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Letture
Religiosità e fondamentalismi
Franco Livorsi

Siamo tutti fortemente colpiti dal fenomeno sconvolgente del fondamentalismo islamico. Ma questo è solo il più eclatante tra gli estremismi “religiosi” del nostro tempo. Per intenderlo può essere utile spendere qualche parola sul ruolo della religiosità nella storia. Questa dimensione, come forza di determinazione dei grandi accadimenti epocali, ha fatto spesso la parte della Cenerentola nella storiografia, specie dal XVIII secolo  in poi. In quel secolo, “illuminista”, infatti, giunse al culmine la grande crisi della concezione cristiana del mondo, negata in sé o intesa come una mera predicazione moraleggiante. L’evoluzione della scienza e della tecnica sembrava condannare la religione, in sé e per sé, al ruolo di ipotesi inutile. Tanto più che in tutta l’area dei paesi latini, con particolare riferimento alla Francia, in quella stagione - che pure era di grandi mutamenti - non era possibile liquidare il parassitismo nobiliare (del “primo stato”) senza eliminare quello del clero (secondo “stato”), alleato del primo, e del coevo assolutismo cattolico, dappertutto, sin dall’epoca della Controriforma, se non addirittura dalle origini della monarchia. Quindi l’attacco della borghesia macro o microcapitalista emergente prima della Rivoluzione francese - dal proprietario terriero o d’officina al professionista e all’artigiano - doveva colpire non solo l’aristocrazia, ma anche il clero, che con i suoi “sacerdoti” da tanti secoli aveva il monopolio del Sacro, all’ombra dello Stato assoluto. E - per ciò stesso - l’attacco doveva minare il cristianesimo in quanto tale (ovviamente difficilmente separabile dal clero - tanto più allora – quantomeno in area cattolica). Gli illuministi, anteriori alla Rivoluzione francese (secondo storici recenti avvenuta anche a loro danno[1]), erano gente con la testa sul collo, almeno finché riuscirono a non farsela decollare da giacobini “arrabbiati”, come capitò all’unico tra i primi dell’area che fosse ancora vivo nel 1789 e avesse partecipato a quel grande evento (Condorcet). Essi comprendevano che abolire Dio non era uno scherzetto. Per questo Voltaire da un lato invitava tutti a écraser l’infâme, che per lui era la chiesa cattolica, ma anche il cristianesimo stesso almeno nella forma prevalsa nella storia; dall’altro diceva che “se Dio non ci fosse bisognerebbe inventarlo”. Era cioè deista, come tanta parte dell’illuminismo: credeva in un Dio unico, razionale, creatore dell’universo e fondamento della legge morale universalmente umana. Sulla base di questa separazione tra il sapere scientifico e la fede, e del terzo stato (borghesia) non solo dal primo stato (aristocrazia), ma anche dal secondo (clero), ci furono pure tentativi di fondare una religione post-cristiana, puramente deista, della natura e umanitaria. Furono caratteristici della Massoneria, nata “storicamente” in Inghilterra il 24 giugno 1717, anche se pretendeva e pretende di trasmettere un sapere segreto, che sarebbe stato e sarebbe ininterrottamente mantenuto e trasmesso di generazione in generazione, risalente ai misteri di Iside (e successivi), e proprio dei “muratori” (maçons) costruttori di piramidi, e poi cattedrali, e di quant’altro di secolo in secolo[2]. Oggi quella forma religiosa può apparire quantomeno bizzarra, ma un genio assoluto come Mozart mise in musica, con libretto di Schikaneder, un mito immortale in cui quella setta, col suo sovrano, è al centro della rinascita del principe come del povero: Il flauto magico (1791). Questi tentativi neo-religiosi, massonici e non, culminarono nell’estrema battaglia di Robespierre, volta a istituire un culto dell’”essere supremo”: una battaglia ideale che coincidendo con la crisi del giacobinismo e con l’avvento del Termidoro suscitò lo scherno dei deputati dell’Assemblea nazionale, alla vigilia della decapitazione del grande leader rivoluzionario. Ormai, sconfitti i propositi regalisti d’invasione della Francia rivoluzionaria - passata anzi all’attacco delle potenze straniere “reazionarie” - emergeva la borghesia effettivamente vittoriosa, nella sua ala centrale edonista e materialista. In seguito ci fu il compromesso di Napoleone col papa, che però non rivitalizzò di certo la fede, vista come instrumentum regni, tanto che si può affermare che “l’imperatore” non garantiva alla chiesa nessun’autonomia o privilegio speciale. In seguito al crollo di Napoleone nell’Europa “continentale” ci furono, nella Restaurazione, e nel coevo Romanticismo - nato un poco prima, ma allora trionfante - due linee, che talora cercarono di convergere e talora no: l’una di ritorno indietro, “reazionaria”, volta a ripristinare la storica alleanza - propria del vecchio assolutismo - tra trono e altare, caratteristica di de Maistre ma anche - il che più contava - dell’Austria di Metternich e dello zar Alessandro I Romanov (Santa Alleanza)[3]; l’altra di conciliazione tra Modernità e tradizione, tra immanentismo[4] e religiosità, che fu caratteristica del germanesimo, e in specie della grandiosa sintesi filosofica dell’idealismo[5] propria di Hegel. Questi in sostanza vedeva il Logos come Dio, ma Lo diceva, per noi e in noi, immanente, vivo alla “prima radice” infinitamente pensante dell’uomo, e da essa indistinguibile o comunque ad essa identico[6]. Tuttavia dal 1830 in poi la Reazione fu travolta, a partire da una piccola rivoluzione monarchico liberale nella Francia del 1830. E a partire dalla Germania, in un decennio, cadde pure la diga volta a umanizzare il divino e a divinizzare l’umano, e ad elevare a tale altezza la comunità umana dei cittadini, eretta da Hegel (seppure in una visione troppo schiacciata sullo Stato “forte” prussiano)[7]; ed emerse, per contro - mentre il capitalismo moderno correva al gran galoppo - il materialismo etico, scientifico, filosofico e insomma generale proprio di tanta parte del XIX secolo, e che va per così dire da Marx (che si laurea nel 1841) sino a Freud (con cui si chiudeva il secolo), e giunge pressoché trionfante, dopo molte vicissitudini, sino ai giorni nostri.

   Ora in tutta la fase indicata, dal XVIII secolo in poi - pur con i rigurgiti del passato e con i tentativi di cui si è detto - l’attacco al cristianesimo, e anche alle religioni in generale, è stato (ed è) una costante. Questo ha pure rimosso, nella storiografia, il ruolo delle religioni, e anche della religiosità stessa, nella storia, che è stato visto o come negativo[8], oppure negato e considerato come mero paravento di altri obiettivi e interessi di potere (o soldi); o al più è stato considerato secondario. Ma invece - sebbene sempre legato “ad altro”, anche perché nella storia “tout se tient” - era decisivo, tanto che dalla caduta del paganesimo alla rivoluzione inglese della metà del XVII secolo, e alla prima colonizzazione decisiva degli Stati Uniti da parte di calvinisti puritani, tutte le rivoluzioni sono state religiose. Hegel stesso aveva affermato con decisione - anche se questa sua grandiosa elaborazione fu presto rimossa - che i mutamenti della - o nella - religione sono la forza dinamica della storia (per lui come spirito dello Stato, il che per noi è ovviamente inaccettabile), tanto che persino la famosa affermazione secondo cui la storia culminerebbe nel primato del germanesimo, se letta cum grano salis sta a significare che la “Storia” culminerebbe nel “protestantesimo” (detto tutto “germanico”, nel nord Europa come in Inghilterra o America del nord). Con esso, infatti, “Dio” sarebbe svelato non già da un’istituzione pretesa salvifica, come la chiesa cattolica, ma “dalla” coscienza (e per Hegel “nella” coscienza, risultando “della” coscienza, giunta alla - o svelatasi come - ”autocoscienza”).

    Tuttavia l’idealismo hegeliano - oltre che ogni fede cristiana in senso forte, “rimossa” da liberali progressisti, repubblicani, radicali e socialisti - fu travolto nel decennio anteriore al 1848 europeo (dalla sinistra hegeliana e da Marx). Il materialismo assolutamente vincente dagli anni Quaranta del XIX secolo in poi era molto connesso agli entusiasmi per il cosiddetto “progresso” capitalistico inarrestabile: entusiasmi che delle scienze “positive”, sperimentali, facevano una fede (“positivismo”). Era certo pure legato allo spirito edonistico della borghesia trionfante. Ma questa “fede” nel potere assoluto della scienza e della tecnica, contro ogni religiosità o soggettività, aveva coinvolto pure il proletariato urbano, in odio antico verso i preti e per l’influenza stessa della cultura della classe dominante, che è spesso - come spiega proprio Marx  (per lui prima della rivoluzione ulteriore) - la cultura dominante.

   Va però notato che nel campo più disagiato, dentro il capitalismo trionfante, la faccenda assumeva una strana torsione. Infatti l’idea di Marx dell’emancipazione proletaria ed umana, rivolta contro il capitalismo, era, suo malgrado - come poi il movimento coevo del socialismo e del comunismo - carica di religiosità. Vi si proiettava l’istanza della “vita beata” già colta da Kant al culmine della vita morale individuale[9]; ma ora il bisogno di una “vita beata” era trasferito - non già in base a Kant, ma sulla traccia di un Hegel “rovesciato di segno” - nella dimensione sociopolitica, che avrebbe dovuto essere assolutamente buona e assolutamente felice per tutti. Il paradiso proiettato fuori dall’interiorità, nel mondo, per Marx e per i marxisti era però “da fare”, come assetto in cui tutto tornasse di tutti, non ci fosse più moneta, e neppure Stato. Sarebbe “necessariamente” accaduto per il tramite del potere del proletariato, inteso sin dall’inizio come “Stato che si estingue”, ossia si scioglie gradualmente, come un blocco di ghiaccio al sole (“dell’avvenire”), dal primo giorno dell’assetto dominato dai proletari: si fonde nella società, che l’aveva generato quando un 5000 anni fa erano sorte classi diverse ed opposte, ora divenute soprattutto borghesia e proletariato. L’assetto “contro natura”, che ci vede l’un l’altro, e tra classi, divisi e opposti, sarebbe appunto via via sparito, man mano che le differenze di classe fossero state cancellate davvero, tramite il potere dei senza potere, i proletari, che possono smettere di dipendere solo abolendo la dipendenza e le connesse differenze “economiche”. Questo in Marx è evidentissimo già nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Introduzione (1844), nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e poi negli scritti sulla Comune del 1871 e contro Lassalle del 1875, ma anche in Stato e rivoluzione (1917 ma 1918) di Lenin, e in tutto quello che Lenin disse in quegli anni specie tra il 1917 e il 1920[10]. Più oltre questi progetti palingenetici, di effettiva redenzione sociale, fallirono: accadesse ciò per qualcosa di “storto” che c’è nella natura umana, o per la mancata rivoluzione in Occidente, e il connesso isolamento economico e militare della Russia rivoluzionaria, o per le tragedie della necessaria industrializzazione a tappe accelerate, o per l’atroce collettivizzazione forzata dell’agricoltura, la quale ultima - a mio parere - fu una vera e propria seconda rivoluzione “dall’alto”, che intorno al 1929 trasformò, in Russia e nel mondo che via via la emulò in seguito, il regime comunista in un capitalismo di stato governato autoritariamente da un solo Partito Comunista e monolitico, proclamantesi incarnazione del proletariato anche quando questo, come in certe fasi o Paesi, lo odiava (mentre era solo una burocrazia “di sinistra” che si prendeva tutto il potere, pretendendo e spesso credendo di farlo per il proletariato, mentre lo faceva soprattutto per sé)[11]. E tuttavia la clericalizzazione autoritaria in questione non ripudiò il progetto originario, pure ormai ridotto a flatus vocis buona per entusiasmare ragazzini “marxisti” sognanti e infelici. La “religione” della salvezza dei proletari si era trasformata in una sorta di ecclesia totalitaria, al di fuori della quale per il compagno non ci sarebbe stata “nulla salus”. Perciò il geniale Bertrand Russell, sin dagli anni Venti, fu colpito dalla grande somiglianza tra il comunismo mondiale e il cattolicesimo romano, con Stalin al posto del papa, i segretari dei partiti come cardinali, e le legioni di funzionari comunisti del mondo come preti, e i connessi dogmi e stili di vita[12]. Il punto che vorrei enfatizzare è che da un certo punto in poi questa “religione senza dio” del comunismo (per non parlare di quella fascista, neopagana e dell’imperatore “divino”[13], travolta nel 1945), implose letteralmente, tra il 1989 e il 1991. Fu una cosa veramente straordinaria nella storia del mondo: un impero eretto in seguito a una guerra mondiale, difensiva, in cui l’Unione Sovietica aveva avuto venti milioni di morti e che si era esteso da Vladivostock a Berlino, cadde come una mela marcia o un vecchietto infartato. Nessun grande impero della storia era mai finito così. Il comunismo, come idea di liberazione totale - ben diversa dal collettivismo autoritario e burocratico - era morto come minimo tra ’26 e ’29, ma nella sua forma definitiva di collettivismo burocratico autoritario (di Stato e Partito), “fondata” da Stalin e poi solo depurata dal terrorismo di stato, era durato sino al crollo del muro di Berlino del 1989 e a quello dell’URSS del 1991. Come il crollo dell’assolutismo “cattolico” del 1789 e anni seguenti aveva minato il cristianesimo stesso, via via “estinto” sino alla “morte di Dio” in Occidente (quantomeno come Dio “davvero vivo” nella coscienza delle moltitudini “urbane”), così il crollo del comunismo da Berlino a Vladivostock rese residuale il materialismo marxista (la religione senza Dio del comunismo). Siccome questo – come notato da Jung - celava nel seno un potente mito “religioso” di redenzione sociale[14], la totale perdita di credibilità della forma “profana” della religiosità, ossia del paradiso in terra o comunque della religione secolarizzata, ha di colpo riabilitato la coscienza religiosa in senso stretto. Il dio che si era preteso di trasfondere in una nuova umanità tornava ad essere quello “nell’alto dei cieli”, trascendente, con logico “rinculo”, o rivolta reazionaria, della storia (in mancanza di meglio). Naturalmente solo per la parte che aneli a un qualche cambiamento totale, in cui - scomparsa la forma materialistica che aveva occultato la religiosità - questa emerge - come motivazione per cambiare le cose - nella sua forma specifica, spirituale, che aveva avuto sino a Robespierre. Nella parte invece più ben inserita nel sistema è seguitato l’anteriore materialismo borghese, non solo come cultura di gran lunga prevalente, ma anche come stile di vita, o American way of life, che dopo il crollo dell’URSS - secondo taluni grandi politologi come Fukuyama[15], che poi pare abbia cambiato idea - sembrava dover ormai diventare il senso comune di tutto il pianeta. Ma siccome lo spirito del capitalismo trionfato seguita ad escludere dal suo volgare ma incantatore festino, e connesso materialismo morale (oltre che “razionale”), miliardi di persone, lo spirito della rivoluzione - pur dopo un’immane disfatta - ha seguitato a lavorare. Non avendo un futuro credibile e creduto, come sempre è riemerso come “futurismo del passato”. Credo che l’istanza rivoluzionaria sia una modalità antropologica, che vede la romantica “struggente nostalgia dell’infinito”, e di una connessa felicità “incondizionata” (e viceversa), come a priori, ossia come qualcosa di latente in noi per natura; ma a parte ciò è comprensibile che chi stia veramente male - per ragioni economiche, o anche solo psicologiche, alias di forte disadattamento esistenziale - non possa acconciarsi allo stato di cose di gran lunga vincente. In lui l’istanza, sempre religiosa, della redenzione, ritorna sempre. Oggi, crollato il guscio materialista che l’aveva racchiusa dagli anni Quaranta del XIX secolo in poi (e nella “borghesia” dal 1789), l’istanza si presenta “nuda”, ossia nella sua forma religiosa aperta, che aveva già avuto da Cristo alla fine del XVII secolo, e per certi versi sino al 1793, almeno tra le forze della rivolta.

   Tuttavia la religiosità, come la rivoluzione, e come ogni nostro mito vivo collettivo e persino individuale, può presentarsi in avanti o all’indietro. Non stiamo mai fermi psichicamente: o ci evolviamo o ci involviamo (salvo forse i mistici puri, che vivono in un loro presente in cui il divino irromperebbe, ma che sono necessariamente pochissimi). Quasi tutti gli umani o si buttano avanti o si buttano indietro. Così la religione, se non riesce a assumere un volto “in avanti”, invece di scomparire lo assume all’indietro. E’ accaduto con la Santa Alleanza e con i reazionari dopo la Rivoluzione francese e il suo figlio - pur “degenere” rispetto agli originari ideali “repubblicani” - Napoleone; e accade oggi tramite i fondamentalismi, che sono in molte aree la reazione-restaurazione dopo la rivoluzione o pseudo-rivoluzione “rossa”.

  Nel vuoto di una religiosità rivoluzionaria o davvero riformatrice, se ne afferma una reazionaria o molto conservatrice. Insomma, si torna indietro. Come avevano cercato di fare Metternich e lo zar Alessandro I Romanov, ma pure de Maistre. Ora accade con un altro  passato, ma sempre con approccio neo-reazionario. La Reazione s’insedia proprio dove la Rivoluzione anteriore, la nuova “religiosità” (nel marxismo e comunismo paradossalmente senza Dio) si erano affermate. Il processo è mondiale e concerne tutte le religioni, forse persino l’induismo (ma il politeismo ha anticorpi contro il fondamentalismo, pur emergente, perché è pluralistico intrinsecamente; nei monoteismi il fenomeno, invece, furoreggia).[16]

   Vale in tutti e tre i monoteismi, anche se l’attuale papa Francesco sta cercando con tutte le forze di attuare una grande correzione di rotta di tipo riformista nella sua chiesa. E tuttavia da Giovanni Paolo II a Ratzinger abbiamo visto tutto un ritorno alla tradizione cattolica del passato, volto a minimizzare invece che ampliare gli esiti riformisti del concilio Vaticano II concluso nel 1963. E la chiesa cattolica concede il meno possibile a un mondo moderno che sente altro da sé, come se fosse assediata sul terreno - decisivo per essa - di dogmi e principi millenari di tipo morale e spirituale: credenze “forti” che essa consente ai singoli di tradire, accettando di buon grado di assolvere i peccatori “pentiti”, ma senza ammettere mai che vengano meno principi che essa considera al tempo stesso legati al suo Credo religioso e ad una morale “naturale” pretesa perenne e razionale, vista in termini di aristotelismo cristianizzato (tomista). Perciò ha lottato e lotta contro la dissolubilità del matrimonio, l’aborto, i nuovi tipi di famiglia, l’eutanasia, eccetera. Cerca di controbilanciare la forte “inattualità” storica di tutto ciò da un lato ampliando la propria disponibilità ad assolvere i peccatori (ma non “i peccati”), e dall’altro aprendosi, con orientamento non nuovo - ma pur sempre notevole, se durerà - alle grandi masse povere colpite dal capitalismo “selvaggio”, specie nelle zone arretrate del pianeta, ma anche tra noi: masse che la Chiesa cattolica cerca molto meritoriamente di aiutare, e anche di rappresentare sul terreno sociale, benché con esiti limitati perché tutta la dottrina e composizione sociale della chiesa spingono alla conciliazione tra le classi, e non certo al pauperismo rivoluzionario o comunque decisamente riformatore in senso post-capitalista.

   Anche l’ebraismo tende a chiudersi a riccio, a partire dal suo “Stato del Vaticano”, che per esso è lo Stato di Israele (la sua “Gerusalemme”), i cui governanti mescolano molto il sacro e il profano, in senso quasi etno-teocratico, pretendendo di imporre ai palestinesi una specie di apartheid, che prima o poi salterà per aria, con conseguenze imprevedibili. Purtroppo il fondamentalismo allontana la sola prospettiva ragionevole, o di due Stati, uno israeliano e l’altro palestinese confederati, o almeno di uno Stato totalmente laico in cui sia bandito ogni criterio di appartenenza religiosa o etnica, vuoi ebraico e vuoi musulmano, e naturalmente ogni immigrazione motivata in termini etnico-religiosi tanto all’interno quanto dall’esterno sia interrotta per sempre. Ma accadrà mai? E se non accadrà, che accadrà?

  Infine c’è il furoreggiante islamismo. Proprio lo scacco di tutte le aree musulmane già d’influenza sovietica o amiche dell’URSS, in cui si erano imposti regimi laici di preteso socialismo arabo, ha aperto una crisi devastante. Questa si è verificata dapprima in Afghanistan, negli ultimi anni dell’URSS, i cui governi fantoccio laici furono attaccati dal 1979 in poi da mujaheddin, che erano già fondamentalisti musulmani, tra cui c’era Bin Laden: fondamentalisti allora fomentati dall’America, e il cui trionfo, nel 1987, ha aperto la strada, in un Paese montuoso molto arretrato, a un tremendo ritorno di Medioevo islamico, formalmente vinto ma mai domo, e che ha fatto scuola a tutti i peggiori fondamentalismi terroristici successivi. Più oltre è stato il caso prima dell’Iraq e poi della Siria, zone vitali per l’equilibrio generale. Più oltre ancora è stata la volta della Libia di Gheddafi, il cui rovesciamento ha di nuovo rafforzato il fondamentalismo islamico “armato”. Certo in tutte queste aree la complessa strategia del domino occidentale, con i ben connessi interessi petroliferi, ha avuto immense responsabilità; ma è caratteristico il fatto che tolto il tappo del socialismo reale “pan-sovietico” oppure del nazionalismo di sinistra protetto dall’URSS,  sia emerso quasi sempre il fondamentalismo religioso musulmano (armato). Se salta la rivoluzione “di sinistra”, di ottima o buona o anche cattiva qualità, che è una sorta di movimento salvifico senza Dio (o che comunque ha effetti di modernizzazione niente affatto sordi alla sorte della “povera gente”), e non arriva un nuovo movimento salvifico religioso o rivoluzionario o riformatore, emerge la reazione fondamentalista, che può pure attrarre grandi masse in miseria, anche perché nei paesi in cui esse sono la grande maggioranza l’ala moderatamente laica e filo-occidentale è spesso inetta e corrotta, non credibile per esse. Ciò naturalmente ritarda l’autoriforma in senso “liberale” dell’Islam, autoriforma resa per altro difficile dalla fede in un libro detto non solo “ispirato” da Dio, come la Bibbia, ma da lui stesso “dettato”, scritto alla seconda persona singolare, e che nel VII secolo era avanzatissimo, ma oggi, specie in materia di concezione della donna, è gravemente “inattuale”: il Corano.[17] Tuttavia se fosse in campo una soluzione “avanzata”, il fondamentalismo non ci sarebbe, come non c’era affatto stato in altri periodi, vicini e lontani, in cui i tratti alto medievali erano stati bellamente ignorati, e l’Islam non era affatto stato meno accogliente delle altre religioni. Ma qui non ragiono per “mettere le brache alla storia”, come avrebbe detto Marx. Prendo atto dello stato delle cose e cerco di prevedere qualche sviluppo.

   In conclusione per ora assistiamo, in materia, alla compresenza di due fenomeni.

   Il primo fenomeno è caratterizzato dalla prevalenza di un modello capitalista occidentale, materialista integrale, edonista in sommo grado e tutto ripiegato sul mondo com’è, egoista sin nelle più intime fibre, adoratore del dio denaro. Accade all’ombra di istituzioni per ora liberaldemocratiche, ma sempre più degenerate, e “con le mani legate”, anche perché la globalizzazione economica insidia tutte le forme keynesiane di Welfare State, in un mondo unificato in cui la forza lavoro perde valore. Nello stesso ambito “ultracapitalistico”, che o non crede più in alcun Dio o vive come se non ci credesse affatto (il che è poi lo stesso o peggio), sussistono forme di religiosità moderata “vive ed operanti”; ma contano sempre di meno nella storia globale. Nella parte effettivamente “partecipe” alla religiosità, sono minoranze, neppure tanto vaste, in tutti i paesi avanzati (salvo che in America, per la quale occorrerebbe un discorso a parte).

   Il secondo fenomeno è il ritorno - in mancanza di un’alternativa “religiosa” avanzata, capace di interpretare le grandi forze latenti del mutamento rivoluzionario o riformatore - di una religiosità del passato, “reazionaria”, fondamentalista, che attrae soprattutto masse oppresse impossibilitate a integrarsi nel “modello” di capitalismo selvaggio ormai dominante, e per ciò attratte da forme religiose morte, che talune minoranze cercano di risvegliare e far rivivere, in buona fede e anche strumentalmente (come sempre accade alle grandi idee nella storia).

   La partita sembra dunque giocarsi tra sostenitori dello status quo più sciaguratamente materialista e egoista, “borghese”, ed i fondamentalismi religiosi (spesso congiunti, purtroppo, con rigurgiti pericolosi di nazionalismo, che potrebbero preludere a nuove forme di fascismo).

   Pur riconoscendo che logiche del meno peggio, garanti di governabilità democratica in un mondo anomico, hanno senso, in attesa di soluzioni effettivamente alternative, si può riconoscere che hanno una portata limitata. Per risolvere l’aporia tra i due poli di cui si è detto, occorrerebbe un terzo polo capace di unire una nuova religiosità alle istanze di rinascita morale, sociale ed ecologica delle masse oppresse, che pure sono fortissime. Non si può dire che questo terzo polo non esista nel passato e presente della sinistra, vuoi nelle idee e vuoi nella prassi, sol che si pensi non solo a figure decisive nella storia come Gandhi, ma pure come il repubblicano democratico sociale, cooperativista e neoreligioso Mazzini, o come i liberalsocialisti più idealisticamente, eticamente e religiosamente motivati come Guido Calogero e soprattutto Aldo Capitini e, sul terreno di un ecologismo “scientifico”, ma pure spirituale e sociale, come Fritjof Capra. Istanze del genere sono e sarebbero decisive, ma in Occidente, e ancor più in Italia, sono, e probabilmente resteranno a lungo, molto minoritarie: sia per la potenza delle attitudini opposte di cui si è detto (“ultramaterialiste” o “ultrareazionarie”), sia perché agiscono “in ordine sparso”, e sia perché tardano a coagularsi in correnti ideali unitarie e in movimenti politici e spirituali di portata epocale[18].

   Se tale scarto tra idee e forze ultracapitaliste o reazionarie, rozzamente materialiste oppure fondamentaliste, dovesse seguitare, gli esiti catastrofici - o per il marcire graduale del modello occidentale e americano dominante, o per esplosione di contraddizioni economiche e di contrasti interstatali sempre più gravi e irrisolti da superpotenze che sono tutte in grave crisi e come estenuate - purtroppo saranno possibili. Non sono inevitabili, ma man mano che i nodi irrisolti aumentano, i pericoli di catastrofe si accrescono. Il Kali Yuga[19], l’epoca delle distruzioni apocalittiche, non è per nulla fatale, ma solo se quelle che ora sono piccole isole di una nuova civiltà in cammino - nel segno della rinascita psicologica e spirituale, ecologica, sociale, democratica e comunitaria - riusciranno a dilagare nei continenti. Accadrà nei prossimi decenni? “Quien sabe?

                                                                                   



[1] Si veda la vasta ricerca: J. ISRAEL, La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a Robespierre, Einaudi, Torino, 2015. Coglie invece un forte nesso tra illuminismo e Rivoluzione francese: F. DIAZ, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli: l’Europa tra illuminismo e rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 1986.

[2] S. HUTIN, La frammassoneria, in: Esoterismo, spiritismo, massoneria (in: Storia delle religioni, a cura di H. C. Puech), Bari-Roma, Laterza, 1981, pp. 157-180.

[3] J. De MAISTRE, Le serate di Pietroburgo. Colloqui sul governo temporale della Provvidenza (1814), a cura di A. Cattabiani, Milano, Rusconi, 1991; C. GALLI (a cura), I controrivoluzionari. Antologia di scritti politici, Bologna, Il Mulino, 1981; P. CASANA TESTORE e N. NADA (a cura), L’età della restaurazione. Reazione e rivoluzione in Europa 1814-1831, Torino, Loescher, 1981.

[4] Immanenza vuol dire “presenza” del divino (o infinito ed eterno) nell’uomo e nella natura: non, dunque, come un “oltre”, come un al di là del piano umano e naturale, “trascendente”, bensì come intrinseco alla natura e in specie all’uomo.

[5] In prima approssimazione in Filosofia si chiama “idealismo” ogni filosofia che assuma come prima e assoluta realtà, o sul piano logico (Kant) oppure anche ontologico (d’”essere”) - come in Fichte, Schelling, Hegel e da noi Croce e Gentile - il pensiero pensante. E’ l’opposto del “materialismo”, per il quale il pensiero, come tutto quanto, deriva dalla materia; ma è diverso pure dallo “spiritualismo”, tipico dei monoteismi, che vede nello “spirito” e nella “materia” due realtà distinte (Dio e mondo, anima e corpo, eccetera), ora opposte o ora contigue, e però in ultima istanza irriducibili l’una all’altra.

[6] G. W. F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817 e infine 1830), a cura di B.Croce, Bari, Laterza, 1907; Lineamenti di filosofia del diritto (1821), a cura di G. Marini, Bari-Roma, Laterza, 1987. Ma qui si vedano soprattutto, di Hegel: Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G. Borruso, Roma-Bari, Laterza, 1983, tre voll. e Filosofia della storia universale (1822/1823), a cura di S. Dellavalle, Torino, Einaudi, 2001.

[7] Su ciò sono ancora fondamentali: K. LÖWITH, Da Hegel a Nietzsche (1941), Torino, Einaudi, 1949; La sinistra hegeliana. Antologia di testi, a cura dello stesso, Bari, Laterza, 1966.

[8] Si veda ad esempio la grande opera di E. GIBBON Decadenza e caduta dell’impero romano (1776/1788), sei vol., e Roma, Newton Compton, 1973, in cui il cristianesimo è considerato fondamentale per la dissoluzione dell’impero romano d’Occidente.

[9] I. KANT, Critica della ragion pratica (1788), a cura di F. Capra riveduto da E. Garin, Bari, Laterza, 1955.

[10] Il testo cit. di Marx del 1844 è in: Annali franco-tedeschi, a cura di G. M. Bravo, Milano, Edizioni del gallo, 1965, pp. 125-142; K. MARX, Opere filosofiche giovanili (“Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” – “Manoscritti economico-filosofici del 1844”, postumi, 1927), a cura di G. della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 1963; K. MARX – F. ENGELS, Il Partito e l’Internazionale, a cura di P. Togliatti, Roma, Rinascita, 1948; LENIN, Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione (1917, ma 1918), in “Opere complete”, vol. XXV, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 361-477; J. DEGRAS, Storia dell’Internazionale Comunista attraverso i documenti ufficiali, Milano, Feltrinelli, 1975, I.

[11] Su ciò rinvio a quanto ho scritto in: Coscienza e politica nella storia. Le motivazioni dell’azione collettiva nel pensiero politico contemporaneo, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 192-217, ma anche in: Sentieri di rivoluzione. Politica e psicologia dei movimenti rivoluzionari dal XIX al XXI secolo, Bergamo, Moretti & Vitali, 2010, pp. 117-146.

[12] B. RUSSELL, Pratica e teoria del bolscevismo (1920 e poi 1949), Milano, Longanesi, 1963.

[13] Su questa visione del comunismo - ma solo da Stalin in poi - come statolatria neopagana, e del nazifascismo come neopaganesimo con culto del Capo, quasi come divino e come profeta redentore, ha molto insistito Carl Gustav JUNG, specie in: Presente e futuro (1957), in “Opere”, Torino, Bollati Boringhieri, 1986, vol. X/2, pp. 101-156, e nel prezioso, per tali temi, volume Jung parla. Interviste e incontri (1972), a cura di W. McGuire e R.F.C. Hull, Milano, Adelphi, 1995. Su ciò richiama molti testi impressionanti Anna Lisa CARLOTTI, in: Adolf Hitler. Analisi storica delle psicobiografie del dittatore, Milano, Angeli, 1984.

[14] C. G. JUNG, in: Introduzione all’inconscio (1961), grande saggio che apre il vol. di AA.VV., L’uomo e i suoi simboli (1964), da lui stesso curato, Firenze, Casini, 1967, al proposito osservava: “Il mondo comunista, bisogna riconoscerlo, ha un grande mito (che noi chiamiamo un’illusione, nella vana speranza che il nostro superiore giudizio valga a farlo scomparire). Si tratta dell’antichissimo sogno archetipico di una Età dell’oro (o Paradiso), dove ci sarà abbondanza di tutto per tutti e grandi, giuste e sagge leggi a regolare una specie di giardino d’infanzia del genere umano (p. 85).” 

[15] F. FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo,  Milano, BUR, 2003.

[16] Si vedano: E. PACE, Il regime della verità. Mappa ed evoluzione dei fondamentalismi religiosi contemporanei, Bologna, Il Mulino, 1998; G. KEPEL, La rivincita di Dio (1991), , Milano, Rizzoli, 1991.

[17] Il Corano, Introduzione traduzione e commenti di A. Bausani, Milano, BUR, 1988.

[18] Per Mazzini si veda soprattutto: Scritti politici, a c. di T. Grandi, Torino, UTET, 1971. Per un’interpretazione politico-religiosa di Mazzini si veda: Roland SARTI, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile (1997), Roma-Bari, Laterza, 2000. Si veda pure: F. LIVORSI, Il pensiero politico e religioso di Mazzini, in: L. M. BASSANI  - S. B. GALLI – F. LIVORSI, Da Platone a Rawls. Lineamenti di storia del pensiero politico, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 315-327. Per Gandhi resta fondamentale: M. K. GANDHI, Teoria e pratica della non-violenza, a cura di G. Pontara, Torino, Einaudi, 1973; G. PONTARA, L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi, Torino-Roma, Gruppo Abele e L’Unità, 2008. Per i liberalsocialisti richiamati si veda: G. CALOGERO, Difesa del liberalsocialismo e altri saggi, a cura di M. Schiavone e D. Cofrancesco, Milano, Marzorati, 1972; G. CALOGERO, La filosofia del dialogo, Milano, Comunità, 1968; A. CAPITINI, Religione aperta, con Prefazione di G. Fofi e Introduzione e cura di M. Martini, Laterza, 2011; il n. unico del “Ponte” a. LIV, n. 10, 1998 di AA.VV. Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza; A. CAPITINI, Attraverso due terzi del secolo – Omnicrazia: il potere di tutti, a c. di L. Binni e M. Rossi. Di Fritjof CAPRA si vedano soprattutto: Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente (1982), Milano, Feltrinelli, 1984 e Verso una nuova saggezza (1988), ivi, 1988. Si veda in generale anche: F. LIVORSI, Il mito della nuova terra. Cultura, idee e problemi dell’ambientalismo, Milano, Giuffré, 2000 (per Capra alle pagg. 297-318).  

[19] Rinvio qui al mio romanzo: Kali Yuga. Il crepuscolo del nostro mondo, Bergamo, Moretti & Vitali, 2014.

03/03/2016 00:17:51
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