Ho incontrato Adelaide e la sua storia per caso, mentre mi occupavo di un’altra storia coeva: quella di Aleramo di Monferrato. Ed è stato amore a prima vista. La giovane regina vedova che, pur avendo una figlia ancora in fasce da preservare, trova la forza di ribellarsi, di resistere, di fuggire e fuggire di nuovo. Finché le sue sfortunate vicende finiscono come dovrebbero finire sempre quelle delle eroine: in gloria.
Un soggetto quanto mai accattivante per lo spirito romantico dell’800. Scegliendo soltanto fra i maggiori interpreti, la storia viene ripresa da Carducci, messa in rima da Barbarani, musicata da Rossini, e Malmusi ne trae un melodramma con cui inaugurare addirittura il nuovo teatro a Modena.
Ma Adelaide è tutta qui? Una donna romantica, che alla fine trova l’uomo dei suoi sogni? A giudicare dalle cronache dell’epoca, spesso scarne e avare di particolari, si direbbe di sì. Liutprando la cita nella sua Antapodosis, solo per dire che era graziosa e di onesti costumi. Roswitha di Gandersheim parla della sua vicenda, ma all’interno di un carme celebrativo delle imprese di Ottone, le Gesta Oddonis. Delle sue virtù muliebri traccia le lodi il monaco Siro nella Vita di san Maiolo. Persino il suo biografo “ufficiale”, Odilone di Cluny, nell’Epitaffio e poi nel Liber miraculorum, si sforza di orientare la raffigurazione di Adelaide in modo speculare, ma simmetrico rispetto alle interpretazioni che verranno dopo: moglie di Ottone sì, eppure anche sposa di Dio, per le tante opere di carità e i tanti miracoli che, a pochi anni di distanza dalla morte, nel 1097, la condurranno alla canonizzazione.
Sposa fedele, madre amorosa, donna devota. Ma, già in Odilone, emerge un’altra componente della sua personalità, che si afferma e si rafforza sempre più col progredire della sua vita. Adelaide non è soltanto la consorte dell’imperatore, quella che gli dà figli, che riceve gli ospiti ai banchetti di corte, riorganizza il viridario pavese oppure distribuisce elemosine e fa donazioni ai conventi. Lei è consors regni e, nel suo caso, il titolo rimane onorifico per poco.
Giusto il tempo di sfornare qualche erede, poi le notizie che abbiamo della regina-imperatrice si fanno progressivamente più frequenti. La troviamo sempre più spesso nelle premesse dei diplomi ottoniani, nei quali si fa sovente menzione di donazioni dietro cui s’intravedono la sua volontà e la sua mano. A lei si rivolge con deferenza Liutprando, dopo essere tornato dalla sua missione a Costantinopoli, nel 968, per concertare il matrimonio di Ottone II con la principessa Teofano. Di lei dice uno dei più grandi studiosi dell’epoca, l’arcivescovo Gerbert di Reims, definendola “madre del regno”. Herscherinnen und nonnen – “Sovrane e suore” – come recita il titolo di un saggio del 1990 compreso nella biblioteca dei Monumenta Germaniae Historicae, in cui s’indaga sulle figure femminili dall’epoca degli Ottoni agli Hohenstaufern.
Però, dopo la morte di Ottone I nel ’73, il contenzioso tra lei, il figlio e la nuora ci riporta indietro nel tempo. Nei contrasti sull’amministrazione dell’impero, nei dissidi con Teofano, nell’abbandono della corte per ritirarsi sdegnosamente in Borgogna e in quella riconciliazione con Ottone II che avviene tra genuflessioni e lacrime, ritroviamo di colpo l’Adelaide di Pavia. Quella giovinetta ardimentosa e caparbia, che non intese cedere a Berengario e che osò affrontare le paludi del Mincio.
Ecco, quella figura mi è cara. Ripercorrendone l’avventurosa vicenda, ho cercato di preservarla dalle tante ricostruzioni postume, mettendone in evidenza la personalità forte e complessa.
Una donna del Medioevo. Che potrebbe dire qualcosa anche a noi.