Appendice
Epitaphium Adalheidae imperatricis
Liber miraculorum[1]
Prefazione
Al venerabile abate Andrea e a tutti i frati a lui affidati, che servono devotamente il nostro Signore e Salvatore nel monastero di Pavia, il fratello Odilone, lordura dei monaci cluniacensi, augura gioia e prosperità in questa vita. Ci siamo presi cura di trasmettere al vostro cenobio l’epitaffio della nostra signora Adelaide, augusta imperatrice, vergato con povera penna, ritenendo che sareste stati felici che fosse rinnovato il pur mai sopito ricordo di lei, i cui zelo e carità hanno permesso la ricostruzione delle fondamenta del vostro monastero, e la cui prodiga e ininterrotta munificenza vi ha sostenuto.
Così, a questo fine, pur nei limiti del nostro linguaggio dimesso, abbiamo affrontato un argomento tanto elevato, non per esaurire le lodi di una donna così virtuosa e nobile, ma piuttosto, data l`importanza, per affidare poi a qualcuno veramente erudito il compito di portare a degno compimento con parole più elevate quanto noi abbiamo intrapreso, e sia così monito a imperatrici e regine, affinché, mentre odono grandi cose da grandi uomini, aspirino a seguire l’esempio di colei, di cui parliamo, sulla strada della virtù, e si prodighino nelle cure domestiche, come Adelaide si prodigò per lo Stato.
Morte
Nell’ultimo anno ormai della sua vita, ben sapendo, come crediamo, che stava per uscire dal mondo, amica come sempre della pace, per amore di questa e della carità visitò la terra natale, mentre i fedeli vassalli di re Rodolfo, suo nipote, erano in guerra tra loro; a chi poté, offrì accordi di pace e, dove non le fu possibile, come d’abitudine, affidò tutto a Dio. Per il resto, non si può esporre con quanta diligenza e devozione si preoccupò di visitare i luoghi dei santi.
Nello stesso periodo visitò il monastero di Payerne che lei stessa, in onore della Madre di Dio e per la salvezza dell’anima sua e della genitrice, lì sepolta, aveva onorevolmente fondato, sia con il suo patrimonio, sia con quello materno; e ai frati che qui servivano Dio, come era sempre stata solita fare e con mano generosissima, fornì ciò di cui avevano bisogno per le loro necessità temporali.
Dipartitasi da quel luogo, si diresse verso la terra degli Agaunensi, dove la sacra rupe dei martiri custodisce migliaia di corpi. Con quanta devozione, con quanta reverenza richiese il favore del grande martire Maurizio e dei suoi compagni? Quanti lamenti emise? Quanti sospiri? Quanti pianti? Quanti fiumi di lacrime?
Non ci fu mai alcun peccato, come crediamo, che allora non avesse meritato il perdono eterno. Infatti, se tu avessi osservato l’aspetto di Adelaide, avresti detto che era trasfigurata e, se con le labbra avesse pronunciato qualche parola, non avresti potuto pensare a nient’altro, se non che aveva espresso quel famoso detto del profeta: - Io do sfogo, innanzi a Lui, alla mia preghiera e grido la mia tribolazione. (Salmi, 141,3). E dalla sua caritatevole compassione per coloro che si allontanano dalla legge di Dio, proveniva la sua più grande tribolazione, tanto da poter dire con il profeta: - Vivo sdegno mi assale per gli iniqui (Salmi, 118,53) e, assieme a Paolo: - Chi è ammalato senza che lo sia anch’io? (2 Corinzi, 11,29).
Commiserava i peccati degli altri, come molti non possono piangere le proprie disgrazie. E pure nella sofferenza si rallegrava delle cose buone dei tempi passati; mentre ogni giorno si rattristava delle cose malvagie dei tempi presenti e soprattutto futuri….
Quindi si diresse verso la città di Ginevra, col desiderio di vedere la tibia del vittorioso martire, Vittore. Poi giunse a Losanna e qui venerò con molta devozione la Madre di Dio. Ricevuta con onore in questi luoghi dal re e dai vescovi, tutti suoi nipoti, arrivò in un villaggio chiamato Orbe. Essendosi fermata qui per parecchio tempo, distribuì il necessario ai bisognosi che sopraggiungevano in continuazione. Dopo aver parlato di pace e di onestà col re e con i principi, inviò poi diverse e varie offerte anche ai luoghi sacri. Infatti, quale chiesa, quali conventi di monaci, a lei uniti per affinità e vicinanza, quale di questi non avrebbe meritato di avere offerte e doni?
E per dir poco di molto, nello stesso momento in cui stava per morire, inviò doni personali, per quanto di modesta entità, al convento di padre Benedetto; parimenti anche a quello di padre Maiolo di santa memoria, già coronato della gloria celeste, il quale, finché era in vita, lei amava tra i benedettini innanzi a tutti i mortali. D’altro canto non dimenticò Cluny, convento a lei tanto familiare. Pertanto, allo scopo di restaurare il monastero di San Martino di Tours, che non molto prima era stato distrutto dal fuoco, destinò di lasciarvi non poco argento e, ad onore dell’altare, una parte del mantello di suo figlio, l’imperatore Ottone.
…Quindi, su ispirazione divina, giunse nel luogo dove avrebbe reso l’ultimo respiro a Dio. Era vicino il giorno in cui si faceva una devozione annuale in memoria di suo figlio, l’augusto Ottone. Dai luoghi vicini accorse a lei, come sempre, la folla dei poveri.
Adelaide aveva l’abitudine di distribuire ai monaci, negli anniversari dei suoi amici e famigliari, un donativo spirituale, un’elemosina per i poveri di Cristo. E in quel luogo era disposta ordinatamente una moltitudine di bisognosi. Ella stessa venne da costoro e, su esempio del patriarca Abramo, non dubitando che Dio fosse tra quelli, li onorò in umiltà e, dimentica della sua infermità, cercò di avvicinarsi oltre le sue forze. Di propria mano e ad uno ad uno, a quelli che vide più miserabili, dispensò vestiti e diede altri piccoli doni. Terminata questa caritatevole operazione, fece celebrare da un venerabile arcivescovo delle messe per il figlio.
Nella stessa notte fu assalita dalla febbre e in pochi giorni, aggravandosi l’infermità, giunse alla fine: sempre intenta nella preghiera, per quanto glielo permettessero le sue forze e, con gli occhi che anelavano a Cristo, nient’altro voleva mirare.
Essendo pertanto vicino il millesimo anno dall’incarnazione del Signore e avendo desiderio di vedere, dopo il 1000, il solo giorno che non conosce tramonto nella casa del Signore, diceva spesso assieme all’apostolo: - Desidero morire per essere con Cristo (Filippesi, 1,23).
Aspettando pure per allora, con la gioia dello spirito, la festa della Natività dello stesso Signore Gesù Cristo, essendo già passato il sedicesimo giorno del santo mese di dicembre ed avendo lei stessa deposto con gioia il peso della carne, volò verso l’immacolato splendore di un cielo purissimo.
Miracoli
…Rimanendo Adelaide un giorno in stanza, occupata in meditazioni celesti, e non essendoci altri testimoni che uno zoppo, un villico di nome Icemanno, a lei gradito per fedeltà e discrezione, ricevette in dono delle belle mele. Accettandole con espressione felice, amica com’era dell’allegria, ne prese una fra le molte e comandò al servitore di mostrarne altre simili. Ma accidentalmente una mela cadde a terra rotolando un po’ lontano; allora comandò immediatamente al servo zoppo di riportarla, ma questi rifiutava di obbedire poiché la padrona teneva le stampelle con le quali camminava.
Restando dunque questi riluttante e adducendo ragionevolmente l’infermità a motivo della disobbedienza, Adelaide, familiare coi santi, inchinò, infine, reverentemente il capo davanti alle venerabili reliquie che teneva sempre al suo cospetto e disse che voleva con sé i suoi santi affinché lo zoppo camminasse. All’invito, allora, il servo si alzò subitamente da terra e, obbedendo, divenne sano in tutto il corpo; e, nonostante l’ordine di mantenere il riserbo intorno a tanto prodigio, esternava la sua gioia e non poteva tenere nascosta tanta grazia.
…Al tempo in cui la beata Adelaide lasciò questa vita terrena, Erimanno, signore della Svevia, il quale aveva sposato la figlia del di lei fratello Corrado, reclamando il diritto all`eredità, pretendeva di accaparrarsi tutti i beni della defunta che erano di pertinenza del monastero di Seltz. Ma Adelaide confermò con manifesti segni ad Erimanno e al suo seguito che non riconosceva alcun erede al di fuori della Chiesa e dei monaci che la servivano.
Si trovava allora per caso presso lo stesso signore un uomo privato di recente della vista, un tempo esperto nell’arte del salasso e per questo nelle generose grazie della beata regina. E poiché per esperienza ne aveva conosciuto la prodigale beneficenza e la splendida santità, venendo al suo sepolcro per pregare, l’aveva invocata in suo aiuto con suppliche e pianti. Avendo ormai frequentato per tutta una settimana il luogo in cui si veneravano le sante spoglie di Adelaide, un giorno, restando stanco e triste sul pavimento e coll’animo sofferente, fu preso dal sonno. Allora in sogno gli apparve santa Adelaide con un volto assai bello al di là dell’umana natura, chiedendogli con voce terribile per quale motivo il suo signore Erimanno usurpasse con ingiuste pretese i beni personali degli apostoli.
A colui che proclamava la sua estraneità ed incolpava la tirannia del suo signore disse: - Vedi, se per merito mio riavrai l’uso della vista, di essere anche fidato latore del mio messaggio presso il tuo signore e di convincerlo con chiare parole e con la testimonianza della tua guarigione a deporre del tutto la sua malvagità. Altrimenti sappia che io e i miei signori, i dodici apostoli, giudici su tutto il mondo, perseguiremo il nostro diritto e conosca che egli e i suoi famigliari sentiranno il peso dell`inevitabile vendetta.
Dopo aver udito tali parole, svegliatosi improvvisamente, tonificato dal ricordo della visione e da quanto udito, s’avvicinò coi suoi piedi ancora intorpiditi al sepolcro dove, prostratosi con tutto il corpo, giacque così a lungo, pregando, fino a quando i monaci non iniziarono a celebrare la messa. Come il cantore intonò l’Introito, il cieco riebbe la vista e si unì al canto, manifestando così la sua gioia.
…Mi sembra inoltre che, per divulgare i meriti della santa, non si debba tacere di ciò che si sa esser accaduto ad un certo uomo. Questi, mentre attraversava un bosco, nel locale dialetto detto Biwalt. Per caso fu seguito da un cavallo che pascolava nei pressi fino alla fortezza di Seltz. Per la qual cosa l’uomo venne accusato da un potente signore di nome Aimone, che, nello stesso tempo, era colà convenuto con l’imperatore Enrico II.
Aimone, emettendo una sentenza certa per un reato dubbio, comandò che il condannato fosse miseramente spogliato, frustato e accecato. Il forestiero, non appena fu accecato, elevando al cielo le mani e i propri pensieri esclamò: - Se io, innocente del furto e della colpa, ho sopportato immeritatamente tanto male, tu, o santa Adelaide, restituiscimi per i tuoi meriti e per la tua intercessione la vista.
Dopo aver pronunciato tali parole, fu accolto con cura nella casa di un uomo di nome Bennone e dopo pochi giorni, calmatosi il dolore, si recò presso la teca in cui erano conservate le reliquie della santa, tesoro assai prezioso, e, a testimonianza della sua effettiva innocenza, riebbe colà l’uso degli occhi; ma con le pupille, per metà ancora offese, continuò a mostrare anche negli anni seguenti i segni della vera cecità dalla quale era stato miracolosamente guarito.