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Letture
Adelaide (3)
Giancarlo Patrucco

III

  

La porta Marinca apparve quando ormai Adelaide non ci sperava più. La prima parte di quella nottata infernale l’aveva passata  districandosi nel cunicolo sotto la cappella, e non era stata  la parte peggiore. Infatti, appena arrivata a san Colombano, non aveva avuto neanche il tempo di riprendere fiato che già Osmund e i suoi uomini la stavano caricando sulla carretta del convento per trasportarla a rotta di collo lungo le strade di Papia. Quel viaggio, nell’atmosfera irreale della città dormiente, aveva finito per scombussolarla del tutto.

Essere trattata come un fagotto sembrava rappresentare una costante della sua vita. Ogni volta che doveva staccarsi da qualcosa, abbandonare un luogo o una persona cara, c’era sempre  qualcuno che la prendeva e la caricava su un carro, come un pacco o un bagaglio da recapitare. Prima c’era stato re Ugo; ora era capitata con Osmund, che non era certo  migliore.

Lei aveva tentato anche una resistenza, al convento, ma Osmund l’aveva liquidata in modo piuttosto sbrigativo. – Non ci siamo capiti mia signora – aveva detto guardandola col suo sorrisetto stiracchiato. – Voi salirete sul carro e non a cavallo, perché rallentereste la nostra marcia. – Poi si era tolto il cappello e aveva abbozzato un inchino. - Abbiamo già un ritardo da colmare – aveva aggiunto, lasciando intendere che  era tutta colpa sua.

Ora, era vero che percorrere il cunicolo aveva preso più tempo del previsto,  là sotto però non era stata proprio una passeggiata. Oltre all’aria mefitica che stringeva la gola e all’acqua fangosa  che si attaccava alle gambe, il cammino era stato spesso ostruito da cumuli di detriti staccatisi dalle pareti e da pietre cadute dalla volta. In un paio di circostanze  Brunello era stato costretto addirittura a farsi strada con la forza, spostando a mano gli ingombri più grossi mentre Adelaide e Ingorde tenevano alti i lumi, respirando a fatica in mezzo a tutti quei miasmi. Per fortuna,  arrivati sotto il pozzo d’uscita avevano trovato Bastiano e Orso ad aspettarli. Soltanto grazie al loro aiuto erano riusciti a risalire l’imboccatura, un gradino alla volta, stremati  per lo sforzo.

Osmund  non era stato certo generoso nel ricordarle il ritardo, ma  Adelaide doveva riconoscere che senza i suoi uomini non ce l’avrebbe mai fatta. Riconoscerlo, ma non  ammetterlo di fronte a lui. Così, fremente di rabbia,  gli aveva dato le spalle e si era lasciata issare sul carro, scortata da Ingorde.  Quindi era stata la volta di padre Candido, che era salito a cassetta, e di Bastiano, che gli si era seduto accanto impugnando le redini.

Il tiro era formato da una coppia di mule che rispondevano ai nomi di Rebecca e di Ruth. Legata dietro, seguiva una terza mula che si chiamava Ester.  – Alè Rebecca! Alè Ruth! – aveva gridato il frate. – Andiamo! Alè. – Poi, mentre le mule prendevano il passo, si era girato verso Bastiano. – Forti e tenaci come quelle del Sacro Libro – aveva detto guardandole con affetto.

- A me basta che corrano – aveva risposto Bastiano, ridacchiando e facendo schioccare la frusta. Il carro si era avviato traballando, mentre Osmund  e Orso lo scortavano  a cavallo, uno davanti e l’altro dietro a chiudere il convoglio.

In effetti, Bastiano era stato di parola e le mule avevano corso come non mai. A un trotto furioso e un po’ sgangherato il carro aveva tagliato la città da oriente ad occidente, mentre le ruote sussultavano sulle pietre e gli zoccoli  rimbombavano per le vie. Ad ogni angolo il carro minacciava di rovesciarsi, poi beccheggiava  come una barca alla deriva, per riassestarsi infine e continuare la sua corsa.

Adelaide ascoltava frastornata il rumore  delle ruote che martellavano il selciato e la sballottavano in su e in giù.  Il battito del suo cuore sembrava accompagnarne il ritmo. All’inizio aveva provato a guardare fuori, cercando di riconoscere i posti che le erano familiari. Ma la città appariva del tutto diversa da quella che era  abituata a vedere. Niente passanti, niente venditori, niente capannelli di gente agli angoli o di bambini che correvano intorno. Niente di niente; solo il vuoto e un buio assoluto, chiazzato qua e là da qualche raggio di luna.

Quella notte Papia sembrava ripiegata su se stessa, come se comprendesse  il momento triste che attraversava la sua regina e volesse condividerlo con lei. Adelaide, aggrappata agli assi di una sponda, guardava trasognata le case che si materializzavano al suo passaggio, nere e mute come tanti scheletri,  sentendo dentro di sé la stessa pena  che aveva provato lasciando la Borgogna. Allora andava  incontro a una  vita nuova, a un futuro di speranza; adesso, invece, fuggiva senza sapere bene cosa il futuro avesse in serbo per lei. Sul Mont Joux c’era Berta, e c’era Lotario che le cavalcava accanto. Qui c’erano soltanto Ingorde e, in testa alla colonna, un avventuriero senza  nome e senza rango.

Adelaide riusciva a vederne la figura, agile e svelta, mentre cavalcava di fianco alle mule, avviluppato in un corto mantello nero e con il cappello ben calcato in testa. Quando se l’era tolto, a san Colombano, lei aveva notato che i lunghi capelli erano stati legati all’indietro, scoprendo  una  cicatrice sottile che partiva dal sopracciglio per finire sotto l’orecchio destro. Al lobo spuntava un anellino. Adelaide lo vedeva brillare fugacemente quando l’uomo rallentava e si girava verso il carro per spronare le mule, prima di riprendere la sua corsa lungo le strade vuote.

La cicatrice non sembrava venire da  una battaglia, da uno scontro in campo aperto tra eserciti contrapposti, dove le armi sono pesanti e infliggono ferite ben più gravi. No. Il segno era sottile come un filo di ragno e diceva piuttosto di una disputa da vicolo, con i contendenti che si muovono  furtivi e le lame dei coltelli che guizzano nel buio. Quanto all’anellino, quell’ornamento così inusuale gridava una cosa sola: eccomi, non mi nascondo, sono qui. Se non vi piaccio, peggio per voi.

Visto  dall’anellino, Osmund non sembrava molto diverso dai cortigiani con cui Adelaide aveva avuto spesso a che fare. Uomini vanesi, pieni di sé, ansiosi di mettersi in mostra  in ogni occasione e sempre pronti ad  arraffare quello che capitava a tiro.  Diversamente da loro, però, l’avventuriero non dissimulava. Non tentava di nascondersi dietro le belle maniere e i discorsi involuti. Non cercava di apparire diverso da quello che era. Anzi. Sembrava mettere una cura particolare nel mostrarsi scostante, offensivo e nell’irritare la gente che si trovava a dover fare con lui. Davanti alla porta Marinca  Adelaide ne ebbe l’ennesima prova.

Appena le due torri interne furono in vista, Osmund fece segno a Bastiano di rallentare. In un gran cigolio di ruote  il carro si fermò  all`angolo dello spiazzo che si apriva davanti alla porta. Osmund si  sporse cautamente a controllare i dintorni, quindi diede ordine di far scendere i passeggeri e li passò in rivista come se fossero soldati della sua guardia.

- Tu, ragazzo – disse a Brunello – andrai avanti col padre e salirai a cassetta con lui. – Tieni gli occhi bassi e un contegno modesto, come si addice al servitore di un convento. Ma, soprattutto, non ti voltare indietro, per alcun motivo, e non dar mostra di conoscerci. – E anche tu, figliola – aggiunse rivolgendosi a Ingorde – cammina composta dietro la tua padrona. Se una guardia ti interpella, tornate a casa, a Milano. Non serve dire di più.

- Quanto a voi, signora – disse squadrando Adelaide – dovrete cercare di camuffarvi meglio. Non voglio che qualcuno ricordi il vostro viso o i vostri graziosi capelli d’oro.

Adelaide avvampò, toccandosi involontariamente un ricciolo biondo che fuoriusciva dal cappuccio del mantello. Poi si girò verso Ingorde e tutte due presero a trafficare con l’involto che la servetta portava in spalla. Ne venne fuori una cuffia bianca, che Adelaide calzò in testa abbassandola fino alle orecchie.

– Va bene così?! – disse furiosa, ma Osmund non l’ascoltava già più.   In quei pochi istanti aveva issato padre Candido e Brunello sul carro, facendoli avviare verso lo spiazzo. Intanto  Bastiano staccava Ester e la portava accanto ad Adelaide, aiutandola ad accomodarsi sulla groppa della mula. Quando fu pronta, l’avventuriero montò a cavallo e fece segno agli altri di seguirlo.

La porta Marinca era una delle principali porte della città ed era quella che dava accesso alla vecchia strada romana per Milano. Accanto aveva il monastero di santa Maria Teodote, detto anche della pusterla perché alla base di una delle due torri, accanto alla porticina laterale, era stato ricavato un oratorio in onore dell’arcangelo Michele.

Abitualmente il passaggio giornaliero avveniva di lì, ma all’alba e al tramonto veniva aperta la porta carraia che permetteva il transito dei carri e del bestiame. Chi usciva passava sotto le torri aggettanti che dominavano la porta, percorreva il breve tratto  fino all’antemuralis e sbucava dall’altra parte, all’ombra delle torri esterne prospicienti il torrente Catrona. Chi entrava, invece, si fermava sul limitare per passare l’ispezione delle guardie e pagare la gabella.

Quando i fuggitivi erano arrivati, davanti alla porta illuminata da alcune torce fumose non c’era anima viva. Soldati e gabellieri se ne stavano rintanati nei loro alloggi a farsi qualche ora di sonno e un unico milite ciondolava all’esterno, appoggiato alla picca e intabarrato nel mantello per difendersi dall’aria fresca della notte. Anche la taverna era vuota e le sue finestre  occhieggiavano attraverso le impannate. Mentre il gruppetto si muoveva, però, il cielo cominciò a schiarirsi, annunciando l’alba. Allora, improvvisamente, lo spiazzo sembrò rivivere, percorso da una nuova, crescente animazione.

Dagli angoli delle strade vicine, che fino a quel momento erano sembrate deserte, cominciò a muoversi una piccola folla di gente di ogni ceto e condizione. Contadini con gli attrezzi in spalla, artigiani e mercanti carichi di fardelli, famiglie con i bimbi in collo, carriole e carrette stipate di mercanzie, trainate da asini o da buoi. Anche qualche cavallo, condotto al passo, e persino un prete che tirava la sua mula per la cavezza.

Oltre la porta, appena passata la Catrona, si stendeva un vasto territorio, ricco di orti, coltivi, selve, prati e vada ad piscandum. Molti, tra quella folla riunita, si sarebbero fermati proprio lì: un tragitto breve, per una giornata di lavoro e un ritorno serale al riparo delle mura. Qualcuno invece avrebbe proseguito verso il Ticino, oppure avrebbe risalito il torrente per imboccare la via che conduceva a Milano. Nell’attesa  tutti  tenevano d`occhio la porta, scambiandosi qualche cenno di saluto e incolonnandosi in un abbozzo di fila che si dipanava a destra del passaggio.

Quando il profilo delle torri si stagliò distintamente contro il cielo, lo spiazzo si era ormai animato e il brusio delle voci aumentò considerevolmente. Dai loro alloggi  spuntarono anche le guardie, con il viso ancora pieno di sonno,  mentre la taverna apriva i battenti e il taverniere si affacciava all’ingresso. Infine fu la volta dei gabellieri, che uscirono per sistemare lo scranno. A quel punto, tirate le catene e sfilati i paletti, la grande porta carraia venne aperta e il passaggio ebbe inizio.

A metà della fila, intanto, Adelaide lottava con Ester. La mula si era dimostrata  docile all’avvio ma, con l’aumentare della ressa,  aveva dato segni di nervosismo crescente. Tirava la cavezza dalla parte sbagliata, inarcava il dorso e aveva persino provato a scalciare chi la seguiva dappresso. Con l’aiuto di Bastiano, Adelaide  cercava di acquietare in ogni modo l’animale per evitare di essere sbalzata a terra e, comunque, di dare troppo nell’occhio. Intanto provava a seguire le mosse delle guardie davanti.

Sapeva di non avere motivo per preoccuparsi, che il controllo era più che altro una formalità e nessuno avrebbe mai sospettato della moglie di un mercante, eppure  si sentiva a disagio lo stesso. Le sembrava che  gli occhi di tutta quella gente fossero rivolti verso di lei e ad ogni passo temeva di fare la cosa sbagliata. Qualcosa che l`avrebbe perduta per sempre.  Poi vide Osmund sopravanzarla,  cavalcando disinvolto verso il manipolo dei militi, e il suo cuore mancò un colpo. Cosa andava a fare da quella parte, mettendosi in mostra invece di tirare dritto? E perché addirittura smontava da cavallo, fermandosi a fare crocchio?

Quando Osmund si girò verso di lei, additandola, i suoi dubbi divennero certezze. Ecco, l`aveva denunciata o si preparava a farlo. Adelaide si sentì gelare al pensiero. Presa in mezzo alla folla come un`assassina, sbeffeggiata e portata via in ceppi! Già si sentiva le mani sudate delle guardie addosso, mentre tutti si scostavano e Osmund sfoggiava il suo solito sorrisetto. Eppure, non aveva vie d`uscita. Non poteva scappare a piedi, né defilarsi un po` alla volta, e neppure rallentare perché Bastiano teneva saldamente in pugno la cavezza e avanzava. Inesorabilmente.

Non trovando più risorse, Adelaide decise di affidarsi a Dio. Si fece il segno della croce e cominciò a recitare le preghiere del mattino, tenendo il capo basso e le mani giunte. In quella posa passò davanti alle guardie, percependo soltanto qualche brandello di conversazione. - …una donna veramente pia… - disse una voce roca. La risposta non venne, o lei non la sentì, e la voce roca riprese: - …meglio la serva, in tutti i sensi - facendo seguire una risata. Poi gli zoccoli della mula risuonarono sull`assito del passaggio e Adelaide si trovò quasi subito dall`altra parte; ancora stordita e in un bagno di sudore, ma salva.

La prima cosa che fece fu di ringraziare Dio, pregando con tutto il fervore di cui era capace. Pregò  anche per Osmund, chiedendo perdono in cuor suo per aver dubitato di lui. Quello che non aveva capito sul momento, ormai le era chiaro. L’avventuriero aveva attirato l’attenzione delle guardie su di lei, proprio per mascherarla meglio. Così, ad ogni eventuale domanda, quelle avrebbero potuto ricordare tutt’al più  di aver  visto passare una mercantessa e non una regina. Del che sarebbero state più che convinte, dopo che la sua stessa scorta si era fatta avanti a mostrargliela.

Certo, quell’esibizione confermava che l’uomo era spavaldo e un po’ spaccone, ma non vile. Tutt’altro. Adelaide era pronta a riconoscerglielo e, quando lo sentì arrivare a cavallo, si girò per accoglierlo. – Là dentro – gli disse sorridendo – siete stato veramente ammirevole.

Osmund si strinse nelle spalle. – Anche voi ve la siete cavata bene – rispose, cercando di nascondere l`imbarazzo per la lode. Poi sorrise e indicò Ester che scalciava ancora. - Nonostante quell`animale, sembravate una vera signora.  – Quindi spronò il cavallo verso la Catrona, lasciando Adelaide alle prese con la mula.

Per passare il torrente  si pagava il passaggio su qualche barca, oppure si prendeva il traghetto. Naturalmente, chi aveva animali o carri doveva ricorrere a quest`ultimo perché le barche erano troppo piccole per contenerli.  Il traghetto, d`altronde, non era molto più grande. Consisteva di due chiatte affiancate: la prima fungeva da pontile per l`imbarco; la seconda era quella che faceva la spola da una sponda all`altra, tirata da un sistema di funi che scorrevano attraverso una carrucola. Quando il carico era stato sistemato i barcaioli agivano sulle funi e la chiatta si muoveva, scivolando sulle acque rapide del torrente.

Adelaide arrivò all`imbarco proprio mentre il traghetto stava trasportando la carretta del convento. Lei poté vederla al centro della Catrona, mentre si allontanava lentamente con padre Candido e Brunello che si facevano schermo con le mani per guardare dalla sua parte. Poi la chiatta tornò indietro e, dopo alcuni viaggi, venne anche il suo turno.

Avvicinandosi all`acqua Ester s’innervosì nuovamente, tanto che Bastiano faticò non poco per farla salire e legarla al parapetto. Anche Adelaide e Ingorde si afferrarono saldamente, intimorite dallo sciabordio della corrente e dal rollio del fondo. Ma il passaggio avvenne senza problemi e ben presto i fuggiaschi si trovarono di nuovo riuniti sull`altra sponda. Di lì proseguirono per un breve tratto, risalendo il torrente verso settentrione.

Arrivati all`altezza di san Salvatore, Osmund diede l`alt. - Qui ci separiamo - disse rivolto a padre Candido. - Voi proseguirete per la chiesa, come d`accordo. Prendetevela comoda e tornate solo per il vespro. Ma…badate - aggiunse portandosi un dito di traverso alle labbra - non parlate di noi. A nessuno, mi raccomando.

- Non temere - fece il priore di rimando. - Non sarò certo io a tradirvi. - Poi si avvicinò ad Adelaide e prese la mula per la cavezza. - Ora, figliola, ci dobbiamo salutare - disse sorridendo. - Ma vi seguirò col pensiero…e con le mie orazioni.

Adelaide sentì che le lacrime le salivano agli occhi. In quei mesi difficili della sua prigionia padre Candido era stata una delle poche persone che si era dimostrata buona con lei. Senza il suo sostegno non ce l’avrebbe mai fatta e, in quel momento, provò forte l’impulso di trattenerlo o, almeno, di convincerlo ad accompagnarla ancora per un po’. Poi la ragione ebbe il sopravvento e lei mise le ginocchia a terra, mentre il priore recitava il Benedicite. Quindi lo osservò scomparire dietro un folto d’alberi,  tirò su col naso e salì sulla carretta,  prendendo il posto del frate accanto a Bastiano.

La giornata era tipicamente primaverile: un cielo terso, appena velato da qualche nube, e un’aria frizzante che dava tono al corpo e ristoro all’anima. L’ideale per chi, come Adelaide e i suoi compagni, doveva affrontare un lungo  viaggio. Le mule trottavano di buon passo e Bastiano le accompagnava canticchiando sotto voce. Alla retroguardia, Orso aveva legato il cavallo dietro la carretta e si era seduto sul retro del pianale, con i piedi penzoloni.

Ben presto il gruppo si lasciò alle spalle la città e Adelaide, girandosi, ebbe un`ultima, fugace visione della cupola di san Pietro che splendeva nel sole del mattino. Arrivati all’incrocio, la carretta prese la mancina, lasciando la strada romana per infilare un sentiero più stretto e meno battuto che conduceva a Santa Sofia, il primo porto fluviale sul Ticino. Oltre c’era l’antica strata merchatorum, che s’inoltrava nel contado della Burgaria costeggiando il fiume.

Adelaide era già stata a Santa Sofia insieme a Lotario ed era rimasta colpita dalla storia di quel luogo. Lì, l`imperatore Carlo aveva messo il campo  durante l`assedio di Papia e lì sua moglie Ildegarde aveva dato alla luce una figlia che era stata chiamata Adelaide. Da quel momento Santa Sofia aveva acquistato un`importanza sempre maggiore per il controllo del Ticino, diventando un vero e proprio avamposto militare sul fiume.

- Per questo noi non ci andremo - disse Osmund cavalcando accanto alla carretta. - Troppo vicino alla città e con troppe guardie. In un porto non si sa mai chi puoi trovare e non abbiamo bisogno di altri incontri. Già vi correranno dietro in tanti, fra un po’.

- Voi credete? – chiese Adelaide rabbuiandosi. Poi si  toccò la cuffia che aveva in testa. – Comunque, sarà difficile riconoscermi sotto questi panni.

Osmund scrollò il capo. – Non contateci troppo. In ogni pattuglia metteranno guardie di palazzo. Gente che vi ha incontrato spesso e vi conosce bene.

- Beh, ma allora... – fece Adelaide, mentre negli occhi le riaffiorava la paura -  se è come dite  dobbiamo affrettarci. Trovare un rifugio…nasconderci…

- Lasciate fare a me  – l’interruppe Osmund mettendole una mano sul braccio. – Ci vorrà ancora del tempo prima che scoprano la vostra assenza e organizzino la caccia. Intanto, noi saremo sempre più lontani.

- E dove andremo?

- In un mondo che loro non conoscono, ma io sì.

- Vale a dire? – provò a insistere lei.

Osmund sorrise e allargò il braccio davanti a sé. – Fra poco lo conoscerete – disse con voce rapita. – Vedrete l’acqua che scorre in mezzo ai pascoli, tra due rive di boschi pieni di selvaggina. E i villaggi con i tetti di paglia che spuntano fra le radure…

- Il giardino dell’Eden – osservò Adelaide sorridendo a sua volta. – Il vostro paradiso terrestre.

Lui la fissò a lungo, poi scoppiò in una risata. – Non proprio – disse scuotendo la testa – ma quasi.

- E  ci vivete? – domandò lei.

- Ci passo di quando in quando.

- A vedere la vostra casa?

Osmund fece una smorfia. - Io non ho casa – ribatté secco. – Né qui, né altrove. - Quindi spronò il cavallo e tornò in testa alla colonna, accomiatandosi con un brusco cenno di saluto.

Adelaide lo seguì a lungo con lo sguardo, rammaricandosi della sua ostinazione. Da quando lo aveva incontrato, era la prima volta che quell’uomo, burbero e scontroso, si lasciava andare, mostrando qualcosa di sé e della sua vita. Aveva persino riso, una risata aperta e franca che gli aveva illuminato gli occhi, ma che lei aveva subito spento con quelle sue domande inopportune. Eppure, la curiosità la divorava e voleva a tutti i costi saperne di più. Allora si voltò verso Bastiano, che aveva seguito in silenzio il colloquio masticando una radice.

- E tu, ce l’hai una casa? – chiese tanto per attaccare discorso.

Bastiano sembrò non aver sentito e rimase in silenzio per un po’, ruminando la sua radice. Poi sputò i resti sul sentiero e si girò a guardarla. – Io non sono un cacciatore – disse esitando – e neanche un contadino…

- Che cosa, allora?

- Marinaio. Ecco: io sono un marinaio.

- Marinaio?! – ripeté Adelaide stupita. – Allora tu sai tutto di chiatte, di barche, di fiumi…

- Di navi mia signora, di navi – replicò Bastiano sostenuto. – In mare corrono le navi e io non sono mai stato marinaio d’acqua dolce. Neanche un po’!

- Ma allora – chiese Adelaide – come hai fatto a finire da queste parti, così lontano dal mare?

Bastiano si grattò la testa, prese un altro pezzo di radice e se l’infilò in bocca. Quindi allargò le braccia. – Non lo so nemmeno io – disse scuotendo il capo. – Un giorno, in un porto, ho incontrato Osmund. Lui era in partenza e anch’io andavo di fretta. Così ce la siamo filata insieme.

- E Orso? – fece ancora Adelaide indicando dietro di sé col dito.  – Anche Orso era con voi?

Bastiano scrollò le spalle. – No – disse masticando rumorosamente. – Orso lo abbiamo trovato dopo. Lui aveva  spezzato  il collo al suo padrone e Osmund  ha spezzato il suo collare.

- Un fuorilegge dunque – osservò Adelaide asciutta.

- Come capita ai poveri – replicò Bastiano senza scomporsi. – É  l’argento a fare la legge e Orso non ha mai posseduto nemmeno del rame.

A quella risposta, pacata ma ferma, Adelaide si agitò sul sedile, sentendosi a disagio. Poi decise di tornare sull’argomento che le premeva. – Anche Osmund non deve avere avuto una vita facile...

Questa volta toccò a Bastiano di sentirsi a disagio. L’ometto tossì, sputò un’altra volta la radice e diede una voce alle mule. Poi si voltò verso Adelaide. – Io so soltanto che è un capo in gamba e un buon compagno – disse soppesando le parole.

- Sai – osservò quietamente Adelaide –  anche la gente in gamba ha i suoi momenti di sfortuna…

- E’ più che giusto – annuì vigorosamente Bastiano. – Sapete come si dice: “Le disgrazie arrivano a cavallo, ma se ne vanno a piedi”.

- Sembra un proverbio fatto apposta per me – osservò Adelaide, sorridendo mestamente. – O ti riferivi al tuo capo?

Bastiano s’irrigidì di nuovo.  – Non lo so – disse asciutto. Poi fece un sorriso tirato e abbozzò un gesto, come di scusa. – E comunque,  questo dovreste chiederlo a lui, signora.

Sconfitta ma non rassegnata, Adelaide decise che per il momento le conveniva lasciar perdere. Così si rilassò sul sedile e  si lasciò trasportare al ritmo lento delle mule, osservando il paesaggio che  si dipanava intorno. Dopo aver superato Santa Sofia, la strada piatta e polverosa  cominciò gradualmente a salire, cedendo il posto ad un sentiero erboso, stretto tra cinte di siepi già verdi e filari di alberi ancora indietro di stagione. Non c’era molta gente in giro e i pochi viandanti che il carro incrociava erano per lo più villani dei dintorni, con gli attrezzi in spalla e qualche animale alla cavezza. 

Dalla parte del piano,  tra la vegetazione si apriva ogni tanto uno squarcio, un viottolo appena abbozzato che si perdeva subito nel folto, oppure una piccola radura, risparmiata dalla macchia. In una di queste  razzolava un branco di maiali, sorvegliato da un ragazzino che alzò il bastone in aria e lo agitò  al passaggio della comitiva.  Dalla parte del fiume le piante erano più rade e il sottobosco meno fitto. In mezzo filtrava un leggero vento di brezza che portava con sé il sentore dell’acqua vicina. Quell’odore di muschio e di greto giungeva fino al carro e ricordava ad Adelaide il profumo del suo lago in Borgogna.

Durante le sue frequenti alluvioni, avvenute nel corso dei secoli, il Ticino aveva lentamente eroso la campagna circostante,  creando una sorta di conca  che ne accompagnava il corso. Lungo il rilievo più alto della conca passava la strada dei mercanti, che seguiva l’andamento digradante dei dossi verso il fiume. I villaggi stavano tutti all’incrocio, oppure dall’altra parte, al riparo di quel bastione naturale.

Il primo era un luogo chiamato Campese, ma Osmund lo evitò. Piegò invece a mancina, infilando un sentiero in discesa che portava verso il Ticino. La strada si rivelò ben presto più stretta e sassosa della precedente,  costringendo Bastiano a rallentare ulteriormente l’andatura. La carretta affrontò cigolando una serie di gobbe, curve e giravolte che ai suoi passeggeri parvero infinite. Poi,  superata l’ennesima svolta, il panorama si allargò e il sentiero sbucò in uno spiazzo sabbioso, circondato da un folto d’alberi. Sotto la loro ombra si vedeva una casa;   dietro, l’acqua del fiume scintillava al sole.

- Questo è il guado di Campese – annunciò allegramente Osmund, scendendo da cavallo davanti alla casa. Poi legò l’animale al palo di un recinto che sorgeva  nei pressi e si fece incontro alla carretta, aiutando Adelaide a scendere. – Dall’altra parte, la strada conduce alla via dei Franchi – aggiunse indicando il fiume. Quindi si voltò verso la casa, proprio mentre sulla porta appariva un uomo tozzo, con un berretto di lana calcato in testa e un enorme grembiule allacciato in vita.  - Qui, invece – proseguì additandolo – c’è la locanda di Roscio, dove potremo trovare vitto e anche alloggio.

Sentendo menzionare il suo nome Roscio si fece avanti, pulendosi le mani nel grembiule e con un gran sorriso stampato in faccia. – Vi vedo bene come sempre – esordì avvicinandosi ad Osmund  – e dite ancora meglio. Non c’é posto migliore della mia locanda, di qua e di là  dal guado.

- Questo è quello che asserisci tu, vecchio furfante – ribatté Osmund ridendo e prendendolo per le spalle – ma ai miei compagni qui  non bastano le parole.  Vogliono mettere qualcosa sotto i denti.

- E l’avrete – disse subito Roscio. Poi fece un  mezzo inchino rivolto alle donne che scendevano dal carro e si ritirò in fretta, sbraitando ordini. Quasi subito, dalla locanda uscì correndo un ragazzetto per occuparsi dei cavalli e delle mule.  

Adelaide fu grata di quella sosta. Dopo le peripezie notturne e l’attraversamento della porta, si sentiva veramente a pezzi. Aveva la schiena indolenzita, le gambe intorpidite e un dolore sordo che le martellava le tempie. La tensione di quell’interminabile giornata le aveva stretto lo stomaco, facendole dimenticare la sete e la fame. Così, il sacco di provviste che padre Candido aveva caricato sulla carretta era rimasto sul fondo, senza che le venisse in mente di mettervi mano. Ora, però, il peggio sembrava passato e il grumo di ansia che l’attanagliava andava sciogliendosi al calore del sole.

Posando i piedi sul terreno li sentì affondare nella sabbia e provò una gioia infantile al ricordo di altre passeggiate sulla sabbia, dei giochi e delle corse che faceva in riva al lago, da bambina. Poi si toccò il viso, che le sembrò arrossato, e si guardò l’abito, che trovò tutto sporco e impolverato. Un disastro! Doveva essere un vero disastro!  Allora si girò verso Ingorde che già si stava avvicinando.

- Signori – disse accennando un inchino –  noi avremmo bisogno di appartarci  un po’. Cose da donne. Ci scuserete, vero? – Poi prese Ingorde sotto il braccio e si avviò di buon passo verso il Ticino.

Osmund la seguì con lo sguardo finché la vide scomparire dietro gli alberi. Quindi entrò nella locanda insieme ai suoi uomini e al giovane Brunello. Bastiano e Orso ne uscirono quasi subito, correndo. Tenevano tra le mani una pagnotta, da cui staccarono grandi morsi intanto che prendevano i cavalli e risalivano la strada, di gran carriera. Osmund uscì poco dopo. Si soffermò sotto la piccola tettoia che faceva da veranda, si mise una mano davanti agli occhi per fare schermo al sole e scrutò i dintorni. Erano le prime ore del meriggio e il sentiero era deserto. Dal bosco proveniva  soltanto il cinguettio di qualche uccello e l’uggiolare lontano di un cane. Lui osservò la scena a lungo, poi, rassicurato, si avviò verso il guado a passo lento.

Oltre lo schermo delle piante scorse subito Adelaide, seduta su un tronco d’albero che era stato portato a riva dalla corrente.  Si era tolta la cuffia e aveva sciolto i capelli. I suoi riccioli d’oro brillavano mentre lei muoveva la testa, conversando con Ingorde che stava poco più in là, proprio accanto al fiume. Vedendo quella figuretta agile e aggraziata, il viso di Osmund ebbe un fremito. La cicatrice sopra l’occhio cominciò a pulsare e l’uomo si passò una mano sulla fronte, come a voler lenire i suoi pensieri. Poi, tossicchiando leggermente per annunciare il suo arrivo, avanzò sul greto.

Adelaide  si voltò di scatto. – Ah, siete voi! – disse sollevata quando lo riconobbe.

- Sono io – assentì Osmund sorridendo. – Non abbiate timore. Fidatevi.

Lei si alzò. – Avete ragione – disse stropicciandosi le mani imbarazzata. – Già me lo avete detto, ma non posso fare a meno di preoccuparmi. Chiunque potrebbe scendere per la strada che abbiamo percorso e sorprenderci.

- Chiunque proprio no – la tranquillizzò Osmund prendendole le mani. – Ho mandato indietro i miei uomini con l’ordine di avvisarmi al minimo cenno di pericolo.

  Adelaide si strinse nelle spalle. Poi alzò il viso e gli  sorrise. – Pensate proprio a tutto voi – osservò.

- È   il mio lavoro – rispose Osmund d’istinto. Poi si maledì  per quella frase infelice, ma ormai il danno era fatto. Lei si sciolse rapida, si scostò e mosse qualche passo, girandogli le spalle. A monte il Ticino scorreva veloce, stretto da un’ansa,  ma a valle, in corrispondenza del guado, il fiume si allargava e l’acqua sciabordava placida contro le sponde. Accanto alla riva opposta un branco di gallinelle nuotava tra i canneti, mentre poco più avanti un  airone grigio si frugava tra le piume col becco adunco.

Adelaide  restò ad osservare il maestoso uccello che contorceva il lungo collo sinuoso. Quando l’airone allargò le ali e prese il volo, lo seguì con lo sguardo. – Mi piacerebbe essere come lui – osservò quietamente. – Libero come l’aria.

- Ma voi siete libera! – obiettò Osmund.

- Dite davvero? – fece lei.

- Certamente – rispose lui abbozzando un inchino.   – Ditemi dove volete andare e vi ci porterò.

Lei si girò a guardarlo. – Per lavoro? – chiese sorridendo.

Lui arrossì. – Non proprio – rispose in un soffio.

- Allora, per il momento portatemi alla locanda – disse lei offrendogli il braccio. – Sapete, anche gli aironi devono mangiare ogni tanto.

 

18/12/2009 12:00:00
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