(franco.livorsi@unimi.it)
All’inizio della primavera del 1959 mi recai, come tante altre volte, a casa di Carl Gustav Jung, percorrendo velocemente, con la mia nuova utilitaria italiana, la lunga strada che costeggia il lago di Zurigo. Le automobili erano ancora abbastanza rare, soprattutto di buon mattino. Il sole era alto nel cielo e l`aria limpida. Giunsi, abbastanza presto, in vista della bella villa del mio maestro. L’edificio era appena un po` diverso da come appare oggi, anche se nelle linee essenziali non è cambiato. Era una costruzione simile, per genere, alle grandi case austriache, per i tetti rossi molto spioventi, il sottotetto ed i lucernari (per altro non proprio comuni negli edifici a tre piani). Era pure notevole una grande terrazza coperta in cui era, ed è, delizioso sostare - ed anche lavorare - almeno quando non faccia freddo. Naturalmente tutte le stanze principali danno sul lago. E si spiega. Jung volle sempre vivere vicino all`acqua, che era per lui il simbolo, e quasi la visualizzazione, dell`inconscio collettivo, come non si stancava di ripetere.
L`armonia dell’edificio non può stupire. Gli Jung, infatti, oltre ad annoverare, come famiglia, diversi pastori protestanti e alcuni medici, hanno dato i natali ad insigni architetti, che contribuirono ad edificare la residenza. La villa, tuttavia, fu costruita seguendo soprattutto le indicazioni del suo primo proprietario, il mio maestro, lo "psicologo analitico", o psicologo "del profondo" (come preferiva dire lui), Carl Gustav Jung. Egli, pur essendo nato povero, poté concedersi la splendida dimora in questione al culmine della sua prodigiosa carriera scientifica. Ora qui abitano i suoi discendenti, nella migliore tradizione delle grandi famiglie svizzere.
Jung mi apparve in maniche di camicia. Nonostante gli ottantadue anni compiuti dava ancora un`immagine di vigore, nella sua strana tenuta da lavoratore manuale, con le maniche della camicia bianca e linda rimboccate a metà, le forti braccia seminude, gli occhiali grandi protettivi da schegge e fuoco usati da scalpellini e persone che adoperano la fiamma ossidrica, con il punteruolo ben fermo nella mano sinistra e il pesante martello sulla destra. Aveva appena terminato di scolpire, sull`architrave in pietra della porta principale d’ingresso, la nota sentenza: "Vocatus atque non vocatus deus aderit" ("Pregato e non pregato dio sarà. presente"). Lo salutai, non senza un po` di stupore.
- Oh! Dottor Jung, che piacere vederla!
- È reciproco, mia cara. Ma entriamo … Voglio offrirle un potente caffè italiano. So che Le
piace tanto. Ed ha ragione …
- Ma mi lasci prima guardare … Non sapevo che oltre ad essere il nostro psicologo nazionale, e pure internazionale, Lei fosse anche un eccellente scalpellino.
- Sì, anche questa è una mia vocazione. E non è mica facile, sa?
- Lo credo. Scolpire la pietra per bene non dev`essere semplice. Ma Lei come fa? Non mi dica che è stato pure scalpellino, o in una bottega da scultore, in gioventù (anche se, da quando faccio pure la sua segretaria, mi ha ormai abituata a non stupirmi più di nulla).
- A bottega no. Ma per un po` di mesi, tanti anni fa, mi sono fatto istruire, per mio diletto, da un vero scultore amico. Provando e riprovando …
Ci avvicinammo alla casa, ma a metà del percorso il vecchio Jung volle fermarsi, certo per riposarsi per qualche minuto, e pure per godere ancora un poco della brezza primaverile, all`aperto. Si appoggiò al tronco di una vecchia quercia. Poi, riprendendo il discorso, notò:
- A me piace lavorare con le mani, sia pure andando - specie ora che sono così vecchio - piano piano. Trovo che fatto per qualche ora al giorno, o per tutto un giorno alla settimana, il lavoro manuale dia pace all`anima. Ci rimette sulla lunghezza d`onda dei nostri antenati, che per decine o centinaia di migliaia di anni non hanno fatto altro.
- Del resto Lei se la cava bene anche con i pennelli.
- Sì, anche se non mi considero affatto un vero pittore. Cerco semplicemente di far sfogare il mio
inconscio, che, come Lei ben sa, si esprime soprattutto per immagini. I sogni sono più delle visioni che dei discorsi. Sono quasi dei film muti. Mi studio di rappresentare nel modo più spontaneo e verisimile semplicemente quello che in me sembri anelare alla forma (per il suo andare e venire soprattutto nel mio mondo onirico).
- E la pietra invece? Che cosa La porta a scolpire la pietra?
- Beh, questa è una storia anche più complessa.
E nel dir così Jung si accese la pipa e si sedette poco oltre, su una panchina, naturalmente anch`essa in pietra.
- Si accomodi anche Lei qui accanto a me, Aniela - mi disse - e fumi pure una sigaretta, se le fa piacere …Questa della pietra è una storia che ha a che fare con i miei interessi per l`alchimia, che come Lei sa io considero l`antenata non tanto della chimica quanto della nostra psicologia del profondo. Lì, nell`alchimia, la pietra ha un grande ruolo.
- Gli alchimisti erano quei sapienti un po’ filosofi ispirati, un po’ maghi e un po’ scienziati che cercavano la pietra filosofale, capace di trasformare il comune metallo in oro, non è vero?
- O meglio: cercavano il modo di trasformare il piombo, o lo zolfo, materiale di poco pregio, pietra "vile" - dicevano loro - in oro. Ma anche in quel contesto - aggiunse Jung con un risolino - irrompe Dio, che, come nel mio motto scolpito, "pregato e non pregato, sarà presente". E, badi bene, se ne parla proprio come comanda nostro Signor Gesù Cristo.
- Questa sua osservazione cristiana, e per così dire pia, un po’ mi stupisce. È vero che io sono "giudìa", ma non credevo di essere tanto ignorante sulla vostra fede da non saperne proprio niente. Ritenevo l`alchimia una specie di eresia pagana ed anticristiana sotterraneamente ancora presente in pieno cristianesimo.
- È vero. Eppure Gesù dice: "La pietra scartata dai muratori è diventata la pietra angolare". Forse parlava dei suoi discepoli: tutti poveri diavoli, spesso umili pescatori, in un mondo in cui contavano solo i ricchi e nobili, o i dominatori romani. I primi seguaci del Cristo, che spesso erano stati grandi peccatori, o peccatrici, venivano da Lui eletti al ruolo di protagonisti dell`opera immortale della redenzione del genere umano. Parevano la schiuma dell`umanità, per povertà di origini e spesso di cultura e spesso per essere stati dei peccatori e soprattutto delle peccatrici d’infima specie, e invece erano l`avanguardia di un mondo nuovo.
- E noi psicologi cosa c`entriamo mai con la pietra?
- Cercherò di spiegarglielo. L`uomo, orgoglioso della sua "grande" coscienza, poco si cura dell`inconscio, con tutti quei suoi vaghi sogni, che gli appaiono delle incredibili e insignificanti assurdità. Ma noi psicologi dell`inconscio sappiamo bene che quel “resto”, o “scarto”, è addirittura la pietra angolare della mente umana.
- Dunque, - notai io quasi tra me e me - il suo messaggio unitario, calato nella pietra, è "Vocatus atque non vocatus Deus aderit", "Pregato e non pregato, Dio sarà presente".
- Già! È, in effetti, il motto della mia vita. Ho chiesto che sia scritto anche sulla mia tomba, quando, tra poco, finalmente, me ne dovrò andare.
- È nel Vangelo anche il suo detto?
- No - disse Jung ridendo di nuovo -. Non sono contrario a leggere la sentenza in senso cristiano, ma in origine essa era proprio pagana.
- Ho notato, dottor Jung, questo suo andare e venire dal paganesimo al cristianesimo. Per fortuna qui, a Zurigo, i cristiani sono quasi tutti protestanti, e dunque pluralisti e tolleranti, pronti al libero esame e aperti all`eresia. In un paese cattolico, infatti, Le farebbero passare dei guai per le sue scorribande entusiaste in campo pagano. La prenderebbero subito per un eretico.
- Eh! Eh! Eh! Invece posso prendermi persino il lusso di essere amico e simpatizzante del cattolicesimo, con i suoi riti complessi, suggestivi, psicologicamente potenti, secondi solo a quelli divini della Chiesa ortodossa: riti in cui i simboli del Sacro, o dell`Uno, che è Dio, si manifestano nella loro immane potenza, e sempre senza dimenticare Maria Vergine "madre di Dio", e dunque quasi Dio al femminile, né il sacramento della confessione, forma primordiale di ogni psicologia analitica. Posso simpatizzare per questi cattolici - come diversi tra gli antenati romantici della Germania - perché ormai gli eretici non li bruciano più neanche loro. Non "ci" bruciano più! Semmai sono stati i nuovi pagani, miei “cugini” tedeschi, a bruciare i nemici di fede, questa volta. E quanto più spaventosamente degli inquisitori Lei lo sa bene, come ebrea. Ma lasciamo stare questo discorso perché altrimenti poi il caffè, che adesso dobbiamo proprio andare a fare, ci sembrerà troppo amaro, o ci andrà per traverso.
- Giusto! Ma non mi ha ancora risposto sul suo "Pregato e non pregato Dio sarà presente". Da dove viene mai il detto?
- È una sentenza che ho scoperto in uno degli Adagia del grande umanista cristiano, contemporaneo di Lutero, Erasmo da Rotterdam, quando avevo diciannove anni, in un libretto acquistato per caso su una bancarella. Erasmo tradusse in latino la sentenza, dal greco, nel 1536.
- Ma Erasmo era molto cristiano, no? Era quasi un precursore di Lutero. Che c`entra dunque il paganesimo qui?
- Sì, era un pio cristiano, anche se diversamente da Lutero credeva nella libertà dell`individuo (anche di salvarsi senza precipuo intervento miracoloso di Dio) ed amava immensamente greci e latini antichi, certo niente affatto cristiani (almeno in senso storico). L`adagio sul dio che pregato o meno ci sarà comunque concerne un episodio della guerra del Peloponneso, soprattutto tra antichi spartani e ateniesi. Si doveva consultare l`oracolo prima di una grande battaglia, come allora usava. Chi mai avrebbe vinto? La profetessa di Apollo, la Pizia, nell`invasamento rispose: "Pregato e non pregato, il dio ci sarà". Come a dire: "In ogni caso sarà quel che il dio vorrà”. La sentenza inappellabile del dio si manifesterà comunque, senza che l`uomo possa interferire su di essa.
- Ma è minuscolo o maiuscolo questo suo Dio del motto da Lei scolpito? È un dio o è il nostro Dio unico?
- Per i greci, autori della frase, era uno degli dèi, e precisamente il dio indovino, Apollo. Ma per me, e anche per il pio, e spiritosissimo, Erasmo, è anche "Dio", il Dio unico. Io comunque ho scritto tutto maiuscolato. Se uno vuole può intendere il "deus" come divinità generica, o dio pagano, dio tra gli dèi; oppure può intenderlo come Dio. Ciascuno, del resto, ha il dio che si merita. L`importante è non lasciarselo scappare.
E qui Jung esplose veramente in una delle sue caratteristiche risate infantili, incontenibili, da uomo primitivo. Poi diede qualche piccolo colpo di tosse e aggiunse: - Entriamo in casa, ora. La giornata è stupenda, ma dobbiamo lavorare.
Jung si sedette alla sua grande scrivania, nella quale erano collocati diversi strumenti per il suo fumare, come sigari e sigaretti, arnesi per pulire la pipa, fiammiferi di legno, ma anche alcuni libri, e soprattutto cartelline ricolme di appunti. Alle sue spalle emergevano, da uno scaffale a giorno in legno di noce chiaro tanti libri rilegati: parte minima della sua grande biblioteca, collocata in altri ripiani sia dello studio che dei saloni attigui. Erano i testi con cui Jung lavorava, o meglio - a suo dire - si divertiva al momento. La scrivania era posta ben vicino ad una grande vetrata, intarsiata come quella delle basiliche, con immagini evangeliche, ma anche con figure circolari in cui erano raffigurati passeri, in modi tali che si era indotti a pensare alla natura creatrice. Sono le stesse figure che si possono ammirare anche oggi.
Jung finì di sorbire il caffè. Poi, prendendo subito a parlare del progetto cui avevamo deciso di attendere, disse:- Un`autobiografia, anche dettata a Lei, che è certo stata la mia migliore segretaria, a dire la verità mi lascia un po` perplesso. Potrò mai vedermi obiettivamente, come pure sarebbe in tal caso doveroso? Io sono poi semplicemente un uomo.
- E questo che cosa significa?
- Sono solo un frammento dell`unico Essere, o della vita infinita, o meglio dell`unico vivente che da sempre vive e per sempre vivrà. Ogni animale, ogni pianta, ogni minerale, condivide questa mia condizione, anche se come uomo, nella catena degli esseri che compongono “l`essere” unico, ho una specificità che è mia propria, irrepetibile, non scambiabile con alcun altro tipo di vivente. In quanto uomo, infatti, io so di essere un “pensante”, e perciò se, riflettendo, ho il coraggio di andare a fondo, di essere veramente radicale nel mio pensare, e sincero con me stesso, mi percepisco come un essere spirituale, almeno in termini soggettivi. E tuttavia so bene di essere solo un uomo, con i limiti di qualsiasi altro tipo della nostra specie. Mi piacerebbe però procedere oltre ogni apparenza, ritrovando i grandi sogni, i miti ancestrali, le intenzioni profonde del mio inconscio, così come si sono manifestati nel corso della mia vita. Quest’impresa, però, non ha un carattere meramente personale. Infatti il mito, anche quello nato in me, è l`espressione dell`inconscio collettivo. È il sogno, ad occhi aperti o chiusi, di un essere che è in noi, ma che ci sovrasta. È manifestazione di colui che “ci” vive, più che della nostra soggettività storica pretesa eccezionale. Esprimere tutto ciò a parole, attraverso un discorso dotato di senso che si distenda magari per centinaia di pagine, è veramente possibile senza falsificare troppo le cose, e possibilmente senza falsificarle affatto?
- Ma questa non è certo la prima volta che Lei cerca il mito che sorregge la vita in un singolo individuo! In fondo Lei lo fa da quasi mezzo secolo con tanti pazienti. Ne so qualcosa io stessa. Perché non farlo con se stesso? Potrebbe ben ricercare il senso intimo, profondo, apparentemente indicibile, della sua stessa storia, come ciascuno di noi ha fatto stendendosi sul lettino dell`analista per curare la sua nevrosi, o anche per diventare analista (curando prima se stesso, com`è logico e giusto anche e soprattutto per il medico dell’anima).
- Stendendosi sul lettino dell`analista, o guardandolo negli occhi, come io preferisco che si faccia.
- Appunto! In ogni caso io credo che Lei potrebbe - e sarebbe un gran bene per tanti di noi, e soprattutto per i molti che non hanno potuto o non potranno conoscerla faccia a faccia - descriversi dal punto di vista dell`interiorità più profonda; raccontarsi senza celare il proprio mito, che sta ora più o meno nascosto dietro la sua opera scritta, ma anzi evidenziandolo mentre parla della sua vicenda esistenziale. In fondo potrebbe ben fare la propria biografia psicologico analitica, tanto più che mi risulta che Lei si sia fatto analizzare già due volte.
- Sì, ho fatto la mia terribile autoanalisi, di cui a suo tempo potremo parlare, ma ho soprattutto fatto la mia analisi presso altri due colleghi, o meglio colleghe: per evitare i residui di nevrosi che a suo tempo mi è parso di cogliere persino nel grande Freud, il quale non si è mai fatto analizzare, nonostante la propria radicale autoanalisi. Ho anche fatto una parziale analisi incrociata con uno più pazzo ancora di me, Otto Gross. Ma anche di questo avremo tempo di discutere.
Jung, a questo punto, tacque per alcuni secondi, come se fosse stato sopra pensiero. Poi parlò così.
- Senta, credo che potremo almeno provare. Oggi mi sento in vena. Tuttavia potrà accadere che in certi giorni non ne abbia nessuna voglia. Anzi, Le dirò io stesso, di giorno in giorno, se me la sento. In caso diverso, faremo altro. Il mio archivio e biblioteca mi chiamano di continuo alla ricerca, e inoltre, come ben sa, ho costantemente innumerevoli lettere a cui rispondere.
Penso, comunque, che potremmo fare così. Nei giorni in cui sarò in vena di raccontarmi, io parlerò a ruota libera, come analisi comanda, prendendo a narrare la mia vita dal punto di vista dell`interiorità più profonda, per quanto possa riuscirvi. Lei metterà in azione il nostro grosso registratore. E tra un incontro e l`altro stenograferà tutto. Poi, svolgendo i suoi segni con tutta comodità, ne trarrà un dattiloscritto che di tanto in tanto io potrò correggere, o anche integrare di mia mano.
- Benissimo!
- Voglio però informarla subito di una mia decisione irrinunciabile. Solo una parte del dattiloscritto potrà vedere la luce presto, non appena sarò andato all’altro mondo. Ci sono tante cose delicate, o addirittura delicatissime. Voglio sì parlarne. Anzi, per me è psicologicamente liberatorio parlarne una volta per tutte con una collega come Lei, di cui mi fido pienamente. Ma le parti più delicate dovranno finire in cassaforte, in una serie di quaderni che io stesso provvederò a rilegare, credo in tela rossa, e che potranno essere stampati - ammesso e non concesso che il mio pensiero allora interessi ancora - solo cinquant`anni dopo il mio decesso. Sino ad allora saranno tabù.
- Mi pare un compromesso equo. Quando vuole che cominciamo?
- Subito, se non Le dispiace(1).
19 agosto 2006