IV
Adelaide era sicura che prima o poi sarebbero andati a sbattere contro qualche pianta, oppure il carro sarebbe sprofondato in una delle tante rogge che le ruote bordeggiavano pericolosamente. Ne era così certa che si teneva con tutte due le mani al sedile, pronta a saltare giù al primo urto o al minimo accenno di ribaltamento. L’acqua era quella che le dava più da pensare perché non le era mai piaciuto nuotare e non aveva mai voluto imparare sul serio. Suo fratello, in Borgogna, l’accompagnava al lago d’estate, ma lei si limitava a sciaguattare sulla riva e a scappare quando Corrado voleva trascinarla dentro. Dopo tanti tentativi e innumerevoli strilli, aveva imparato a fare “il morto”, ma quel nome le era sempre sembrato di cattivo augurio; un presagio di quello che le sarebbe successo se avesse avuto bisogno di farlo sul serio.
D’altronde, quei posti non avevano niente del suo lago. Là il terreno scendeva in declivio fino alle sponde, con una vegetazione rada, fatta di canne e di giunchiglie. L’onda giungeva pigra e sciabordava lenta, accarezzando i ciottoli della riva per poi ritrarsi dolcemente. In ogni momento si potevano vedere i propri piedi e, soprattutto, scegliere dove metterli. Dentro a quella foresta, invece, l’acqua appariva all’improvviso, luccicando tra le piante. A volte era uno specchio plumbeo, immoto e profondo come lo Stige dell’Inferno; in altri casi si trattava di un fossato turbinoso e spumeggiante, che incideva il bosco come una ferita. E il carro passava sempre troppo vicino, troppo inclinato, troppo veloce. Adelaide doveva farsi forza per non strillare, a cassetta.
In compenso, si lamentava. Prima con Bastiano, che era troppo assorto nella guida per risponderle; poi alzando la voce affinché potesse giungere ad Osmund, che cavalcava davanti. Anche in questo caso, con scarsi risultati. Alla locanda l’avventuriero era stato gentile, servizievole, persino galante. Aveva accompagnato il pasto con un conversare compito e, in modo discreto, aveva badato a che lei fosse assistita con ogni riguardo. Dopo aver risalito il cammino, però, ed essersi addentrati nella foresta, era tornato l’uomo taciturno e scostante di sempre. Anche di più, se mai fosse stato possibile.
Sordo ad ogni lagnanza e refrattario ai disagi di quel viaggio, avanzava imperturbabile nell’intrico della boscaglia, trovando sempre un sentiero, una radura, un ponte di tavole su cui avviare il carro e far procedere la comitiva per un altro tratto. Più la foresta si stringeva a barriera e più Osmund sgusciava fra i tronchi, s’incuneava nelle macchie, passava oltre i rovi, emergendo sempre, dall’altra parte, su un nuovo sentiero dal quale spronava i compagni a raggiungerlo.
Si vedeva che il posto gli era familiare, i paesaggi noti e i luoghi consueti. Più che scrutare il terreno, Osmund trovava il cammino dentro di sé, ricordando a poco a poco gesti mai dimenticati e movenze non desuete. Sorrideva persino, quando la boscaglia si apriva in uno squarcio di prato smeraldino oppure il loro passaggio provocava scompiglio tra gli animali della foresta. Sorrideva, ma quel sorriso non saliva fino agli occhi, che rimanevano freddi e immoti come l’acqua delle rogge intorno.
Nonostante la paura che l’attanagliava, Adelaide doveva ammettere che quel luogo selvaggio emanava una sorta di incontaminata bellezza. Un fascino antico e solitario, come doveva avere la dimora dell’uomo quando Dio lo aveva mandato sulla terra a popolarla. Nei meandri della foresta s’intravedevano famiglie di castori, scoiattoli, cinghiali, cervi e daini, mentre stormi di tordi, di alzavole e di cornacchie dal piumaggio grigio si sollevavano in volo dai macchioni. Negli stagni nuotavano le lontre e le rane gracchiavano senza posa tra i canneti, fra le gambe delle gru.
Quanto all’uomo, sembrava che la sua fosse una presenza discreta e lontana. Due o tre volte Adelaide aveva intravisto delle case, piccoli assembramenti di capanne sperdute nella selva, con i tetti di paglia e l’erica sui muri. Ma erano stati avvistamenti fuggevoli, subito smarriti ad una curva o al bivio di un sentiero. Per il resto, lungo il tragitto non era apparsa anima viva, anche se chi abitava in posti isolati come quello avrebbe dovuto cautelarsi, mettendo sentinelle o mandando pattuglie a perlustrare. Ad Adelaide la cosa era sembrata tanto strana da indurla a parlarne con Osmund durante una breve sosta per far rifiatare gli animali.
L’avventuriero si limitò a scrollare il capo. – Avete ragione – disse – sciacquandosi il viso nella pozza dove si stava abbeverando il suo cavallo. – Nessuno transita per questi luoghi senza che gli abitanti lo sappiano.
- Beh, e dove sono allora? – insistette lei.
Osmund si rialzò e fece un largo gesto circolare con il braccio teso. – Qui intorno, suppongo.
- E perché non vengono avanti, a chiederci chi siamo e dove stiamo andando?
- Perché lo sanno già - rispose lui in tono vago. Quindi riprese il cavallo e si voltò per tornare verso la carretta.
- Come, lo sanno già?! – ripeté Adelaide stizzita, superandolo e sbarrandogli il passo.
Osmund allungò una mano per scostarla, poi ci ripensò e gliela posò sulla spalla. – Sono vici longobardi – iniziò a spiegare con calma. – Un tempo, la fara controllava la via per conto del gastaldo, ma ancor oggi si conservano le antiche costumanze. Loro sanno di me come io di loro.
Ma Adelaide non si diede per vinta. – Se le cose stanno così – riprese - avremmo potuto passarci, invece di evitarli come malfattori sfuggiti alla giustizia.
Osmund alzò gli occhi al cielo sbuffando. Poi li riabbassò e la fissò, inalberando il suo sorrisetto beffardo. – Non sono io a fuggire – disse - o già l’avete dimenticato? Chi è in fuga siete voi e io ho l’incarico di portarvi a salvamento, non di raccontare a tutti i fatti miei. Se volete salire – aggiunse indicando la carretta – forse arriveremo nel posto che ho scelto prima che faccia notte. Lì sarete bene accolta, ma badate: non esponetevi a confidenze. Voi siete soltanto la moglie di un mercante. Per chiunque e sempre.
Dopo quel rimbrotto l’avventuriero balzò a cavallo e si mise di nuovo in testa al convoglio. Ad Adelaide non restò che ubbidire, riprendendo il suo posto accanto a Bastiano. Il viaggio continuò con il medesimo passo veloce, mentre la carretta si faceva strada a fatica attraverso la boscaglia. Soltanto verso il tramonto la comitiva sembrò imboccare un sentiero più agevole, con il fondo meglio battuto e certamente più frequentato degli altri. Dopo un paio di svolte, in lontananza apparve un villaggio e Adelaide tirò un sospiro di sollievo, pensando che fossero finalmente giunti a destinazione. Si sentiva stanca per le tante peripezie della giornata, indolenzita dagli scossoni della carretta e infreddolita per l’umidità che, col calar del sole, cominciava a trasudare dalla foresta.
Stava giusto pensando a un bel fuoco e al profumo di una buona zuppa calda, quando Osmund fece l’ennesima deviazione. Un attimo prima erano sul sentiero piano, diretti alle case poco distanti. Un attimo dopo, sentiero e case erano spariti e la carretta s’inerpicava faticosamente lungo un viottolo in salita, con il fondo sconnesso, fiancheggiato dai rovi. Adelaide vide allontanarsi anche la prospettiva del fuoco e, con un gemito sconsolato, si raggomitolò sul suo sedile, stringendosi addosso il mantello.
Ma questa volta il tragitto fu breve. L’erta sbucò quasi subito su un piano, costellato di cespugli bassi e di piante rade, dove la carretta poté procedere con più scioltezza, diretta a un edificio tozzo, riparato da un muro di cinta. L’unico varco era costituito da un portone; avvicinandosi Adelaide notò che era aperto, custodito da un uomo fermo sulla soglia, che sembrava osservare il loro arrivo. Poi l’uomo cominciò a sbracciarsi e Osmund agitò un braccio in segno di risposta, spronando al galoppo il cavallo. Quando anche il resto della compagnia fu entrato nella corte, i due uomini già li stavano aspettando insieme a un ragazzino. Dietro di loro, una giovane donna teneva una bambina attaccata alle sottane, mentre alcuni cani latravano furiosamente da un recinto.
Fu Osmund a fare le presentazioni. – Questo è Taso – disse, indicando l’uomo che gli stava al fianco – e questo è suo figlio Taino – aggiunse con voce affettuosa, scompigliando la zazzera rossa del ragazzino, che abbassò la testa vergognoso.
Taso, intanto, si era fatto avanti per accogliere la comitiva. – Signora – disse, mentre porgeva le mani ad Adelaide – la mia casa, per quanto umile, è vostra. Vi prego di accomodarvi in tutta libertà e di ristorarvi dal viaggio.
Scendendo dalla carretta Adelaide incontrò il volto sorridente di un uomo giovane, ben piantato, con membra solide, fasciate in un paio di brache di panno su cui ricadeva un grembiulone di cuoio allacciato al collo. Osservò quel viso aperto e sorrise a sua volta, rispondendo qualche frase di circostanza. Poi guardò incuriosita la donna, che si teneva sempre indietro con la bambina al fianco.
Anche lei era giovane, e molto emozionata. Con una mano stringeva la bambina mentre con l’altra tormentava le falde dell’abito che aveva indosso. Vestiva una lunga tunica azzurra a balze brune, che s’intonava a meraviglia con la sua carnagione chiara. La vita, esile, era fasciata da una larga cintura, ornata di una grande fibula sbalzata. Si vedeva che era il vestito della festa, messo su in fretta tanto da scompigliarle la crocchia dei lunghi capelli color del miele, all’arrivo dei visitatori. E, tra i visitatori, quello che attirava di più il suo sguardo sembrava essere Osmund, a cui la giovane rivolgeva lunghe occhiate intense.
Adelaide se ne accorse, ma preferì non darlo a vedere. Invece si avvicinò sorridendo e ascoltò le presentazioni. – Questa è Alimunda – disse Taso con orgoglio, mentre la giovane accennava un piccolo inchino. – E qui – aggiunse chinandosi – si nasconde Gaila, l’ultima nata e il mio tesoro.
La bambina, sentendosi nominare, fece capolino tra la veste della madre. Poi, intimorita dalla presenza di tanti sconosciuti, si attaccò al collo del padre e nascose il viso nell’incavo della sua spalla. Fu Osmund a stanarla, estraendo dalla bisaccia da sella i regali che aveva portato con sé: un piccolo arco che fece la felicità di Taino e una bambola di pezza che Gaila rimirò a lungo, incantata.
- Sembri un vero guerriero – disse Osmund a Taino che si sforzava di tendere l’arco prendendo di mira i cani, e, per un po’, i bambini furono al centro dell’attenzione generale. Anche questa volta, però, tra le molte parole che vennero dette, nessuna chiarì i rapporti fra l’avventuriero e gli abitanti di quel posto sperduto. Rapporti che s’intuivano affettuosi, persino intimi, ma avvolti in un velo di riservatezza che non pareva essere frutto solo del caso. Adelaide si ripromise di capirne di più, una volta che tutti fossero riuniti in casa.
Buona parte della corte era occupata da una serie di costruzioni che si allungavano a coprire tutta l’ala orientale. Un tempo quello doveva essere stato un complesso imponente, ma il trascorrere degli anni ne aveva corroso le fondamenta e abbattuto le coperture. Dell’edificio più grande restavano in piedi soltanto alcuni resti di muri perimetrali, circondati dai profili smozzicati di stalle, magazzini e porticati. Intorno spuntavano tra le macerie vasche ormai interrate, banchi da lavoro macilenti e ammassi informi di attrezzi arrugginiti, abbandonati alla rinfusa.
L’ala occidentale, al contrario, era ben sistemata e in ordine. Si vedeva che Alimunda e Taso vi avevano lavorato con dedizione. Lungo il muro di cinta c’era un piccolo casotto, affiancato da una legnaia, da uno stabbio e dal recinto dei cani. Sul davanti si alzava un pergolato che sovrastava una grande vasca per l’acqua, con accanto un piccolo appezzamento coltivato a verzure. La casa era a un piano, intonacata di fresco con motivi a colori vivaci riportati sulle giunzioni. Quando i viaggiatori vennero fatti accomodare, si trovarono in un ambiente umile ma spazioso, dominato da un grande focolare al centro e arredato con panche disposte lungo le pareti. Sul fondo si apriva una porta che dava, evidentemente, accesso all’unico altro ambiente.
Adelaide ne fu conquistata. L’insieme era luminoso come i sorrisi dei suoi ospiti e caldo come il benvenuto che aveva ricevuto. Così, dopo i giorni del dolore e della paura, sentì che poteva finalmente abbandonarsi, ritagliandosi qualche ora di serenità nell’amichevole quiete di quel luogo. Alimunda le portò un bacile e, con l’aiuto di Ingorde, poté rinfrescarsi, rassettando anche gli abiti impolverati dal viaggio. Quindi, seduta su un panchetto, osservò le donne disporre i tavoli per il pasto e affaccendarsi intorno al fuoco, mentre sorseggiava la birra chiara che le era stata offerta e faceva l’occhiolino a Gaila che la spiava dalla porta.
Gli uomini si trattennero fuori a parlottare, dopo essersi sciacquati con l’acqua della vasca. Dal suo posto Adelaide non riusciva a distinguere le parole, ma soltanto i suoni: il timbro profondo di Taso, la voce nasale di Bastiano e quella un po’ roca di Osmund, insistita come se l’avventuriero avesse delle spiegazioni da dare o delle disposizioni da impartire. Ma il dialogo s’interruppe quasi subito, perché Alimunda chiamò e tutti entrarono in casa, attorniando il desco preparato per quel ristoro serale.
Adelaide ebbe il posto d’onore alla destra di Taso; eccezionalmente, anche a Taino fu consentito di sedere tra gli adulti, al fianco di Osmund. Poi venivano Brunello, Bastiano e Orso, la cui mole sovrastava tutta la tavolata. In omaggio agli ospiti Alimunda aveva dato il meglio di sé e della sua cucina: un vero banchetto per i tempi che correvano e per l’umile condizione di quei luoghi. Lei e Ingorde servirono scodelle di zuppa, seguite da spiedi di cacciagione disposti su grandi taglieri di legno. Il tutto, accompagnato da ciotole di ruchetta primaverile, formaggio di capra e anforelle colme di birra asprigna.
Tra un assaggio e l’altro si fecero anche molte chiacchiere. Bastiano parlò di mare, Brunello di cavalli e Taso del suo lavoro di fabbro. Le macerie accanto alla casa era tutto ciò che restava di un’antica fornace. – Del tempo dei Cesari - precisò Taso con sussiego, come se sul portone sventolasse ancora l’aquila romana. – Qui c’era l’acqua, c’era la torba e quella era gente che ci sapeva fare.
Anche Taso se la cavava egregiamente. Tra le rovine aveva impiantato una fucina e i suoi metalli avevano un buon mercato nella zona. A quel punto Bastiano propose un brindisi alle fortune di Taso e Taso ricambiò, bevendo alla salute degli ospiti. Adelaide si associò, alzando la coppa con gli altri. Neppure quei discorsi, però, avevano messo in chiaro i legami tra Osmund e i padroni di casa.
Quando il pasto si avviò al termine e il giorno cominciò a incupirsi, Adelaide si pulì la bocca con l’azzimo e allontanò il boccale. Aveva mangiato a sazietà e bevuto abbastanza, tanto da sentirsi piacevolmente intorpidita dal calore della birra e del fuoco. Faticava a tenere gli occhi aperti, mentre la conversazione degli altri commensali le giungeva sempre più sfocata. Del suo torpore si accorse Ingorde, che parlottò brevemente con Alimunda e le si avvicinò premurosa.
- Mia signora – disse – se volete ritirarvi…
Adelaide guardò la servetta. – Credo proprio di sì – rispose portandosi una mano alla schiena e facendo una smorfia. – E’ stato un giorno lungo e…alquanto dolente.
- Allora venite – riprese Ingorde, aiutandola a sollevarsi. - Alimunda ha disposto un giaciglio per voi nell’altra stanza. Vi troverete bene, spero.
- Sono certa di sì – rispose Adelaide sorridendo all’indirizzo di Alimunda che si stava avvicinando. – Come sono stata bene in questa compagnia – aggiunse rivolgendosi ai commensali che si erano alzati per salutarla. – Che Dio vi guardi. – Poi si avviò con le due donne al fianco.
La stanza si rivelò più piccola del locale di soggiorno, ma ugualmente fresca e linda come la precedente. Era evidentemente quella dove dormiva la famigliola, in un grande letto con la testata addossata al muro, alcune mensole fissate alle pareti e una cassapanca al fianco. Adelaide si avvicinò al giaciglio, poi si girò verso Alimunda che stava arrivando, reggendo un lume. – Mi dispiace – disse – non era mia intenzione arrecarti tutti questi fastidi.
La giovane posò il lume sulla cassapanca, si rialzò e si rassettò i capelli. – È una povera cosa – disse arrossendo imbarazzata. - Tu, piuttosto, sarai abituata a ben altre accoglienze…
Adelaide non la lasciò continuare. – Non scusarti ti prego – esclamò. – Sei stata fin troppo cortese con una sconosciuta. E poi – aggiunse sedendosi sul letto e portandosi una mano alla schiena – dopo il pancone della carretta, un giaciglio come questo è una vera benedizione!
- Vieni da lontano? – s’informò Alimunda educatamente.
- No, ma mi sembra di essere in viaggio da molto più tempo – rispose Adelaide scuotendo la testa con una smorfia. – Tu, invece, vivi qui da sempre, vedo.
- Questa è la casa di Taso – rispose Alimunda facendo un gesto circolare con la mano. Poi aggiunse modestamente: - E la mia, s’intende.
- Dove ricevete anche ospiti inattesi – buttò lì Adelaide in tono leggero. – Come Osmund oggi, ad esempio.
La giovane si strinse nelle spalle. – Non capita spesso. Ma, quando può, Osmund è lieto di passare a vedere i suoi nipoti.
- Nipoti?!
- Sicuro – confermò Alimunda sorridendo. – Taso e Osmund sono fratelli.
- Non si direbbe – osservò Adelaide pensierosa. – Sembrano così diversi…
- È vero – riconobbe la giovane. Poi aggiunse in tono evasivo: – Ma sai, la vita fa la differenza…
- Giusto – riconobbe Adelaide. – E Osmund deve aver avuto una vita difficile…
Improvvisamente a disagio, Alimunda lanciò uno sguardo spaurito alla sua interlocutrice. - Ecco, vedi… - disse esitando e chinandosi verso Adelaide. - Anni fa ha passato un momento brutto… Molto brutto…
Adelaide annuì in tono comprensivo. – Una donna, scommetto.
La giovane fece di sì con la testa, senza parlare.
- Beh, ma prima o poi lo supererà. Si fermerà qui e metterà su casa. Questa è la sua terra e voi siete la sua famiglia…
Alimunda la interruppe, mettendole una mano sul braccio. – Non può – disse scuotendo la testa. – Il fatto è che lui…lui si sente in colpa.
- In colpa?!
- Sì, è così – proseguì Alimunda sedendosi accanto ad Adelaide. – Vedi…io…io ero quella donna!
- Tu?! – scattò Adelaide sorpresa, girandosi verso la giovane. – Tu – ripeté con più calma – saresti stata di… Osmund?
- È così! – confermò Alimunda mentre due lacrimoni scendevano a rigarle le gote. – Un tempo noi ci…amavamo. Eravamo giovani allora, e spensierati. Certi che la nostra unione sarebbe stata benedetta dagli dei…
- Ma… - disse Adelaide.
Alimunda si asciugò le lacrime, tirò su col naso e continuò. – Ma non dagli uomini. Io ero la figlia di un adalingo, un nobile guerriero, e lui… Osmund è il nome che gli hanno dato i frati accogliendolo, ma allora si chiamava Tassilo ed era figlio di un semplice aldio… Troppa differenza tra noi. Così mio padre mi proibì di vederlo ancora.
- Capisco – fece Adelaide. – Però non vi siete rassegnati.
- Io piansi per molti giorni, ma Tassilo no. Lui era troppo orgoglioso, troppo ribelle e…troppo innamorato per rassegnarsi. Così affrontò mio padre, una sera…
- E… - disse Adelaide appesa al filo di quel racconto.
Alimunda si portò le mani al viso, come se volesse ricacciare indietro l’angoscia che aveva dentro. Poi si ricompose e lentamente proseguì con la voce ridotta a un soffio: - Fra loro volarono insulti…E corse anche il sangue…
- Vuoi dire… - fece Adelaide allibita.
La giovane fece di sì col capo, incapace di dar voce a quegli orribili ricordi. Poi si rialzò e strinse ancora una volta il braccio di Adelaide. – Capisci ora? – disse guardandola negli occhi. – Capisci perché lui è così…randagio? Perché vaga ramingo per il mondo, senza sentirsi a casa neanche qui, tra i boschi dov’è nato?
Adelaide, ancora scossa da quanto aveva sentito, prese la mano di Alimunda fra le sue e l’accarezzò dolcemente. – Capisco – disse annuendo gravemente. – Ma Taso, allora?
Alimunda ritirò la mano e si asciugò il volto con le falde della veste. – Taso era suo fratello – rispose. – Dopo che Tassilo fuggì, toccò a lui riscattare il peso della sua colpa. E il mio – aggiunse tristemente.
- Ma non è possibile! – esclamò Adelaide soffocando un’esclamazione di stupore. – È una sorte crudele per entrambi!
- No! – replicò con fermezza Alimunda. – Tutto è stato fatto secondo giustizia, seguendo le usanze del mio popolo.
- Può darsi - osservò Adelaide poco convinta. – Ma tu…con Taso…
- È un bravo marito e io gli voglio bene! – disse Alimunda con forza.
- Solo questo? – aggiunse Adelaide.
Alimunda la osservò a lungo, come se prendesse tempo per soppesare la domanda. Poi il suo sguardo si addolcì. – Hai figli tu? – chiese.
- Una – rispose Adelaide intenerendosi a sua volta. – Ho una bambina, bella come il sole.
- Ecco - aggiunse Alimunda sorridendo. – Allora mi puoi capire. Quando guardo i miei figli crescere mi sento serena. – Quindi sorrise ancora, abbozzò un inchino impacciato e si ritirò, lasciando Adelaide a prepararsi per la notte.
Quel racconto, però, le aveva tolto ogni voglia di dormire. Mentre si prestava alle cure di Ingorde, che era entrata ad accudire la padrona, la sua mente vagava intorno alla storia terribile che Alimunda le aveva appena raccontato. Anche dopo, a lume spento, continuò a girarsi e a girarsi nel giaciglio, pensando a quanto poco ci volesse per passare dalla felicità più assoluta alla più nera disperazione. Lei ne aveva fatto esperienza, purtroppo, ma anche con Osmund il destino non era stato meno crudele.
Ora capiva meglio i suoi scatti, i suoi cambiamenti di umore e la luce ironica del suo sguardo, come se quello che gli occhi vedevano arrivasse solo alla testa, ma non giungesse mai al cuore. Una corazza! Sì, Osmund indossava una corazza, una barriera invisibile eppure impenetrabile, che separava due mondi: quello di Tassilo, il giovane longobardo pieno di speranze, e quello di Osmund, l’avventuriero ramingo senza più illusioni.
Con sorpresa Adelaide si accorse di preferire Osmund. Questo pensiero la turbò. Allora s’impose di distendersi, di rilassarsi e, soprattutto, di sgombrare la mente dalle fantasie. Restando quieta, lentamente tutte le immagini di quella giornata convulsa sbiadirono e pian piano si dissolsero, finché riuscì ad assopirsi. Dormì di un sonno leggero, irrequieto, tanto che un rumore, alle prime luci dell’alba, bastò a svegliarla di soprassalto. Cavalli! Uno, forse due, che attraversavano la corte e raschiavano gli zoccoli contro la ghiaia. Poi ci fu uno scalpiccio di passi, il cigolio di una porta e il tonfo sordo degli zoccoli lanciati al trotto sull’erta erbosa oltre la cinta. Già, ma dove mai potevano andare dei cavalli, a quell’ora?
Perplessa e anche un po’ preoccupata, Adelaide si alzò, infilò le pantofole e si coprì avvolgendosi nella coperta. Quindi, cercando di non far rumore, sgusciò in cucina. Scorse Orso, Ingorde e Brunello che dormivano sulle panche avvoltolati nei mantelli e percepì un russare sonoro giungere dal buio dell’angolo opposto. Taso probabilmente. Di Osmund e di Bastiano non c’era traccia, ma il catenaccio della porta era aperto. Allora decise di uscire anche lei, a investigare.
Fuori l’accolse un cielo plumbeo, corrugato da banchi di nuvole basse, cariche di pioggia, e attraversato da un vento pungente che le schiaffeggiò il viso ancora caldo di sonno. Adelaide rabbrividì e si strinse la coperta addosso; poi fece qualche passo nella corte, in direzione della zona diroccata dove erano stati ricoverati i cavalli. Le pantofoline di panno e il camicione da notte non costituivano certo l’abbigliamento più adeguato per esplorare delle macerie, però lei era curiosa e anche testarda. Così proseguì il cammino, aggirando gli ostacoli più grossi e cercando di individuare quelli più piccoli, nascosti nell’erba, all’incerta luce dell’alba.
Osmund e Bastiano sembravano svaniti nel nulla e non erano in vista neanche i cavalli. Ma le rovine erano estese, piene di anfratti, di cataste, di angoli di muro ancora in piedi, che potevano offrire ricetto a un gruppo ben più numeroso di quello che lei stava cercando. Nonostante fosse ormai giorno, il colore del cielo rimaneva smorto e le ombre si allungavano scure intorno, creando un effetto misterioso e anche un po’ inquietante. Sperduta là in mezzo, all’improvviso Adelaide si scoprì sola e indifesa. Dal punto in cui era non riusciva a scorgere la casa e neppure il pergolato o il portone. Vedeva soltanto macerie, dalle quali il vento traeva scricchiolii sordi e gemiti sinistri che la facevano sobbalzare ad ogni passo.
Ebbe paura e rabbrividì. Allora si affrettò a cercare la strada più breve per uscire da quell’intrico. Stava appunto superando una vasca che aveva già costeggiato all’andata, quando la camicia le s’impigliò in un ferro che sporgeva dal terreno. Un intralcio da nulla, se il rialzo su cui si trovava non fosse stato cedevole e alquanto instabile. Tirando per liberarsi, la terra le franò sotto i piedi facendola cadere sulle ginocchia. Stava cercando di rialzarsi quando, all’improvviso, una mano le afferrò il braccio e un’altra le circondò la vita, sollevandola. Intanto, una voce beffarda alle sue spalle diceva: - Voi non riuscite proprio a stare lontana dai guai, vero?
Sentendo delle mani abbrancarla Adelaide aveva avuto un tuffo al cuore, ma udendo la voce di Osmund il suo spavento si tramutò in dispetto. Si girò di scatto, senza badare al crac della sottana che si squarciava, e squadrò l’avventuriero con occhi che mandavano lampi. – Io, almeno, non striscio come un rettile per aggredire alle spalle! – sibilò furiosa.
Osmund non sembrò particolarmente scosso da quell’attacco. – Io non striscio – replicò con indifferenza – e non mi sembra di avervi aggredita. Liberata, se mai.
- Ce l’avrei fatta benissimo anche da sola! – replicò lei gelida. – Grazie tante!
- Non è il caso – aggiunse lui facendo un mezzo inchino cerimonioso. – Ma le signore a quest’ora dormono, non vanno in giro in camicia e ciabatte.
Solo a quel punto Adelaide si rese conto del suo abbigliamento alquanto intimo. Febbrilmente si tirò giù la sottana, accostò meglio i lembi della coperta e si aggiustò la cuffia da notte che le pendeva di traverso, mentre le gote le si accendevano di un bel colore rosso. Quindi, dopo aver recuperato il decoro, cercò di ristabilire anche la dignità. – Se vado in giro così, non è per caso – disse. – Cerco di scoprire cosa voi e il vostro compare state architettando.
Osmund si strinse nelle spalle. – Io, per il momento, soccorro signore in difficoltà – disse sorridendo. – Il mio compare, invece, è andato avanti a precederci. In un viaggio come questo è sempre bene sapere cosa ti aspetta lungo il tragitto.
A quelle parole Adelaide si ammansì. Condivideva le preoccupazioni di Osmund e capiva ora che era stata una sciocca a sospettarlo. Così abbassò gli occhi e disse: - Scusatemi. È che… vedo nemici dappertutto.
E fate bene – osservò l’avventuriero. - Chi ti compera oggi, ti può vendere domani. La fiducia è la merce più rischiosa che esiste.
- Come per Tassilo? – replicò lei d’impulso.
Quel nome colpì Osmund con la violenza di un pugno. Gli occhi si strinsero, la piega sardonica alle labbra sparì e la cicatrice cominciò a pulsare lungo il sopracciglio. – Vedo che avete parlato – disse con voce secca. – Alimunda immagino. Da donna a donna.
Adelaide era amareggiata. Avrebbe preferito morsicarsi la lingua piuttosto che lasciarsi scappare una frase così infelice. Ormai, però, l’aveva detta e non poteva più tornare indietro. Allungò un braccio verso Osmund e posò una mano su quella di lui. – Perdonatemi – disse – vi prego… Sono desolata. Non intendevo offendervi in alcun modo.
L’avventuriero non scostò la mano, né si allontanò. Rimase immobile, rigido, mentre le dita di Adelaide si chiudevano sulle sue. Poi, lentamente, la maschera del suo volto si ricompose, le labbra ripresero la loro piega ironica e gli occhi tornarono beffardi come sempre. Soltanto la cicatrice sul sopracciglio continuò a pulsare. – Non importa – disse finalmente, con voce piena di amarezza: – Non importa. In fondo, per Alimunda è stato meglio così.
- Ma lei si preoccupa per voi – replicò Adelaide quietamente. – Vorrebbe che trovaste qualcuno…una donna…che vi renda sereno e vi faccia dimenticare…
A quelle parole Osmund ebbe un sussulto. Gli occhi si accesero di nuovo e la sua mano strinse quella di Adelaide, attirandola verso di sé. La giovane regina sentì il corpo dell’uomo fremere contro il suo, mentre Osmund le cingeva la vita e ripeteva in un sussurro: – Una donna! Una donna sola!
Adelaide aveva conosciuto soltanto Lotario e si era illanguidita al tocco delle sue mani lievi. Lo aveva amato di un amore tenero, delicato, giovane come un ruscello a primavera. L’uomo che la teneva tra le braccia, invece, era duro, aspro e tumultuoso come un fiume in piena. Quando le alzò il viso verso il suo, lei ebbe un moto di paura e cercò di sottrarsi. Poi sentì le sue mani forti che le accarezzavano i capelli, l’alito caldo del suo respiro e le labbra di lui che cercavano le sue. Allora, con un sospiro, si lasciò andare, perdendosi in quell’abbraccio.