

Osmund le si parò davanti. – Stavate pregando – disse indicando l’edicola.

Adelaide diede uno sguardo all’altarino, poi alzò le spalle. - Già.  L`unica cosa che può salvarmi, ormai.

- Non dite così! - replicò lui accostandosi. - Li abbiamo evitati finora e possiamo ancora farlo.

- E in che modo? Da qui a Como ci saranno pattuglie dappertutto…

- Da qui a Como, appunto, ma non dall’altra parte. A occidente c’è il vado tercantino e, subito dopo il fiume, ci sono i cammini Franchi. Potremmo esserci in capo a pochi giorni.

Per un momento Adelaide immaginò il suo ritorno a casa, accolta dal tenero sorriso di Emma e dal caldo abbraccio di Corrado. Era una visione allettante, ma la scacciò. – No – disse con un moto d’orgoglio – non tornerò nella mia terra come una fuggiasca. O  ci andrò come regina, o non ci andrò affatto.

Osmund spalancò le braccia in un gesto d’impotenza. – Allora – disse prendendole le mani – nascondiamoci nella foresta. - Poi l’attirò a sé. – Lì sareste la mia regina e penserei io a proteggervi – concluse in un soffio.

Adelaide sentì la vicinanza di quel  corpo fremente  e piccoli brividi le percorsero la pelle. Però si era ripromessa di non cedere e trovò la forza di scostarsi.  - Io proseguirò per Como anche da sola – riuscì a dire. - Ho un dovere da compiere.

 - Un dovere?! Un dovere, dite? – ribatté Osmund alterandosi.   – E verso di me? Non avete alcun dovere nei miei confronti?

Lei osservò quel volto scarno e si rispecchiò in quegli occhi profondi, che bruciavano come carboni ardenti. Alzò  la mano come per  una carezza, ma si fermò a metà con un sorriso mesto. – Anche per voi – provò a dire – anche per voi. Ma dopo…solo dopo…

Osmund respinse il gesto e la squadrò con rabbia. – Dunque io sarei l’ultimo, eh? – sibilò. – Quello che viene dopo tutti gli altri…

- Non è così – tentò di difendersi Adelaide – e lo sapete bene. Ma dovete attendere…avere pazienza…

 Lui avvampò. – Pazienza?! – ripeté con disgusto. – Devo avere pazienza anche con voi?!

- Con me più che con gli altri – replicò Adelaide decisa, ma Osmund non si lasciò smontare.

- E se non volessi? – disse con un sorriso ironico. – Se di pazienza non ne avessi più?

- Allora cercatela – ribatté lei sostenuta. -  In fondo, siete pagato per questo.

- Per compiacervi, dunque?  É stato un dovere anche quello?

La mano di Adelaide scattò e si abbatté sulla guancia di Osmund con uno schiocco secco. Quindi lei  lo squadrò freddamente. – Ringraziate che non ho nessuno con me – disse gelida – altrimenti vi avrei fatto frustare a sangue per questo affronto!

- Come un servo, vero? – urlò lui con gli occhi che mandavano lampi. – Già, perché io questo sono per voi: un servo. E così mi trattate.

- Vi tratto come meritate – replicò secca Adelaide. Quindi fece l’atto di andarsene. Osmund però  la costrinse contro l’edicola, mentre la mano correva al pugnale che portava al fianco.

- Io non sono un servo! – urlò ancora, stringendola in una morsa. – Vedete questo? – sibilò, sguainando l’arma e facendole balenare la lama davanti agli occhi. – Questo mi permette di prendere ciò che voglio! Senza bisogno di permessi o di avere pazienza.

Adelaide distolse il viso impaurita, ma lui l’afferrò per la nuca costringendola a guardarlo.  – Dunque, fate bene attenzione – disse soffiandole le parole in faccia. – Perché se non sarete mia, sarete morta! – Quindi rinfoderò il pugnale, si girò e si allontanò a grandi passi nella notte.

Adelaide sentì le gambe cederle e si lasciò scivolare a terra, appoggiandosi all’edicola. Rimase lì a lungo,  sudata e pur tremante come se avesse freddo. Gelidi brividi di paura le serpeggiavano per tutto il corpo e, là dove Osmund l’aveva stretta, la nuca le sembrava attraversata da sottili aghi di ghiaccio.

Ci volle tempo perché tornasse in sé e ancor di più perché potesse ritrovare la lucidità di sempre. Quando l’ebbe recuperata, comunque, un solo pensiero le balenò in mente: fuggire. Scappare da quella situazione impossibile, da quell’uomo pericoloso e, soprattutto, dalla sua lama scintillante, che rivedeva ancora baluginarle davanti agli occhi, fredda e  letale come la lingua di un serpente.

In fondo  si trovava ormai a metà strada. Se invece delle mule avesse avuto dei cavalli… Già, ma i cavalli di chi? Di Osmund forse?  Quel pensiero le fece tornare i brividi, ma la prospettiva di lasciarlo lì, a piedi, in mezzo alla pianura, le ronzò in testa a lungo, strappandole un accenno di sorriso. Il primo, dalla mattina avanti.

Purtroppo bisognava fare i conti anche con le pattuglie. I soldati che battevano la via avrebbero controllato tutte le donne e  una signora che viaggiava con seguito di serva e paggio non sarebbe andata troppo lontano.   Eppure…se  la signora fosse svanita e al suo posto si fosse aggiunto un paggio…

Si baloccò a lungo con quell’idea, giudicandola insensata e anche un po’ folle. Tra Berengario e Osmund, comunque, era meglio evitare entrambi. Con questa consapevolezza si rimise in piedi e si avviò verso la radura, alzando gli occhi al cielo. Dall’alto, però, non le giunse alcun conforto, ma soltanto  il brontolio del tuono che la inseguì fino alle piante.

Il buon padre Candido era stato un uomo previdente, tanto che nella carretta aveva messo anche una cerata. Quella notte si rivelò un ausilio indispensabile perché il temporale che si era addensato durante il giorno scatenò sulla piana un vero e proprio diluvio. Tra il balenio dei lampi e il rimbombo dei tuoni, il cielo aprì tutte le sue cateratte, lasciando cadere gocce fredde e pesanti come pietre. L’acqua ruscellò ben presto nella radura, annegando i resti del fuoco, travolgendo il giaciglio di Bastiano e riuscendo a risvegliare  dal suo torpore persino Orso. Mentre il vento frustava gli alberi, Osmund e i suoi si affaccendarono intorno ai cavalli, cercando di tranquillizzare gli animali impauriti. Poi li assicurarono alla carretta e corsero a rifugiarsi nel folto della macchia.

Sotto il telo Adelaide ascoltava la pioggia rimbalzare sulla cerata e pensava che il cielo, in fondo, un aiuto glielo aveva mandato. Quell’acquazzone avrebbe coperto i suoi movimenti e le avrebbe almeno permesso di arrivare fino ai cavalli.

– Deciditi – disse tirando Ingorde per la manica – e sbrigati a tagliare.

 La servetta, rannicchiata vicino a lei, tirò su col naso. – Non ci vedo – disse piagnucolando. – Qua sotto è tutto nero.

- Allora vai al tocco – replicò Adelaide strattonandola. – In fondo, mi pettini ogni giorno…

- Sì, ma questo è… è diverso – si lamentò ancora Ingorde, mentre scioglieva i capelli di Adelaide. – Avrete un aspetto…strano dopo.

- Taglia! – ripeté lei dandole un buffetto sulla guancia.  Poi, mentre le prime ciocche cominciavano a cadere, ebbe un sorriso amaro. Ingorde aveva detto “strano”. Perché, una regina che si trasforma in paggio  non è di per sé una cosa strana? Lei l’avrebbe definita anche in altri modi: infantile, ridicola e persino grottesca. Dimenandosi nelle calze brache di Brunello, che la pizzicavano da ogni parte, aggiunse  ancora “scomoda”. E meno male che ne aveva un paio di riserva.

Mentre Ingorde finiva il taglio infilò gli stivali, si affibbiò la cintura e afferrò la sua tracolla. Quando rialzò il cappuccio del mantello, istintivamente cercò di ravviarsi i capelli ai lati, ma le mani incontrarono soltanto le orecchie. Dei suoi bei boccoli biondi che scendevano a incorniciarle il viso erano rimasti soltanto pochi ciuffi ispidi e alcune ciocche smozzicate. Per un momento fu sul punto di lasciarsi andare, di abbandonarsi  lì, come si trovava, e di scoppiare in singhiozzi. Ma già c’era Ingorde che piangeva di suo e quei lamenti le diedero la forza di reagire.

- Smettila di frignare! – le disse con rabbia. – Sono io quella che cercano, non tu.

- Lo so, lo so – replicò Ingorde singhiozzando – ed è per voi che piango!

A quel punto Adelaide l’abbracciò e pianse con lei, sciogliendo la tensione che aveva accumulato in quei giorni. Poi le due donne sollevarono il telo e uscirono allo scoperto. Sotto il diluvio trovarono Brunello, che aveva finito di sellare i cavalli e si teneva nascosto dietro la carretta, scrutando il buio della radura. – Non si vede nessuno  – disse in un sussurro quando Adelaide gli fu accanto. Quindi accennò col mento verso una macchia scura che s’intravedeva poco più avanti. - Osmund e Bastiano devono essere rintanati in mezzo a quegli alberi laggiù – aggiunse, alzando un po’ la voce per superare il fragore della pioggia.  –– Quanto a Orso, non so dire, ma non è in vista neanche lui.

Adelaide puntò gli occhi sulla macchia, seguendo le indicazioni di Brunello. Le sembrò di cogliere dei movimenti, come se qualcosa si agitasse nel folto, ma era troppo buio per esserne sicura. Attese mentre il  cuore le saliva in gola,  aspettandosi da un momento all’altro di veder comparire Osmund con il pugnale in mano. Poi la luce di un lampo spazzò le sue fantasie, facendole vedere solo piante, squassate dal vento. Allora si riscosse e si avvicinò ai cavalli.

Per sé e per Ingorde Brunello aveva scelto quello di Osmund, che sembrava più robusto. Per lei aveva preparato il cavallo di Bastiano, che aveva una complessione più minuta. Durante il viaggio l’ometto ne aveva accennato anche il nome, scherzandoci su.

- Come volete che si chiami il cavallo di un marinaio? –  aveva chiesto ad Adelaide, ammiccando.

- Beh, non so – aveva detto lei perplessa. – Il nome di una barca…o di un porto, immagino.

- Nossignora – aveva ridacchiato Bastiano. – Eolo l’ho chiamato, come il re dei venti. Perché i venti cavalcano il mare, decidendo della tua buona o cattiva sorte.

Salendogli in groppa, Adelaide  si augurò che le portasse una sorte buona. Poi osservò ancora una volta la macchia e fece un cenno a Brunello. Eolo ebbe un momento di indecisione, come se non volesse abbandonare quel rifugio, per quanto precario. Ma Adelaide lo accarezzò e lo sollecitò dolcemente, finché l’animale abbassò la testa e  si avviò al passo. Il morello lo seguì, scartando solo un poco.

Erano arrivati a metà strada quando Adelaide intravide un’ombra sbucare dal folto di piante sulla sua mancina. Mentre l’ombra si avvicinava, un lampo illuminò il cielo e la figura possente di Orso si stagliò nella radura. Anche Orso  vide lei e sul suo volto si dipinse un’espressione di sorpresa. Adelaide non attese: piantò i talloni nei fianchi di Eolo e lo spronò al galoppo verso l’uscita.

Fuori, la pioggia la colpì con più forza e il vento le frustò il viso con violenza, ma si sentì libera. Libera, finalmente!  Ogni passo che faceva, ogni palmo che conquistava, ogni miglio che guadagnava voleva dire allontanarsi sempre di più da Osmund e dal suo pugnale. Così continuò di buon piglio, noncurante della pioggia e del vento, inoltrandosi lungo il sentiero che aveva abbandonato la sera prima.

Ben presto vide stagliarsi davanti a sé le nere sagome delle case di Cusbeth, immerse nel sonno. I vicoli battuti dal temporale erano deserti e i fuggitivi li percorsero senza incontrare anima viva. Presto giunsero al quadrivio che Bastiano aveva raffigurato con i suoi rametti e imboccarono la grande via romana che portava a Milano.

Nonostante i secoli, la strada era ancora in condizioni accettabili. Qua e là il tempo aveva intaccato la massicciata, logorando le connessure e scalzando le pietre. Anche i canali ai lati sembravano malridotti e l’acqua ristagnava ai bordi, non riuscendo a scorrere per gli scoli interrati. Al centro, però, si poteva procedere agevolmente e così fecero i fuggitivi, inoltrandosi per la via deserta.

Verso mattino il vento cessò e la pioggia diminuì, trasformandosi in un’acquerugiola  appena accennata. Intanto, la strada andava animandosi. Comparvero i primi cavalieri, i primi carri e i primi mercanti con i muli carichi di sacchi. Dai viottoli laterali spuntò qualche villano, con il suo carico  da esibire nei mercati cittadini o dei dintorni. Poche cose semplici, fatte in casa:  birra, uova,  formaggio, latte, farinata di avena e pane di miglio. Passò anche un acquaiolo, con il suo orcio in spalla e il ramaiolo al fianco. Ma, visto il tempo che faceva, tirò diritto e non rallentò neanche.

 Adelaide non aveva fame ed era ancora  intirizzita dal freddo. Però avrebbero ben dovuto mangiare prima o poi e fermarsi ad una locanda rappresentava un rischio troppo grande. Così accostò Brunello e gli passò le poche monete che aveva. Con quelle il giovane avvicinò una donna che reggeva un fagotto di provviste, rimediando due pani, una fiaschetta di birra e del formaggio. La venditrice, una matrona grassa e scarmigliata, si esibì in grandi accoglienze e disse anche qualcosa, indicando Ingorde e ridacchiando. Adelaide non intese le parole, ma quando ripresero il cammino vide che il viso della servetta si era fatto più rosso dei suoi capelli.

Man mano che si avvicinavano alla città, il traffico si fece  più intenso. Lungo la mezzeria si formò una colonna di carri e di carretti, trainati da muli o portati a mano. E, poiché chi andava più veloce non voleva stare al passo del più lento, spesso qualche conduttore scartava, intralciando chi veniva in senso inverso oppure minacciando di travolgere i viandanti che camminavano ai bordi. Allora volavano i moccoli e anche qualche sberla, finché la fila si ricomponeva e riprendeva la sua marcia.

 Ascoltando quel vocio e guardando quell’umanità variopinta, ad Adelaide scappò un sorriso. Le sembrava di essere tornata a Papia nei giorni di mercato,  quando la gente faceva la fila lungo i banchi e lei si aggirava sorridendo tra la folla. Solo che allora si mostrava da regina, mentre lì doveva nascondersi e sperare che nessuno la riconoscesse.

Non si faceva troppe illusioni in proposito. Fino a quel momento non aveva incrociato alcuna delle pattuglie che Berengario aveva mandato sulle sue tracce, ma non poteva durare a lungo. Più restava in vista e più sarebbe aumentato il rischio, finché si fosse imbattuta in qualche  posto di controllo dove non avrebbe avuto scampo. L’unica alternativa consisteva nel defilarsi,  infilando una via secondaria che la portasse comunque verso settentrione, ma non la lasciasse così esposta. In fondo, le strade erano tante e neppure i soldati di Berengario potevano presidiarle tutte!

Sapeva che doveva decidersi, ma non si risolveva a farlo. Dopo le peripezie di quella notte e il diluvio che era caduto dal cielo, si sentiva fiacca, spossata e ancora intirizzita dal freddo. La tunica fradicia le si appiccicava alla pelle, ma non osava nemmeno aprire il mantello per paura di  rivelare il travestimento. Così si accontentava di proseguire, lasciandosi trasportare da Eolo, in preda ad un torpore che non era dato solo dal sonno.

A riscuoterla pensò un tumulto che sentì scoppiare alle sue spalle.  Faticosamente si girò sulla sella, in tempo per vedere un gruppo di soldati a cavallo che risaliva la colonna spintonando. Quando il drappello fu alla sua altezza,  vide una fila di occhi attenti che scrutavano intorno e si scansò in fretta. Poi raggiunse Brunello e con lui deviò dal percorso, infilandosi nel primo sentiero che trovò a manca.

Ben presto si misero fuori vista, sparendo dietro una svolta. Ma la strada  stretta, costellata di buche e piena di fango,  costrinse i fuggitivi a procedere con molta prudenza. Andarono avanti in quel modo incontrando rari viandanti, finché i cavalli non diedero i primi  segni di stanchezza.  Quello di Osmund, specialmente, che portava peso doppio, abbassò il muso sbruffando mentre un filo di bava gli si addensava alla bocca. Allora  Adelaide lasciò il sentiero, addentrandosi in un pratone  riparato da  una cortina di piante.

La sosta fu ben gradita da tutti. I cavalli trovarono pastura e di che dissetarsi nelle pozze lasciate dalla pioggia, mentre Brunello e Ingorde mettevano mano alle provviste acquistate per via. Soltanto Adelaide si lasciò andare contro una pianta, senza riuscire a mangiare niente. Sentiva la gola gonfia, la lingua spessa e il corpo percorso da brividi che la scuotevano tutta. A fatica Ingorde le fece ingoiare un sorso dalla fiaschetta e il calore della birra la rianimò per un momento. Subito dopo, però, si sentì mancare nuovamente.

- Ma voi scottate! – esclamò la servetta toccandole la fronte.

- É solo stanchezza – provò a dire lei con un sorriso spento.

Ingorde, però, non la pensava allo stesso modo. – È  un’infreddatura – sentenziò. – E molto brutta anche. - Poi appallottolò il suo mantello e glielo mise sotto la testa. – Avreste bisogno di un bel fuoco e di un buon letto…

- No – disse Adelaide scrollando il capo – Non adesso. Alla fine…alla fine del viaggio.

- Ma non potete andare avanti! - fece Ingorde allarmata. -  Non vi reggete in piedi!

- Ci proverò – replicò lei rianimandosi. – Devo. - Quindi afferrò il braccio della servetta e cercò di rialzarsi.

Con l’aiuto di Brunello, Ingorde riuscì a sollevarla e a rimetterla in sella.  Poi i fuggitivi ripresero il cammino. Adelaide non seppe mai per quanto tempo durò quel calvario. Un passo dietro l’altro, seguiva il ritmo cadenzato di Eolo, con gli occhi offuscati dalla febbre e la testa che risuonava al martellio degli zoccoli. Si teneva abbrancata al  cavallo per non cadere, ma scivolava giù, sempre più giù, finché il viso affondò nella criniera. Allora i suoi occhi si spensero e si fece tutto buio intorno. 

 Si risvegliò in un letto, dentro a una stanzetta intonacata di bianco. Quel chiarore le diede fastidio agli occhi e alzò una mano al viso per farsene riparo. Poi si guardò intorno perplessa, chiedendosi perché era lì e come mai c’era arrivata. Provò anche a sollevarsi, ma era troppo debole e ricadde subito sul pagliericcio, stremata. Sentiva la testa pesante, il respiro che sibilava e le gambe, sotto le coperte, erano rigide come pali. Così restò ferma, immobile, contentandosi di lanciare lunghe occhiate in giro e di prestare orecchio per cogliere qualche rumore. Intorno però tutto era silenzio e lei si assopì di nuovo, mentre la mano sollevata ricadeva sul guanciale.

Quando riaprì gli occhi percepì un’ombra accanto. – Eccovi sveglia – disse la voce di Ingorde. – Grazie a Dio, finalmente.

Sul momento quelle parole le giunsero ovattate e lei non ne comprese il senso. Poi capì ed ebbe un sussulto. – Perché - chiese – da quanto tempo sono  qui dentro?

La servetta si accostò. – Beh – rispose passandole una mano sulla fronte -  – siete qui da due giorni. Avevate la febbre alta e stavate veramente male. Ora, però, vi state riprendendo e fra un po’ ne sarete fuori.

- Fuori da dove? Dove siamo?

Ingorde la guardò. - Ah, il posto dite?  – Siamo in un monastero, lungo la via per Como. Il monastero di san Vittore…

- Un monastero?! – l’interruppe Adelaide incredula. – E come siamo arrivati qui?

- L’altra notte – riprese Ingorde –  Brunello ed io non sapevamo che fare con voi in quelle condizioni.  Così abbiamo proseguito per un tratto, poi abbiamo chiesto ospitalità alle monache, che ci hanno accolto e hanno avuto buona cura di voi.

- E…hanno capito? - disse Adelaide indicando il camicione che indossava al posto degli abiti da uomo.

Ingorde intese al volo. – Sanno soltanto  che siete una donna – rispose – però sospettano qualcosa.   Anzi, la superiora ha chiesto più volte di voi e vuole vedervi, non appena  ne sarete in grado.

A quelle parole Adelaide restò pensierosa. Poi  si sollevò con uno sforzo, mettendosi a sedere. – Allora è meglio che mi alzi – disse con un sorriso tirato. – Non posso farla aspettare.

Prima, però, Ingorde insistette per farle mangiare qualcosa. Riuscì a bere una tazza di brodo caldo  e si sforzò d’ingoiare anche qualche  boccone di pane. Quindi, un po’ ristorata,  cercò di rendersi presentabile.

Frugando nel suo fagotto, la servetta aveva tirato fuori l’unico vestito che era rimasto intatto: quello verde, guarnito di volpe e con le balze gialle alla sottana. Era pieno di pieghe ma, lisciandolo con le mani, ne venne fuori un effetto decoroso. Quanto ai capelli, invece, ci fu poco da fare. Nonostante gli sforzi di Ingorde, ispidi erano e ispidi rimasero, e  non restò altro espediente che coprirli alla meglio con un velo. Alla fine Adelaide frugò  nella sua sacca da viaggio, che Ingorde aveva messo accanto al letto, e tirò fuori le gioie riposte alla partenza.   Scelse un girocollo con incastonato un piccolo diamante che s’intonava all’abito e l’accompagnò con una spilla  a forma di foglia, sbalzata in oro. Al polso mise il braccialetto di Lotario, sperando che le portasse fortuna. Poi, prima di allontanarsi, decise di prendere con sé  il salterio. Se badessa doveva essere, era meglio andarci preparati.

Purtroppo, anche quella piccola astuzia servì a poco. La badessa era una donna pettoruta, dal viso tutto rincagnato. La ricevette nel suo studio, accogliendola con un sorriso appena accennato. – Signora – disse indicandole  una sedia – vedo che state meglio, ringraziando Dio.

- Sia  lodato sempre, madre – rispose Adelaide compunta, mettendosi a sedere. – Ma devo i miei ringraziamenti anche a voi e alle vostre sorelle.

L’altra accolse quei complimenti con un breve cenno del capo. – Allora – riprese accomodandosi sulla seggiola di fronte – visto che siete guarita, credo che ci lascerete. Avrete fretta di proseguire il vostro viaggio, presumo.

‘E voi avete fretta di allontanarmi’ pensò Adelaide. Poi osservò guardinga: - Il tempo necessario per riprendermi del tutto, madre. Il mio cammino è stato molto…complicato.

- Immagino – annuì la badessa. Quindi si sporse in avanti. – Ma anche il vostro soggiorno qui rischia di esserlo  - aggiunse osservandola con intenzione.

Sotto quello sguardo Adelaide arrossì. Deglutì con fatica e provò a ricomporsi. – Allora voi sapete… - provò a dire.

La badessa annuì ancora. – Le voci corrono e i soldati anche. Ieri hanno bussato alla porta, insieme alle milizie del vescovo di Como.

- E voi? – esclamò Adelaide alzandosi allarmata.

- Questa è la casa di Dio – sentenziò la badessa alzandosi a sua volta.

- Allora non mi avete tradita…non…

- No – l’interruppe l’altra con un gesto  – ma le dispute terrene, qui, non hanno luogo. Vi prego di portare la vostra lite altrove.

- Non è una lite – sibilò Adelaide alterandosi. – È un sopruso…una pretesa   assurda…infondata. Io sono pur sempre la regina e voi mi dovete rispetto.

- Ed è ciò che avete avuto – replicò seccamente la badessa. – Ora però c’è un nuovo re e lo stesso rispetto devo a sire Berengario. Che il Signore lo illumini.

Congedata così bruscamente, Adelaide prese ad aggirarsi per i corridoi del monastero, ferita  e risentita nel suo orgoglio. Era così furiosa  che pensò per un momento di tornare nello studio e  schiaffeggiare la badessa. Ma a cosa sarebbe servito? Lei era la superiora lì e la sua parola era legge tra quelle mura. Così non le restò altro che tornare indietro  e sfogare tutta la rabbia che aveva in corpo sugli arredi della sua stanzetta da malata.

Dopo aver preso a calci una seggiola, ribaltato il tavolo e fracassato la ciotola della minestra contro il muro, si sentì un po’ meglio. Allora l’occhio le cadde sui vestiti di Brunello, che Ingorde aveva rassettato e riposto sopra una mensola. Erano gli stessi che aveva indossato per scappare da Osmund e pensò che sarebbero andati bene anche per fuggire dal monastero.

Trovare Eolo non fu un problema. Se ne stava legato  sotto la tettoia delle scuderie e  sembrò felice di vederla. Uno dei pochi, pensò lei mentre lo accarezzava. Poi lo sellò con lentezza studiata, aspettando l’occasione buona per attraversare il grande portone che le sbarrava la via lungo la volta delle mura. Non dovette attendere molto. Di lì a poco,  due servi corsero ad aprire i battenti e una colonna di carri entrò, facendo rimbombare l’androne. Allora salì in groppa al cavallo e lo spinse al passo, varcando la soglia con disinvoltura.

Appena giunta all’aperto si lanciò in un galoppo furioso, superando in tromba il grumo di case che stava raccolto intorno al monastero. Anche se non aveva memoria del luogo, ci mise poco a orizzontarsi. Puntando sempre verso settentrione, dopo poche svolte fu fuori dallo sterrato e imbucò la via per Como. La via della Regina, com’era chiamata dal popolo in onore di Teodolinda, che ne aveva avuto grande cura.

Diversamente dal tratto per Milano, qui la strada  era meno diretta e procedeva serpeggiando  tra dossi e salitelle che ne punteggiavano il cammino. Però era anche meno affollata e questo permetteva un passo più agevole e veloce. Nell’ansia di arrivare a destinazione Adelaide spinse Eolo  al trotto, senza badare alla prudenza e senza guardarsi intorno. Così non si accorse di un uomo, fermo su una collinetta dei dintorni, e neanche degli altri, appostati a una svolta della via.

L’uomo sembrava stanco, quasi esausto, ma il suo sguardo era vigile e attento mentre perlustrava la strada sotto di sé. Quando vide la figuretta spuntare in lontananza, il suo viso ebbe un fremito e il corpo s’irrigidì. Poi avvistò il drappello poco più avanti e la mano afferrò d’istinto il pugnale  alla cintura. Ma la figuretta era troppo lontana e andava troppo svelta. In pochi istanti arrivò in cima alla salitella e si trovò la strada sbarrata dalle picche. Tentò anche di sottrarsi, scartando di lato, ma il cavallo scivolò e cadde.

L’ultima immagine che Osmund vide fu quella di Adelaide a terra, circondata da un nugolo di armigeri. Allora si volse e tornò verso la mula che lo aspettava nei pressi, mentre la ferita sul suo sopracciglio bruciava come se fosse nuova. 

 

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