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Letture
Adelaide (6)
Giancarlo Patrucco

VI

 

Il pettirosso arrivava sul torrione ogni mattina,  subito dopo l’alba. Con un fruscio leggero si posava sulla grata della finestrella, serrando l’unica sbarra orizzontale fra le sue zampine. Poi si rassettava le piume delle ali e guardava dentro. Un’esplorazione breve, condotta più per abitudine che per paura. D’altronde non c’era molto da vedere, né da temere. La finestrella era l’unica apertura di una stanza circolare, fatta di pietra viva tenuta insieme dalla malta. Grossi sassi, appena sbozzati e malamente intonacati di un bianco che l’uso aveva reso grigio e sporco. Qua e là dal muro sporgevano dei ganci e una catena pendeva a mezza altezza dal soffitto.

Un posto squallido e anche un po’ tetro, che aveva tutta l’aria di un vecchio magazzino o di un’armeria apprestata per i difensori. Dentro, però, non c’era traccia di sacchi o di armi accatastate. Soltanto una vecchia cassapanca addossata a un lato, un letto all’altro,  e due botole tra soffitto e pavimento che rappresentavano le uniche via d’accesso al locale. Sotto la finestrella era stato sistemato un treppiede che reggeva un catino con una brocca al fianco. Poco discosti, due panchetti e una seggiola, piazzati davanti a un tavolino e, nell’angolo più distante, un secchio in legno.

Il pettirosso dava un’occhiata all’ambiente, muovendo il capino a scatti, su e giù. Poi  fissava la figura distesa nel letto e lanciava un piccolo trillo acuto, un ciurl breve, come un’interrogazione. – Che fai? – sembrava dire – ancora  lì?

Adelaide allora si sollevava sul giaciglio e fissava la sagoma affacciata alla finestrella. Poi si alzava e muoveva qualche passo a piedi nudi, guardando da sotto in su. A quel punto il pettirosso abbassava il capino e faceva uscire un altro ciurl. - C’è il sole fuori. Avanti, muoviti. Esci con me.

Adelaide l’osservava per un momento, quindi gli sorrideva e  alzava le braccia cercando di trattenerlo. Ma il pettirosso non aveva tempo. L’estate lo chiamava e lui doveva andare. Così restava a fissarla ancora qualche istante, poi si sollevava e con un ultimo trillo di commiato volava via verso il mattino.

Da quando era stata rinchiusa in quel torrione, ogni giorno cominciava così. Per essere sicura di non perderne il conto Adelaide era ricorsa al sistema delle tacche. Ogni sera, prima di coricarsi, ne aggiungeva una al muro sopra il letto. Un baffo fatto alla bell’e meglio, come aveva visto nel carcer di Papia.

- Vedi? – l’aveva canzonata Lotario allora. - I prigionieri contano i giorni proprio come i mariti.

Mai avrebbe immaginato che quello stratagemma le sarebbe potuto servire. Ma servire a cosa, poi? Per quanto ne sapeva lei, avrebbe potuto marcire lì dentro fino a diventare decrepita, continuando a segnare i giorni finché ci sarebbe stato posto sul muro. E, di posto, ce n’era tanto.

Non sapeva neanche bene come c’era arrivata. Ricordava gli armati che le sbarravano la strada, lo scarto del cavallo, la caduta nel campo. Poi, più niente. Soltanto un dolore lancinante alla testa, mani che la sollevavano e la sistemavano su un pancone duro, mentre altre mani le bagnavano la fronte. Di quel tormentato dormiveglia rammentava soltanto gli scossoni di un carro, il buio intorno e il dolore che le martellava ferocemente le tempie.

Quando si era svegliata già era lì, in quel torrione squallido e disadorno, con l’unica compagnia del pettirosso e di una spaventatissima Ingorde. Neanche la servetta  era riuscita ad aggiungere molti particolari. Soltanto che era stata prelevata in fretta e furia dal convento e caricata su un carrozzone coperto, dove aveva trovato Adelaide più morta che viva. Un brutto momento, a cui bisognava aggiungere la separazione da Brunello, che l’aveva buttata nel più nero tormento. Così, mentre la padrona giaceva febbricitante nel suo letto, Ingorde le piangeva accanto oppure  si lamentava rannicchiata sulla cassapanca dove trascorreva alla meno peggio la notte.

Anche dopo che Adelaide si era ristabilita le informazioni erano rimaste scarse. Per lei la botola era come se non esistesse. Ogni mattina, sul far dell’alba, qualcuno nella stanza sottostante faceva scorrere il chiavistello, un braccio nerboruto sollevava il coperchio e Ingorde scendeva per una scala a pioli. In genere faceva due viaggi. Col primo scendeva il secchio e riportava l’acqua perché Adelaide si lavasse; col secondo recuperava un vassoio con la colazione della sua signora. Pane, birra chiara e latte.

La stessa cosa avveniva per il pasto della sera, consumato ben prima che il sole si coricasse. Poi, più nulla. La botola veniva di nuovo serrata per essere riaperta soltanto alle prime luci del mattino seguente.

Adelaide aveva tentato in tutti i modi di resistere. Sulle prime aveva fatto sapere da Ingorde che le serviva un cerusico. Quindi era stata la volta di un prete. Quando le fu chiaro che non sarebbe arrivato nessuno dei due, aveva chiesto di poter parlare con un responsabile o, almeno, di potergli indirizzare una lettera. Alla fine si era rifiutata di mangiare e aveva rimandato indietro il vassoio intatto. Credeva di suscitare qualche apprensione, se non per la sua sofferenza, almeno per la sua vita. Ma i vassoi avevano continuato a salire e scendere intatti e tutto era rimasto come prima.

Così, quel giorno aveva deciso di calcare i toni. Volato via il pettirosso, si piazzò accanto alla botola e attese l’arrivo di Ingorde. Come la servetta risalì la scala con il vassoio, lei glielo tolse dalle mani e, lentamente, deliberatamente, lo fece volare di sotto con tutto il suo contenuto.

Continuò così durante tutto il giorno e quello appresso, finché, all’ora del vespro, dalla botola spuntò la figura di un uomo già avanti negli anni, ben curato nel vestire e ben messo nell’aspetto. L’uomo si guardò intorno con circospezione, poi salì gli ultimi scalini e si fece avanti.

- Signora - disse togliendosi il cappello e abbozzando un inchino cerimonioso – sono il comandante di questa piazzaforte. I miei uomini dicono che, ultimamente, c’è stata qualche …ehm…incomprensione tra voi.

Adelaide gli si parò davanti a braccia conserte e con gli occhi che facevano scintille. – Incomprensione?! – urlò furibonda. - Mi segregate in questa torre e parlate di incomprensione? Non avete alcun diritto di tenermi rinchiusa qui. Voglio, anzi pretendo di essere lasciata libera. Subito, e senza incomprensioni.

 Di fronte a quello sfogo il comandante arretrò di qualche passo, imporporandosi. Poi, sforzandosi di riacquistare un contegno, riprese con decisione: - Non è in mio potere accontentarvi, signora. Se siete qui, è per volere del re.

- Un re menzognero - sibilò Adelaide sputando le parole.

- Ma sempre un re  - replicò il comandante stringendosi nelle spalle. - Che va ubbidito. E i suoi ordini sono di vigilare strettamente su di voi. Pena la vita.

- Allora fatemi parlare con lui. O, almeno, fatemi avere l’occorrente per scrivergli.

Il comandante si strinse nuovamente nelle spalle. – Neanche questo posso, signora – disse scrollando il capo. – La consegna è chiara: non potete uscire, e neppure comunicare o ricevere visite.

- Nemmeno per assistere alla Santa Messa? O per avere il conforto di un confessore?

- Neanche. Non dovete vedere nessuno e nessuno deve vedere voi.

Quelle parole risuonarono nella testa di Adelaide come una sentenza. Evidentemente Berengario la voleva viva, ma nell’impossibilità di nuocergli.  Se non avesse ceduto,  sarebbe rimasta chiusa lì dentro per sempre.  Finché, col tempo, sarebbe stata dimenticata e qualcuno, una notte...

Quel pensiero le fece gelare il sangue. Lei aveva una vita da vivere, una figlia da crescere, parenti da rivedere, luoghi da conoscere. Non poteva finire così, segregata in un torrione in capo al mondo!

Sentendosi perduta, vacillò per un momento.

- Signora! – esclamò il comandante facendosi avanti per sostenerla. – Voi non vi sentite bene…Non avete ancora recuperato le forze…

- E` solo un momento di debolezza – si sforzò di dire lei mentre l’uomo l’accompagnava premurosamente verso un panchetto. – Colpa di questo posto e…di questo caldo – aggiunse sedendosi e accettando la tazza d’acqua che lui le porgeva.

- Avete ragione - osservò il comandante mentre cercava di farle vento col cappello. - Fa caldo. Però qui siamo in altura e l`aria del lago mitiga il clima…

- Lago, avete detto? - lo interruppe Adelaide con una nuova vivacità nello sguardo. - Siamo su un lago, dunque?

Il comandante si ritrasse nuovamente. - Neanche questo dovreste sapere - bofonchiò guardandosi la punta delle scarpe imbarazzato.

- Suvvia - fece lei mettendogli una mano sul braccio. - Io in riva a un lago ci sono nata. E a saperlo, che male c`è? Non sono forse qui, nelle vostre mani?

Il comandante la scrutò titubante. - Ecco - ammise con riluttanza - credo proprio che non ne possa venire alcun male…Finché siete qui.

- Allora ditemi: come si chiama? - lo incalzò Adelaide, rivolgendogli uno dei suoi luminosi sorrisi.

- Il lago? Un tempo era il Benaco ma ora viene chiamato Garda, dal nome di questa rocca che lo sovrasta.

- Allora è piccolo?

- O no! Al contrario. E` molto grande. Qui però siamo nel punto più alto e, quando la giornata è serena, l`occhio arriva fino all`altra costa.

- Ah, come mi piacerebbe vederlo! - esclamò lei guardando la finestrella superiore.

- No - obiettò lui seguendo il suo sguardo. - Non da quella finestra. La rocca è fitta di vegetazione. Poco sotto il pianoro però c`è una grotta e il panorama che si gode di lì è incantevole.

- Incantevole! - ripeté Adelaide con gli occhi lucidi per la commozione. - Sapete, anche il lago di Ginevra, dove sono nata, ha un panorama incantevole. La brezza leggera dell`alba, la foschia che si alza sull`acqua, il richiamo delle gallinelle, lo stridio dei gabbiani…

- Come qui - disse il comandante con una punta di orgoglio nella voce. - Non potevate descriverlo meglio. Tutto uguale.

-  Allora, potrei vederlo? - chiese Adelaide. - Almeno una volta. Dalla grotta di cui mi avete parlato, nessuno mi vedrà.

Il comandante rimase in silenzio, rigirandosi il cappello tra le dita pensieroso.

- Vi prego - lo sollecitò lei sommessamente, appoggiandogli di nuovo la mano sul braccio. - Vi prometto che sarò assennata e…non tirerò più vassoi.

L`uomo accennò un sorriso. Poi, turbato da quella preghiera accorata, le strinse la mano nelle sue.  - Fatemici almeno pensare - disse. - La grotta comunica con la fortezza e potreste arrivarci non vista. Quello che mi preoccupa è il rischio, il pericolo…

- Che possa fuggire? - l`interruppe lei. - E per andare dove, di grazia?

- No, non penso a una fuga. Esiste pure una specie di sentiero, che scende alla grotta aggirando il dirupo. Però è cedevole e molto rischioso. Non credo proprio che potreste andarvene di lì.

- E allora, dove sta il pericolo?

- Nel posto, signora, nel posto. La grotta è quasi a strapiombo sul lago e bisogna essere molto accorti per evitare di cadere giù.

 In effetti, le preoccupazioni del comandante si rivelarono ben fondate. La grotta era una caverna naturale piuttosto spaziosa, con il fondo scabro fatto di roccia viva. Quando Adelaide ci arrivò, accompagnata da Ingorde e scortata da un armato, vide che l`ambiente era confortevole e c`erano persino alcune sedute, ricavate nella pietra. Quello che attirò il suo sguardo, però, fu il vano d`uscita, da cui si vedeva uno squarcio di cielo azzurro e si sentiva giungere la brezza del lago.

Dimenticando gli ammonimenti del comandante, uscì quasi di corsa e si fermò di botto, arrestandosi proprio sul ciglio del burrone. Sotto di lei l’erta cadeva a picco nell’acqua, dove la risacca sciabordava contro la riva. Un sasso si mosse sotto i suoi piedi, rotolò lungo il bordo e ne smosse altri che piombarono giù a capofitto, ingoiati da un mulinello scuro. Con il cuore che le martellava furiosamente in gola, Adelaide fece un balzò indietro e si appiattì contro la parete della rupe, madida di sudore e incapace di fare un solo gesto, se non un rapido segno della croce.

Ci volle un po` perché riuscisse a tornare sui suoi passi e qualche tempo in più per prendere confidenza con quell`ambiente aspro e primitivo. Come il comandante aveva detto, sulla destra dell`apertura c`era un passaggio angusto che s`inerpicava verso la cima, costeggiando il vuoto. Un sentiero da capre, non certo adatto ad una fuga, ma che testimoniava come la grotta fosse nota già nei tempi andati.

Esplorandola Adelaide ebbe modo di constatare che altri, prima di lei, avevano trovato lì un riparo e un rifugio. Verso il fondo, infatti, la parete era costellata di pitture; per lo più semplici incisioni rozzamente tracciate sulla pietra, ma qua e là risaltavano disegni più elaborati, con figure pictae, racchiuse in cornici floreali. In genere riprendevano scene di pastorizia o di caccia; in un angolo, però, c`era l`immagine appena abbozzata di una Madonna, col Bambino in braccio e l`aureola in capo. Al suo cospetto Adelaide s`inginocchiò e recitò le orazioni, col viso supplice rivolto verso il dipinto.

Da allora, ogni giorno attendeva nella cella del torrione con trepidazione. Non sempre la sua attesa era soddisfatta, ma spesso la botola si apriva e una guardia si sporgeva, facendole segno di raggiungerla. Dal piano basso si scendeva ancora, si oltrepassava una porta in ferro ed ecco lì, davanti a lei, la sua piccola porzione di Paradiso.

Ingorde si accomodava su una seduta interna, la guardia invece prendeva posizione fuori, lungo il sentiero. La servetta portava sempre con sé qualcosa da rassettare o da cucire, mentre l`uomo si addossava alla parete del dirupo e se ne stava seduto, baloccandosi con qualche sasso oppure intagliando un legno con il pugnale. Adelaide, allora, poteva avere il lago tutto per sé.

Con l`aiuto di Ingorde aveva ammucchiato alcune pietre, riunendole appena fuori l`imboccatura. Accomodandosi su quel sedile improvvisato, si appoggiava alla parete dell`erta e contemplava quel panorama grandioso come se fosse seduta sopra un loggiato.  A diritta il lago si restringeva in una lingua di terra scura, che affondava come una punta di lancia nelle acque chiare. Sotto la punta, nell’insenatura, s’intravedevano i tetti di alcune case e delle barche in sosta alla marina.

Adelaide provava una gioia infantile quando qualche barca si staccava da riva, issava la piccola vela e filava via tra due baffi di spuma. Le sembrava di essere  tornata a casa e seguiva trepidante il piccolo guscio, attenta alle sue evoluzioni e cercando di indovinarne la direzione. La riva occidentale era molto lontana e le barche vi s’indirizzavano raramente. Generalmente bordeggiavano sotto costa,  avanzando con lentezza e sfilando praticamente sotto i suoi piedi. A volte, però, si portavano al centro, dove la corrente era più forte. Allora correvano sul vento, con la vela tesa, incontro ad una macchia verde d’alberate che segnava il limite del lago a meridione.

Al tramonto tornavano indietro, mentre il sole si abbassava sempre più verso l’altra costa e i suoi raggi s’immergevano nell’acqua, traendo bagliori rossastri dalle increspature. Allora Adelaide si parava gli occhi con le mani e guardava gli uccelli sciamare in voli vorticosi, prima di planare verso le insenature, all’abbeverata.

Il sole calante, però, voleva dire anche la fine del suo soggiorno all’aperto. La guardia si alzava con indolenza, Ingorde rimpacchettava le sue cose e lei si avvicinava alla Madonnina dipinta, raccogliendosi in un’ultima preghiera. Quel diversivo migliorava le sue giornate, ma non cambiava nulla del suo stato. Prigioniera era e prigioniera sarebbe rimasta, finché fosse piaciuto a Dio. Per questo nelle sue orazioni  lo implorava di custodire la piccola Emma, di vigilare su Corrado, su Berta e su tutti i famigliari che l’attendevano in Borgogna. Alla fine chiedeva la grazia di essere salvata, tratta da quella rupe inaccessibile per tornare a vivere una vita normale.

Ormai non ci sperava più di tanto, ma un giorno le sue preghiere vennero esaudite. Si era trattenuta come al solito su quella specie di balconata finché, al tramonto, si avvicinò alla Madonnina per le consuete orazioni serali. Aveva ancora negli occhi il sole e la luce rossastra del lago per cui, sulle prime, non si accorse di nulla. Inginocchiandosi, però, ebbe modo di notare un’iscrizione, frettolosamente scarabocchiata sotto la figura. La scoperta l’incuriosì perché era certa di non averla mai vista prima. Allora si avvicinò e, con un po’ di fatica, riuscì a decifrarla. Diceva così: “Deus iustos adiuvat”. Dio aiuta i giusti.

Il cuore le fece un balzo in petto e riuscì con fatica a trattenere l’urlo che le premeva in gola. Dunque, l’avevano trovata. C’era qualcuno che si era dato la pena di cercarla e di scriverle, per farle sapere che non era sola. Là fuori, aveva amici che pensavano a lei! Quella constatazione la fece sentire euforica, leggera, finalmente sgravata dalla cupa oppressione che l’aveva accompagnata nella fuga verso Como e poi lì, in quella galera.  Non si erano dimenticati e chissà che, Deo juvante, avrebbe potuto riassaporare la libertà.

Stava per precipitarsi a chiamare Ingorde quando vide la sagoma della guardia profilarsi all’ingresso della grotta. Allora fu assalita dal panico. Era meglio che nessuno vedesse quelle parole, nessuno si accorgesse del cambiamento, soprattutto, nessuno si avvicinasse a quel muro. Doveva comportarsi normalmente. Sforzarsi di apparire contegnosa, riservata e afflitta come sempre. Era troppo importante che nessuno sapesse, e nemmeno intuisse, cosa si stava preparando. Così si affrettò ad alzarsi e si scostò dal dipinto con aria compunta, come se niente fosse, anche se la testa le rintronava come una campana e il cuore faceva le capriole per la felicità.

Quella notte non dormì. Si girò e si rigirò nel suo letto sul torrione, continuando a pensare alla scritta sotto la Madonnina. Nella grotta era stata subito  certa che fosse destinata a lei, ma ora non ne era più così sicura. Mille dubbi l’assalivano e la tormentavano. E se ci fosse stata anche prima? Se fosse stata lasciata da un visitatore ormai lontano e lei l’avesse trascurata, tutta presa dai suoi pensieri? Potevano essere passati anni da quando qualcuno l’aveva scarabocchiata sul muro, pensando a chissà chi. E poi, se anche fosse stata rivolta a lei, era sicura che si trattasse di amici? Non poteva essere un gioco perverso, di qualcuno che aveva interesse ad illuderla per piegare meglio la sua determinazione? Lo stesso Berengario magari, o forse Willa, che sapeva coltivare la perfidia come una virtù?

D’altronde, non poteva fare altro che illudersi. Aveva troppo bisogno di aiuto per trascurare un’occasione, per quanto vaga e impalpabile fosse. Così cercava di respingere i dubbi, aggrappandosi alla speranza che, se aveva veramente qualche amico là fuori, si sarebbe fatto vivo di nuovo. Ma le domande riprendevano, turbinando nella sua mente fino alle prime luci dell’alba. Fu così che nemmeno vide il pettirosso appollaiarsi sulla finestrella, e si aggirò nervosamente nella stanza con l’occhio fisso alla botola che sembrava non aprirsi più.

Quando  la guardia comparve facendole segno, quasi la travolse nell’ansia di arrivare alla grotta e di vedere con i suoi occhi se doveva sperare oppure no. Trattenendo l’impazienza uscì all’aperto come al solito, poi, appena i suoi accompagnatori si furono sistemati, rientrò, sbirciando con fare noncurante la pittura. Sotto la prima scritta ora ne compariva un’altra. Sempre tre parole, che dicevano così: “Ibi, ad vesperum”. Qui, nell’ora del vespro.

Quella scoperta la rese ancor più felice dell’altra. Ma fu una felicità più contenuta, più composta, perché era la promessa di una liberazione vicina e la conferma di tutte le sue speranze. Qualcosa da conservare nel profondo e da assaporare lentamente, come da bambina gustava i frutti del bosco durante le passeggiate. Così si sistemò sul suo loggiato e si perse nelle acque del lago, con le lacrime agli occhi e in bocca un vago sapore di more.

Da quel momento, però, tutte le sere avrebbero potuto essere quella buona e Adelaide cercò di prepararsi al meglio. Con la scusa che la grotta era umida impose ad Ingorde di portarsi dietro i mantelli. Poi prese l’abitudine di tenere al polso il braccialetto di Lotario e di munirsi  del suo salterio miniato, le uniche cose  che era riuscita a salvare dalla fuga per Como.

Ingorde la guardò con curiosità e anche la guardia osservò quei cambiamenti con una certa diffidenza. Nei giorni seguenti, comunque, non successe nulla di anormale e le uscite sul lago ripresero come prima. Finché un pomeriggio, verso l’imbrunire, si sentirono improvvisamente dei rumori. Adelaide era appena rientrata per le preghiere e Ingorde stava preparando le sue cose quando, all’imbocco della grotta, si stagliò una figura. Non era la guardia bensì un ometto mingherlino, con il corpo magro avvolto in una tunica marrone e la faccia da furetto in cui brillavano due occhi ardenti come carboni.

Ingorde cacciò un urlo, spaventata. L’ometto si girò a guardarla, poi i suoi occhi si appuntarono su Adelaide che lo fissava. Allora le si avvicinò svelto. – Domina – disse, prostrandosi a baciarle i piedi – ad vesperum veni.

- Siete voi! – esclamò Adelaide con la voce rotta dall’emozione. – Dunque, siete voi quello delle scritte!

- Sì domina – confermò l’ometto ancora prostrato. – Indegnamente ai vostri piedi.

- Che Dio vi benedica allora – disse Adelaide prendendolo per le braccia e facendolo rialzare. – Ma ditemi, come avete fatto a trovarmi quassù?

- E’ una storia lunga – disse l’ometto – e non c’è il tempo di raccontarla. – Poi si girò verso l’imboccatura della caverna, dove un’altra figura era comparsa. – Vedete? – aggiunse indicandola. – Ci aspettano. Dobbiamo andarcene subito, prima che…

Non finì la frase, ma ad Adelaide bastò così.  In fretta e furia raccolse il suo salterio, prese il mantello dalle mani di Ingorde e si avviò verso l’uscita, spingendo davanti a sé la servetta ancora sbalordita per la sorpresa.

- Andiamo, presto –  disse. Poi si fermò di colpo e si girò verso l’ometto che la seguiva. – E la guardia? C’era una guardia sul sentiero!

L’altro sorrise. – Avrà un bel mal di testa domani – rispose. Poi aggiunse con un sogghigno: - Se non la perderà del tutto.

Un’ombra passò sul viso di Adelaide. – Già – commentò. – Ci avrebbe sbarrato la strada altrimenti.

- Ma non passeremo di lì comunque – osservò l’ometto. – Risalire l’erta ci esporrebbe in vista della rocca e verremmo scoperti subito. – Poi prese Adelaide per il gomito e cercò di farla piegare a mancina.

Lei si ribellò. – Ma da questa parte c’è il dirupo! – protestò immobilizzandosi sulla soglia. – Non si può scendere né salire, di qui!

Allora l’ometto fece un passo avanti e indicò qualcosa, tendendo la mano nel vuoto. Poi prese Adelaide per un braccio e l’attirò dolcemente verso di sé. - Vedete quella corda – disse? – Guardate bene. Dovete solo sporgervi un po’.

Madida di sudore e con gli occhi sbarrati dalla paura, Adelaide si mise ginocchioni e si avvicinò all’orlo del burrone, sporgendo la testa oltre il bordo. Sulle prime, come nel peggiore degli incubi, vide solo il vuoto e, in fondo, l’acqua del lago che sembrava attenderla minacciosa. Poi, risalendo la rupe con lo sguardo, si accorse di una corda, chiusa a cappio intorno a uno spuntone roccioso, con i due capi che penzolavano sotto i suoi piedi.

“Scendere di lì?!”. Non se ne parlava neanche. Per tutto l’oro del mondo e per tutti i regni d’Europa. Meglio, molto meglio restare una vita in prigione piuttosto che fare un passo, un solo passo di più. E, per dare più forza al suo proposito, si tirò indietro di scatto, addossandosi alla parete della grotta con le mani che tremavano e i denti che battevano per la tensione.

Ci volle del tempo all’ometto per riuscire a tranquillizzarla un poco. Quando si fu calmata, la guidò ancora sul bordo. – Ecco, vedete – disse tendendo il braccio all’ingiù. – Non si tratta di scendere in fondo, ma soltanto di calarsi fino a quella cresta laggiù. Di lì, l’erta spiana verso la riva.

Seguendo la mano tesa e sforzandosi di ignorare il vuoto, Adelaide vide che, effettivamente, nel punto indicato dall’uomo c’era una cengia, uno stretto ripiano roccioso che si perdeva oltre l’angolo della rupe. Ma le sembrò incredibilmente lontano. Irraggiungibile, almeno per lei.

- Vi sembra lontano perché avete paura, ma non dovete temere. A sostenervi penseremo noi – la confortò l’uomo, indicando se stesso e il suo compagno.

Così, con le mani sbiancate per lo sforzo e la faccia stravolta dal terrore, Adelaide si trovò penzoloni dalla fune. Per darle coraggio l’ometto aveva mandato avanti il suo compagno, appaiato ad Ingorde. In quel modo Adelaide aveva avuto la possibilità di vedere bene la loro discesa, traendo conforto dal sostegno che l’uomo dava alla servetta e dalla rapidità con cui entrambi arrivarono a mettersi in salvo. Con i piedi ben fermi sulla cresta, Ingorde le mandò addirittura un saluto con la mano.

In effetti fu un’impresa meno ardua di quanto avesse temuto. La corda era di canapa robusta, ben intrecciata e cosparsa di nodi. L’ometto regolava i movimenti sui suoi, restandole sempre abbastanza vicino per sostenerla e accompagnarla nella discesa. Quando toccò la cengia coi piedi, ne fu comunque sollevata. Poi, vergognandosi un po’ delle sue paure, si affrettò a seguire la sua guida, che la sollecitava.

Percorsero un sentierino nascosto in mezzo alla verzura e in pochi minuti furono in riva al lago. Lì, nascosta in una piccola baia, c’era una barca uguale a quelle che tante volte aveva visto solcare le acque dall’alto della sua balconata. Da lassù le erano sembrate piccole, fragili, minuscoli gusci  ondeggianti sempre in lotta con le correnti. Quella che aveva davanti, però, le apparve grande, e bella oltre ogni dire. D’altronde, non era parsa bella anche a Noè l’arca destinata a salvargli la vita?

Comunque fosse, la comparsa della barca cambiò qualcosa anche nel gruppo dei fuggitivi. L’ometto che si era fatto avanti per primo, nella grotta, e che aveva guidato la fuga, si accucciò a prua accanto alle due donne. Il suo compagno silenzioso, invece, prese il comando dell’imbarcazione. Come uno del mestiere, recuperò la zavorra, si mise agli scalmi e, con pochi colpi di remo, si staccò da riva. Poi, quando lo scafo cominciò a sentire la corrente, ritirò i remi e issò la piccola vela, dirigendosi verso il centro del lago.

 - Credevo che avremmo navigato sottocosta – disse Adelaide memore delle lunghe ore passate a guardare barche come quella. – Andiamo forse dall’altra parte?

L’ometto, che le stava seduto accanto, fece di no con la testa. – Non abbiamo niente da fare là – disse. – Romualdo prende il largo per sfruttare la corrente, ma la nostra direzione è a meridione. Navigheremo lungo il fiume Mincio e passeremo oltre la sua palude. Poi, con l`aiuto di Dio, prenderemo finalmente la strada di casa.

- Casa? – ripeté Adelaide. – Credevo che voi foste già a casa, da queste parti.

L’ometto scrollò nuovamente la testa. – Avete ragione – disse allargando le braccia in un gesto di scusa. – Nella concitazione non vi ho detto niente di me. Forse perché c’è poco da dire – aggiunse con un sorriso. – Io sono effettivamente nato su questo lago, ma da molti anni vivo a Reggio.

- Per quanto ne so, Reggio è lontana – osservò Adelaide. – Dunque, come mai qui?

L’ometto sospirò. – È stato il mio buon padre, il vescovo Adelardo, a mandarmi…

- Adelardo?! – esclamò Adelaide. – Ricordo che Lotario nominò un vescovo con questo nome. Ebbi modo di vederlo qualche volta, a corte.

- Sì – osservò l’ometto. – Un uomo retto e giusto.

- Sia benedetto anche lui allora – interloquì Adelaide. – Ma come avete fatto a…

- A trovarvi? – disse l’ometto completando la frase per lei.  Poi allargò le braccia e le sorrise. - Deus iustos adiuvat – disse, ripetendo la frase che aveva scritto sotto la Madonnina. – Certo, non pensavo mai che le mie preghiere sarebbero state esaudite così rapidamente.

- E così felicemente – aggiunse lei stringendogli affettuosamente le mani tra le sue. – Troverò il modo di ricompensarvi, ma ditemi almeno il vostro nome.

- Avete ragione – osservò l’ometto, battendosi una mano in fronte. – L’eccitazione mi ha fatto scordare le buone maniere. Mi chiamo Martino e ricopro, del tutto indegnamente, l’ufficio di diacono nell’ecclesia maior di Reggio.

- Martino! – esclamò Adelaide pensosa. – Sapete: nella mia fuga verso Como ho pregato proprio l`effigie di san Martino! É certamente un segno di Dio!

- Purtroppo io non ho nemmeno il mantello – si schermì l’ometto a disagio.

- Ma è come se lo aveste dispiegato sotto i miei piedi – disse Adelaide indicando la rocca di Garda che svaniva all’orizzonte. – Siete voi che mi avete tratto di là e mi portate a salvamento.

Martino arrossì fino alle orecchie. Poi, sempre più imbarazzato, provò a dire: - Per ora non ho risolto ancora nulla. Ci resta molta strada da fare.

Adelaide, però, era troppo felice per preoccuparsi e scrollò le spalle. – Noi la percorreremo – disse sorridendo.

- La palude è insidiosa. Dovrete stare molto attenta…

A quel punto Adelaide gli mise una mano sul braccio e avvicinò il viso a quello di lui. – Martino – disse con voce carica di amarezza – è una vita ormai che sto attenta. Quanto alla palude, in questi mesi sono stata infangata molte volte. Che volete che faccia un po’ di fango in più? – Quindi, per nascondere il suo turbamento, si girò verso la costa che si avvicinava.

 

18/12/2009 12:00:00
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Patrizia Gioia
E vabbè, è così, proprio così, non lo voglio finire questo libro di Michael Uras (“Io e Proust”, Voland editore, 2014), mano a mano che i numeri delle pagine salgono ( o scendono) anche la mia notte ha meno riparo. Cosa c’è di più bello che andare a letto con qualcuno che ti piace? E cosa meglio...
19.09.2015
Giorgio Marenco
Tecniche e malizie del combattimento individuale. L'immagine del combattente in armatura è ricca di suggestioni e racchiude in sé una forte carica evocativa. L’uomo coperto di piastre metalliche rimanda subito ai cavalieri di antiche leggende ed è, infatti, uno dei simboli più utilizzati per rappresentare...
 
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
I Era notte fonda e la città di Papia dormiva, distesa sul suo pianoro accanto al fiume, raccolta fra le mura. Come spesso accadeva in quelle zone, l’inizio della Quaresima di quell’anno del Signore 951 aveva coinciso con un tempo incerto, bizzoso, sospeso tra le avvisaglie di un acquazzone che non arrivava...
 
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
II Quando era in attesa di Emma, Adelaide aveva preferito traslocare verso la zona interna del palazzo, che aveva il pregio di essere più appartata. Lì si era sistemata in una grande camera, comunicante con un locale più angusto, ma caldo e luminoso, che era stato destinato alla bambina. In quel...
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
III La porta Marinca apparve quando ormai Adelaide non ci sperava più. La prima parte di quella nottata infernale l’aveva passata districandosi nel cunicolo sotto la cappella, e non era stata la parte peggiore. Infatti, appena arrivata a san Colombano, non aveva avuto neanche il tempo di riprendere...
 
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
IV Adelaide era sicura che prima o poi sarebbero andati a sbattere contro qualche pianta, oppure il carro sarebbe sprofondato in una delle tante rogge che le ruote bordeggiavano pericolosamente. Ne era così certa che si teneva con tutte due le mani al sedile, pronta a saltare giù al primo urto o al...
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
VQuando la carretta si mise in marcia per lasciare la casa di Taso, il sole si era levato da un pezzo. Soltanto il giorno avanti Osmund avrebbe sbuffato, recriminato e sbraitato ordini, lamentandosi del ritardo. Quel mattino, invece, aveva manifestato un umore completamente diverso. Si era aggirato...
 
18.12.2009
Giancarlo Patrucco
VI Il pettirosso arrivava sul torrione ogni mattina, subito dopo l’alba. Con un fruscio leggero si posava sulla grata della finestrella, serrando l’unica sbarra orizzontale fra le sue zampine. Poi si rassettava le piume delle ali e guardava dentro. Un’esplorazione breve, condotta più per abitudine che...
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Alessandro Gassman e Marco Giallini sul grande schermo ...
Al Teatro Sociale tornano i tanto attesi appuntamenti del Sabato Pomeriggio in Famiglia quest'anno una...
Segnaliamo un articolo comparso sulla rivista economiaepolitica.it in cui si sostiene la tesi che le...
Segnaliamo un interessantissimo articolo di Rosa Canelli e Riccardo Realfonzo sulla crescente disuguaglianza...
Il Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio annuncia che il Gruppo di Lavoro Tecnico-Scientifico...
Segnaliamo un interessantissimo articolo del prof. Felice Roberto Pizzuti docente di Politica Economica...
I MARCHESI DEL MONFERRATO NEL 2018 Si è appena concluso un anno particolarmente intenso di attività,...
Stephen Jay Gould Alessandro Ottaviani Scienza Ediesse 2012 Pag. 216 euro 12​ New York, 10 settembre...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/diritti/scuola-sanita-e-servizi-pubblici/servizio-sanitario-nazionale-a-prezzo-regionale-il-paradosso-del-ticket/...
Segnaliamo, come contributo alla discussione, un interessante articolo comparso sul sito “Le Scienze.it” Link:...
Il Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato” presenta il suo nuovo progetto per il 2018: le celebrazioni...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/la-ripresa-e-lo-spettro-dellausterita-competitiva/...
DA OGGI IN RETE 2500 SCHEDE SU LUOGHI, MONUMENTI E PERSONAGGI A conclusione di un intenso lavoro, avviato...
Segnaliamo il libro di Agostino Spataro, collaboratore di Cittàfutura su un argomento sempre di estrema...
Memoria Pietro Ingrao Politica Ediesse 2017 Pag. 225 euro 15 Ha vissuto cent’anni Pietro Ingrao...
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