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Il paese dell'anima. Scene dalla vita di Carl Gustav Jung
Il paese dell`anima: X) - Carl Gustav Jung, Otto Gross e Sabina Spielrein
Franco Livorsi

(franco.livorsi@unimi.it )

Sì, sì, sì - disse Gross -,. lo riconosco. Te l’ho già detto anch’io … Ma a vincere, alla fine, è stato il Padre, il Grande Padre, sempre maiuscolo e sempre minuscolo, e sempre sulla nostra pelle e sulle nostre palle; per non dire della sorte toccata alle nostre sorelline, che non hanno neanche mai potuto salire al potere in veste di padre, come noi. Le donne l’hanno pagata per tutti, caro mio, con una razione doppia o tripla o quadrupla di oppressione rispetto alla nostra. Secondo quel reazionario di Freud l`hanno pagata e la pagano addirittura per natura, perché - osserva la delicatesse - le poverine non hanno il cazzo ...

   Del resto, caro il mio ribelle giudizioso, guarda un poco come ha messo subito tutto a posto nostra Santa Madre Chiesa, già nei primi secoli, se non addirittura nei primi decenni dopo la morte del nostro fratellino Gesù. Innanzitutto ha assimilato l`idea millenaria del Messia, atteso come grande profeta religioso politico e rivoluzionario, a quella dell`unico figlio di Dio, totalmente inventata rispetto all`antico patto. E così ha sottratto alla grande rivolta di Gesù il suo fondamento rivoluzionario, che consisteva da un lato nella lotta del “popolo di Dio” per una nuova Gerusalemme di totale giustizia terrena e dall’altro nell’idea, che a me pare trasparire dai Vangeli, che il Messia sia Figlio di Dio e Figlio dell’uomo al tempo stesso, come tutti noi, suoi fratelli in Dio, uomini-dio noi stessi, con l`infinito, l`eterno, l`assoluto alla radice dell`essere umano nostro proprio (almeno quando ci mettiamo dal punto di vista dell’infinito, eterno e assoluto in noi; trascendendo, insomma, le innumerevoli miserie della fottutissima quotidianità). Noi Dio non Lo ospitiamo, ma Gli siamo consustanziali, caro mio! Questo Gesù l’aveva già capito, ma lo hanno subito corretto, come se quando diceva “Padre nostro” lo dicesse, in riferimento a noi, tanto per parlare, per modo di dire insomma. Invece lo diceva per noi come per se stesso: per dire che siamo tutti figli di Dio, tutti divini …

  Poi la Chiesa ha subito messo a segno quel colpo di genio assoluto che è stata l`idea di Dio uno e trino, che consentiva di risolvere il Figlio nel Padre, sopprimendo quel tanto di distinzione-opposizione che in Gesù, nei confronti del Padre e dei suoi fedeli conformisti, viene fuori da tutte le parti: in tutte quelle polemiche vibranti contro scribi, farisei e mercanti del Tempio, alias categoria dei preti veri e propri, servi del Padre (maiuscolo e minuscolo), persuasori occulti sempre fiorenti all`ombra dell`autorità, di ogni autorità, fosse pure quella di Nerone che li faceva sbranare dai leoni, cui si sarebbe dovuto obbedire e si obbediva perché, come dice San Paolo, “ogni autorità viene da Dio”, e perché, diceva Gesù, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, cioè era necessario dargli il tributo, l’obbedienza, segno della sottomissione nella sfera corporea. (Ma in genere - non bariamo - sono poi stati i cristiani a far accoppare gli altri, i figli indipendenti, i ribelli, i libertari, gli eretici. Ne han fatti fuori milioni. Altro che cazzo! In confronto le persecuzioni dei pagani sono state una bazzecola).

- Il tuo discorso - replicai io - mi colpisce per la sua carica iconoclasta, ma non solo per questo. In questo, anzi, mi colpisce solo sino ad un certo punto. Io stesso, sia detto in confidenza, mi sento spesso addosso una dynamis del tuo genere. Il primo grande sogno della mia vita, diciamo da ragazzino - un sogno che per la verità era  una vera e propria visione che mi investì in un certo giorno - era Dio Padre che sfondava la chiesa del mio villaggio, in cui mio padre era pastore protestante, cagandovi sopra dal cielo ...

  Qui Gross emise un vero e proprio grido di giubilo. - Per Dio! Per Dio! Per Dio! - strillava - promettevi bene, molto bene, figlio d`un prete ... Ma ora, caro mio, viene il più difficile: non restaurare la chiesa - sfondata dal “dio Inconscio”, o dall’inconscio divino, cacante - nel nome del Padre (maiuscolo-minuscolo). Costui prima ti distrugge l`habitat, o ti induce a distruggerlo contro di lui; poi te lo fa ricostruire a sua "immagine e somiglianza", e così il padre, sempre minuscolo e sempre maiuscolo, risorge "più forte che pria", dialetticamente rinnovato.

- A dire la verità - osservai -, ho un paio di obiezioni sostanziali da muovere al tuo discorso. La prima concerne il ruolo che tu attribuisci alla mitologia ... Sembra quasi che tu la opponga, come superiore, alla biologia, o alla psico-biologia.

- Ma no, no - disse Gross.-, ti sbagli. Su ciò io sono abbastanza freudiano. Per me la mitologia - forse diversamente da quel che è per te, o per il tuo antico concittadino Bachofen - non ha niente di misterioso o di mistico. Anzi, è un prodotto più del "conscio" che non dell`inconscio, ma di un conscio "collettivo". Essa è semplicemente l`espressione della coscienza dei popoli nel corso del tempo: non tanto diversamente da quel che pensavano i nostri idealisti "classici" tedeschi, per i quali - a parte forse il tuo Schelling - l`Assoluto era sempre l`Autocoscienza, con la "A" maiuscola. Forse in questo io resto, mio malgrado, il figlio del sociologo mio padre, benché lo mandi al diavolo almeno una volta al giorno (o all`ora). Sono i modi di pensare collettivi a determinare la nostra vita. Solo che in noi - è, per me, la scoperta di Freud - c`è una vocina misteriosa che quasi sempre dice "no" ...-

- Vocina misteriosa - dissi io per provocarlo benevolmente - è un`espressione mistica ...

- Ma no, no, caro Carl Gustav... È invece, semplicemente, la voce della natura nel senso di Rousseau, o se preferisci è la voce del tuo gatto (o cane o meglio scimpanzé, ma poco importa) dentro di te: dell`animale-mammifero nostro capostipite, più o meno aggressivo, sommerso in ciascuno di noi. Quest’animale, sempre in nobis, non vuol saperne, a giusta ragione, di farsi mettere collarini o collari, o di prendere botte, o di seguire regole rigide, e a nessuno vuol essere servo ... Solo che i padri, garantendo protezione e imponendo il duro lavoro ("tu ti guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte", diceva già il primo Padre), sin da quando ci hanno cacciati dall`Eden della nostra infanzia hanno avuto partita vinta sulla nostra natura spontanea. L’hanno spuntata contro i figli, e più ancora contro le figlie, contro i giovani, contro i liberi ...

- Questo tuo cenno all`Eden - dissi io -, mi fa venire in mente l`altra obiezione che ti volevo fare. Questa tua enfasi contro le religioni del Padre potrebbe farti sembrare un antisemita, cosa ben strana in un piccolo mondo come il nostro, di psicoanalisti i quali, ci  piaccia o non ci piaccia, sono quasi tutti ebrei ...

- Niente affatto! - replicò Gross -. Non lasciamoci censurare le nostre idee migliori, fratellino ... Il fatto è che ce n`é per tutti. E dappertutto le menzogne colossali, le polpette avvelenate del Padre, vengono alla luce: anche tra i Greci.

- Ma ti pare proprio? - dissi io dubbiosamente...

- Ma certo! - fece lui con enfasi -, e molto ... Anzi, ti dirò una cosa. Sugli antisemiti io sto sino in fondo con il nostro vecchio Nietzsche. Egli, come ben sai, li disprezzava dal più profondo del cuore, anche in odio all`ambiente di Bayreuth dell`amato-odiato Wagner, che in fondo in fondo era suo padre in spirito, come Freud per noi anche quando lo mandiamo a quel paese. Ora gli antisemiti, sin dai primi sintomi di tale pestilenza nella nostra pur meravigliosa civiltà classico tedesca, hanno sempre teso ad opporre ellenismo ed ebraismo. I greci antichi sarebbero stati il prototipo puro dei cosiddetti ariani e gli ebrei l’opposto. In gran parte è un falso storico. Non nego che ci siano grandi differenze, anche per me del tutto a favore dei greci antichi. Ma nell`insieme, quando sono giunti al loro culmine storico come civiltà, Greci ed Ebrei sono risultati fratelli, o almeno primi cugini, nel nome del Padre. Ad Atene almeno dalle guerre persiane in poi .

  Forse la mitologia greca, proprio in quanto è espressione più di poeti che di preti (alias rabbini), fa vedere ancora più chiaramente quanto sovrasti la terribile ombra del Padre. Te lo ricordi quell’Urano sempre in fregola nei confronti di Gaia, la Terra, cui Crono, d’accordo con la madre, a un certo punto tagliava i formidabili coglioni con un falcetto per porre fine alla sua inesauribile voglia di scopare? E poi quel Crono, non meno possessivo del padre Urano, che divorava sistematicamente i figli, dèi da lui generati con la sorella Rea, Grande Madre che ad un certo punto si mise a salvare i figli che lo sposo inghiottiva sistematicamente temendo per il proprio strapotere, dandogli in pasto sassi fasciati come bambini: il che poi consentì a uno dei figlioli, migliore di tutti, Zeus, di ingaggiare la lotta contro il terribile genitore antropofago, o meglio “deofago”, realizzando così un ordine cosmico  del tutto patricentrico, meno ciecamente violento?  

   Ebbene, quell’ordine di Zeus era pure una forma di immane dispotismo maschilista, liberticida nei confronti dell’uomo e dei semidèi a lui più prossimi. Penso, naturalmente,  al povero gigante, o titano, Prometeo, un uomo-dio in fondo, che per aver portato (o scoperto?) il fuoco civilizzatore ai suoi piccoli fratelli o cugini umani contro l’ordine di Zeus, fu fatto incatenare da costui alla rupe tracia e condannato a farsi mangiare (noi psicoanalisti diremmo a mangiarsi) il fegato giorno dopo giorno, per il tramite delle aquile del maggior dio, appunto Zeus, il quale lo trattava proprio da figlio ribelle. (Prometeo però non era uno succube del Padre come il tuo Gesù, ma era anzi un tipo così duro e così ingegnoso da costringere il primo dio a scendere a patti. O lo liberava o lui, che grazie al suo sommo ingegno era il solo a saper tutto sul futuro, non gli avrebbe rivelato il nome del figlio di Zeus destinato - se il grande padre non fosse corso per tempo ai ripari - a detronizzarlo: il figlio che era poi l’uomo divino Ercole, l’eroe più forte del mondo, anche se a noi questo tale può far ridere come Maciste, benché lo stesso grande Michelangelo, nelle sue straordinarie statue, in cui cercava di rappresentare il divino nell’umano, non ne ridesse affatto).

  Che gente questi Greci, comunque! Quelli sì che avevano le palle, caro Carl Gustav ...

 E taccio di Edipo, che detronizzò l`arrogante genitore e infranse il tabù dell`incesto, sia pure senza saperlo ... Ma noi sappiamo che le azioni compiute anche “senza saperlo”, "inconsciamente", sono opera nostra, di cui portiamo il carico, la responsabilità, quanto e più che delle altre. Scaturiscono dalla nostra natura, dalla nostra psiche profonda. Non capitano certo per caso. E del resto lo sapeva anche Sofocle, il grande autore antico della tragedia di Edipo. E forse lo sapeva l’uomo greco in generale, per il quale il fato era qualcosa che si subisce, ma di cui non a caso si è responsabili, in quanto misteriosamente lo si provoca, e dunque lo si vuole …

- Tu, - obiettai io - però sembri quasi fare l`apologia di Edipo. Ma costui fece una fine orrenda ...

- Diciamo che subì molte umane e divine prepotenze. Pure, alla fine, morì egli pure riconciliato con i suoi déi, a Colono ...

- In fondo - dissi io, che per ragioni mie proprie avevo in mente Sigfrido - qualcosa del genere vale pure per la mitologia germanica ...

- Sì - disse Gross con forte assenso, per una volta -, ed è merito non piccolo di Richard Wagner averla fatta rinascere dalle sue ceneri, al culmine del XIX secolo: una nuova mitologia che pur essendo lì contaminata da alcuni merdosi residui razzisti e pangermanisti, ha un suo senso profondo...

  Io, qui, interruppi il discorso torrentizio del mio amico per dirgli che quel "merdoso", in generale e tanto più riferito a Wagner, mi pareva proprio una gratuita colossale volgarità.

- Non fare il signorino, borghesuccio e moralista, caro dottor Jung - replicò Gross. - Qui siamo soli, e nell`insieme, se non erro, ci stimiamo, e forse ci vogliamo un po` di bene, tanto che magari un giorno o l`altro ti porterò a letto … Tanto non sarò certo il primo, vero?

- Per la verità - dissi io arrossendo - qualcosa del genere mi è pur capitato, ma solo una volta nell`adolescenza ...

- Per me invece l`ambisessualità è un autentico valore. L`ambisessualità è libertà, mio caro. È la nostra tendenza naturale, polimorfa nel profondo, anche se rimossa dalla pseudomorale del Padre ...

- Comunque fai male - dissi io - a dire cose tanto pesanti e volgari anche su Wagner ...

- Sì, - disse Gross meditabondo - forse su Wagner avrai ragione tu. Quien sabe? - In effetti L`anello del nibelungo, nonostante la cornice pangermanistica, è l`opera di un grande rivoluzionario. I tratti della lotta contro il mondo dominato dall`oro, rubato da chi non può e non sa amare, sono evidenti. E alla fine c`è pure il crollo, direi rivoluzionario, di tutto il vecchio mondo: il crepuscolo degli dèi

 

   Ormai Gross mi aveva conquistato, a un punto tale che osai parlargli della mia paziente Sabina Spielrein. Naturalmente tacqui il suo nome e talune circostanze che avrebbero potuto farla riconoscere a Gross, com`è d`obbligo, in termini di etica professionale, per noi.

- Ho - esordii - una deliziosa paziente davvero wagneriana: anzi, così immersa nella musica dell`Anello da esserne stata toccata direi alla radice del suo stesso inconscio. Si chiama..., beh, poniamo che si chiami Sara: Sara for you ...

  Gross scoppiò a ridere:- E tu ne sei cotto come una pera al forno, non è vero?

  Io arrossii leggermente, suscitando un`ilarità anche maggiore nel buon Gross. Poi questi si fece serio e disse:- Coraggio, dottor Jung. Parlami un poco di questa fanciulla del tuo gineceo ... Possiamo pure invertire i ruoli per un`oretta, non ti pare? Siamo sempre nelle regole auree del doppio transfert, n`est-ce pas, mon petit frère?

- Si tratta di una giovane russa, molto bella ...- dissi io.

E lui:- Ricca, ebrea e dai neri capelli...

- Come fai a saperlo?

- Che diamine! I russi che stanno qui sono quasi tutti ricchi ebrei, e i loro figli hanno, se la mamma non si sia fatta segretamente chiavare da qualche ariano, i ben noti riccioli neri. E poi, se tu l`hai chiamata Sara, non sarà certo stato per caso. Per caso, guarda caso, ti è venuto in mente un nome assolutamente biblico ...

   Sorrisi mestamente per la mia stessa ingenuità, e proseguii.

- Clinicamente si tratta di un caso di isteria psicotica, ossia di isteria degenerata in follia. La ragazza in questione è nativamente intelligente, e per taluni aspetti è persino geniale.

     I sintomi più antichi dei suoi mali futuri sono emersi, a quel che pare, verso i cinque anni. A quell`epoca la piccola Sara cominciò a trattenere le feci, finché il dolore non la costringeva ad evacuare. Poco per volta cominciò ad impiegare, in relazione a tali funzioni, una strana procedura di appoggio. Si sedeva rannicchiata sul calcagno di un piede e cercava di defecare a questo modo, premendo il piedino contro l`ano. Questa perversione fu praticata dalla piccola sino al settimo anno di età, con tipica manifestazione di quel che Freud chiama erotismo anale. Prolungava inconsciamente la funzione, traendo da ciò il suo godimento. Prendeva piacere liberando l’intestino, come fanno i bambini più piccoli prima ancora del complesso di Edipo evolutivo (diciamo per due o tre anni).

   Dal settimo anno la perversione cessò e venne sostituita con l`onanismo ...

   Qui Gross emise un forte fischio di compiacimento:- Formidabili queste ebree, anche nella precocità sessuale. Del resto gli ebrei arrivano prima in tutto. Noi ariani ci dobbiamo rassegnare. In questo caso l`ebrea arriva prima nell`accarezzarsi la bernarda ...

   Io scossi la testa per quel linguaggio scurrile, anche se a dire la verità cominciava pure a divertirmi. Gross, per altro, finse di scusarsi.

- Comunque, - ripresi io - prescindendo dal modo in cui dici le cose, non hai visto male. In effetti la piccola ... Sara si accarezzava la vagina a più non posso, non appena poteva, ben prima di sapere che cosa fosse la masturbazione.

   Una volta, benché a quell`età non fosse proprio il caso - ma, si sa, i più matti sono sempre i genitori - il padre la punì togliendole le mutandine e picchiandola a mano aperta sulle natiche. La piccola percepì una chiara eccitazione sessuale. Provava dolore, ma quel tocco le piaceva pure moltissimo. La scena le si impresse nella mente. Non escludo che possa essersi ripetuta magari qualche decina di volte, con piacere dello stesso genere non solo suo, ma segretamente pure del suo babbo (anche se naturalmente nessuno me lo dirà mai). Come insegna il nostro Freud, le vie dell`eccitazione sono infinite.

   A tredici anni ebbe inizio la pubertà, ma Sara non era già più vergine. Il padre, che aveva preso ad ubriacarsi spesso e volentieri, una sera, mentre la moglie dormiva, o fingeva di dormire, andò nel lettino della ragazzina e la fece diventare donna. Anche qui non escludo la ripetizione dell`incesto.

   La cosa fu scoperta da uno zio materno, che però, dopo essersi indignato a morte per la violenza subita da "Sarina", pensò bene, in un certo pomeriggio in mezzo a un bosco di betulle, di emulare il cognato. Fu un miracolo se la tredicenne non rimase incinta, tra un incesto e l`altro. (Questi stupri, così come le violenze infantili di cui ho detto, con i relativi effetti erotici, furono raccontati da Sara al nostro collega Riklin, sotto ipnosi).

    A quel punto, nella piccola Sara, presero a svilupparsi fantasie erotiche di tipo per così dire "perverso", che la perseguitarono ossessivamente per molti anni. Queste fantasie avevano un carattere di coazione. Le si presentavano e ripresentavano insomma di continuo, senza che lei potesse farci niente. La piccola non poteva sedersi a tavola senza dover immaginare, mentre mangiava, scene di defecazione.

- Per forza - disse Gross con commiserazione -, con quello stronzo di padre che si ritrovava, e che magari l`avrà pure sodomizzata ...

- Comunque - ripresi io - era sempre l`erotismo anale a ritornare. Ad un certo punto non poteva neanche più guardare qualcuno che mangiava, specie il padre, senza vederlo come se stesse cagando. In particolare non poteva più toccare la mano destra del padre senza ritrovarsi tutta bagnata, eccitata dall`immagine delle sue botte sul suo culo di bambina.

   Così accadde, poco per volta, che in presenza di altre persone Sara non fosse più capace di mangiare senza ridere ossessivamente, in preda a fantasie di defecazione che via via erano venute a riguardare qualsiasi commensale. Se poi veniva sottoposta a qualche punizione, o anche semplicemente a qualche rimprovero, rispondeva con accessi di risa ...

- Come la capisco - disse Gross con profonda malinconia. - In certi casi si ride per non piangere. È, tra l`altro, la base stessa dell`umorismo, in sé così ebraico ...

 - A quindici anni, poi, si destò in lei un impulso, ovviamente del tutto normale, a legarsi amorosamente con un altro essere umano. Ma anche i suoi tentativi di fare ciò fallirono, perché le fantasie morbose di cui ho detto si infilavano dappertutto, e proprio in presenza delle persone che avrebbe voluto amare di più. Il primo ragazzo amato, si sa, ha qualcosa del padre, come la prima ragazza che amiamo noi maschi ha qualcosa di nostra madre. Perciò finiva per immaginare anche questo giovane mentre defecava, o mentre le toglieva le mutandine per batterle la mano forte sulle natiche, e così via. Essere palpeggiata in quella parte era la sua delizia.

-  A circa diciotto anni la sua condizione era tanto peggiorata che si limitava ormai ad alternare profondi stati di depressione con accessi di riso. Non poteva più guardare in faccia nessuno senza manifestare disgusto, raffigurandoselo mentre defecava …  Siccome a quei tempi, ossia pochi anni fa, in fondo si pensava che le isteriche fossero tutte delle "malate immaginarie", ed oltre a tutto si faceva poco conto delle donne e delle loro turbe emotive (uterine), nessuno per molti anni pensò di curarla o di poterla curare.

- Del resto - osservò giudiziosamente Gross - erano tutti complici, in famiglia, per cui non avevano certo interesse a far scoprire i loro immondi altarini borghesi ...

- Appunto - osservai io. - Qui, però, cominciò a capitare qualcosa di insolito. Sara aveva un senso musicale innato, di prim`ordine, che in lei si era risvegliato sentendo suonare la madre. Questa era un`ottima pianista, per cui le aveva insegnato a suonare il pianoforte a partire dai quattro o cinque anni di età. La musica, suonata dalla madre, o da se stessa, sembrava calmarla. In pratica Sara è arrivata alla maggiore età sapendo solo leggere, scrivere e suonare il pianoforte.

 Un giorno ebbe modo di ascoltare la madre che suonava e cantava una versione, appunto per pianoforte, del Sigfrido di Wagner. Quella musica le entrò nel sangue.

- E in tal caso - interloquì Gross, - non vedeva più merda ...

- Appunto - dissi io ...

- Com`è strano - osservò Gross a sua volta. - Questa parrebbe la verifica empirica della teoria in proposito del nostro vecchio Arthur Schopenhauer: la musica vera come espressione della volontà pura, incontaminata, indivisa, non ancora frantumata in questo e quello, al di là di ogni rappresentazione - sempre fuorviante e falsa - del nostro intelletto: come rivelazione, o piuttosto espressione, della "cosa in sé" del mondo, del "noumeno" o inconoscibile che sta in fondo alle cose, come un’energia pura infinita, al di là dei fenomeni, e che per lui era appunto la stessa volontà di vivere, ma una volontà non ancora rovinatasi tramite il principio della sua individuazione, non ancora identificatasi illusoriamente, insomma, con questo e quello.

- Bravo Gross. Così mi ha presentato la cosa anche lei ...

- È stato Wagner - mi dice lei - a portarmi nell`anima il demone con terribile chiarezza.

 Sentendo Sigfrido, ed in particolare la parte anche cantata relativa al "mormorio della foresta", in cui tutta la natura si apre all`eroe liberatore, che è in grado di comprendere la stessa voce degli uccelli del cielo, mi pareva che il mondo intero fosse diventato, per me, una melodia. Cantava la terra, cantava il lago, cantavano gli alberi, ramo per ramo ...

- Per Dio - fece Gross - la tua Sabina Spielrein dice proprio così?

- Perché chiami così "Sara"?

- Perché, caro il mio dottor pretonzolo, lo sapevo sin dall`inizio che la tua Sara era Sabina Spielrein. Ma mi credi proprio scemo? Credi che io non abbia notato lo sguardo sfavillante di questa dolce signorina e paziente quando tu appari in corsia …, e la tua aria da collegiale intimidito, così in contrasto con la tua natura "dionisiaca", quando la saluti ?

   Comunque, mio caro, non ti preoccupare e non ti formalizzare. Il giuramento di Ippocrate vale anche per me. Sono anch`io un medico, e so tenere la bocca chiusa su qualsiasi paziente.

    Dunque, attraverso la "musicoterapia", wagneriana, la tua Sabina è guarita. Ma allora perché è arrivata in questo posto ?

- No, - dissi io - non è guarita, purtroppo. Solo, a poco a poco le sue visioni si sono trasformate.

- Vuoi dire- sogghignò Gross- che dopo la merda arriva Dio, un po` come nella tua visione infantile anticristiana? - Magari si tratterà di un dio antitetico: diciamo Wotan al posto del Geova dei suoi antenati?

- Come al solito sei tanto sboccato quanto acuto, caro Gross. Pensi al Walhalla wagneriano, vero?

  In effetti attraverso il lavoro analitico abbiamo fatto emergere quel che ti ho detto, procedendo dai traumi della prima e seconda infanzia alla sublimazione riuscita della prima giovinezza, sublimazione che ha consentito a Sabina, qui a Zurigo, ad un certo punto dell`analisi, di iscriversi, con grande profitto, addirittura a Medicina. Naturalmente al centro dell’analisi stavano e stanno sempre i dialoghi sui suoi sogni, com`è ovvio. In una fase molto recente ha fatto un sogno molto caratteristico. Dopo la visita, com`è mia abitudine per quelli che giudico "grandi sogni", ho trascritto tutto, cercando di farlo con le parole stesse del sognatore (in tal caso della sognatrice).

  E qui presi i miei appunti e lessi.

 

"Ho sognato – mi diceva Sabina - che mi trovavo nella valle della luna.

  Giungevo in una grande area, illuminata da un tenue chiarore, come quello che si vede nell`ora del crepuscolo.

  Centinaia di persone, tutte di sesso maschile e adulte, mi attendevano, ed io passavo in mezzo a due file di loro. Tacevano, ma mi sorridevano.

   Mi accompagnavano in una grande caverna, illuminata da torce.

   Mi facevano sedere su un trono di pietra bianca.

- Ma voi - dicevo io a quella piccola folla - siete tutti uomini. Non ci sono donne sulla luna?

- Anzi, ce ne sono moltissime, - rispondeva il più anziano - soprattutto bambine. La luna è infatti un mondo soprattutto femminile.

- E allora perché le bambine non sono qui?

- Le abbiamo nascoste nelle viscere del nostro satellite, in caverne segrete, per proteggerle dal grande vampiro.

- Un vampiro? Ma i vampiri esistono solo nella fantasia.

- Già ... Qui, infatti, il vampiro rapisce le nostre femmine, siano esse piccole o grandi madri, giovani donne o anche, e anzi soprattutto, bambine.

- Noi terrestri siamo molto astuti, e l`aria e le acque ci rendono molto forti (risponde Sabina). Perciò non temete: affronterò io stessa il vampiro.

- In che modo?

- Io - dice qui Sabina - chiedo: - Siete capaci di costruire una torre? Anzi, un`alta torre con la base circolare?

- Eccome, - rispondono i "lunari" - in questo siamo molto bravi, ed oltre a tutto  siamo migliaia di migliaia. In pochi giorni, anzi in poche notti - perché qui è sempre notte (anche di giorno)- sarà fatta.

   In poco tempo veniva effettivamente eretta una grande torre, come quelle dei più bei castelli medievali.

- Ora - dicevo (è sempre Sabina che racconta) - avrei bisogno di un lungo coltello, come quello dei cacciatori, o di coloro che abbattevano il toro sacro al loro dio.

   In effetti mi si parava innanzi un sacerdote vestito di candido lino, con la barba fluente, porgendomi un grande pugnale, e dicendomi, con un sorriso allusivo:- Un coltello come questo?

(Qui Gross interruppe la mia narrazione esclamando: “Ecco il coltello o cazzo, come giustamente direbbe Freud.” Ma io non raccolsi la sua ovvia osservazione e andai avanti).

- Sì, sì ...- replicavo io.- E ora allontanatevi tutti. Nascondetevi anzi nei recessi della luna, con le donne e con le bambine.

   Restavo sola. Salivo verso la cima della torre, attraverso un percorso che mi ricordava la scaletta circolare in pietra della torre di Pisa. Così giungevo alla sommità.

   Questa era una piattaforma, una terrazza scoperta, illuminata dalla luna piena (strano a dirsi perché ero già sul satellite).

   Attendevo nervosamente il vampiro fumando incessantemente le mie sigarette preferite.

   Alla fine vedevo il "mostro" - si fa per dire - che si approssimava  da lontano svolazzando verso di me, a cavallo di una valchiria.

   Allora prendevo il coltello, che avevo alla cintola, e lo nascondevo sotto le vesti pensando:- Ora ti aggiusterò io, maledetto assassino ...

 Appariva il vampiro. Era però ricoperto di una strana corazza, da cavaliere nero del nostro Medioevo.

   Io, comunque, mi avvicinavo a lui brandendo il coltello, che splendeva, con la sua lama d`oro, al chiarore della luna.

  A un tratto le ali del vampiro si aprivano svelando un uomo biondo, dagli occhi azzurri, di sovrumana bellezza. Questi mi stringeva forte tra le sue braccia.

   Mi aveva preso come in una morsa d`acciaio, impedendomi di brandire il pugnale sacrificale. Ma avendolo visto, al coltello non pensavo neppure più. Sapevo che il cavaliere nero era Sigfrido. Ma quel Sigfrido aveva - diceva Sabina - il volto del dottor Carl Gustav Jung, benché fosse molto più bello di lui (bontà sua, dico io).

 Jung-Sigfrido mi sollevò dal suolo, sulla sua valchiria, ed io volai via con lui."

 

   Qui Gross mi interruppe. - E così - disse - tu sei il Sigfrido di questa deliziosa donzelletta ebrea, russa, musicofila ed aperta al nostro mondo psicoanalitico. Très bien, mon frère. A questo punto i dettagli mi interessano poco. Posso immaginare le associazioni della donzelletta, in analisi, con un tal sogno ... Piuttosto sarei curioso di sapere come lei veda Sigfrido, voglio dire il Sigfrido di Wagner, che è poi il suo Sigfrido. Ed anche come lo veda tu.

- Musicalmente, vuoi dire?

- Ma no! - fece Gross -, non tanto musicalmente quanto come mito vissuto ... Anche Sigfrido, caro mio, è un figlio ribelle...

- In che senso, Otto?- chiesi io con curiosità.

- Boh! Intanto, - rispose lui - Sigfrido accoppa il nano Mime. È vero che quel brutto ranocchio era solo il suo padre adottivo ... Ma noi sappiamo come vanno le cose. In tali casi padre adottivo sta per padre reale, ma rifiutato dal figlio, così come madre vergine sta per madre che ha avuto un figlio che i borghesi chiamano illegittimo, alias da un uomo diverso dal marito ...

- Oh! Gross - dissi io -, a volte sei insopportabile con il tuo materialismo volgare ...

- Non ti inquietare - faceva Gross -, caro Carl Gustav. Non volevo offendere la tua Vergine Maria, che oltre a tutto è una figura simbolica a me cara. Infatti quel mito "mariano" non giunge a vedere Dio come donna (Lui resta Padre, e Gesù ha una sua maschilità esemplare); pure il vedere Maria come "madre di Dio" è già qualcosa, non ti pare? - Non è l`alma mater Venere, dea dell`amore, e neanche Demetra, alias Cerere, madre delle bionde messi, natura come un tutto divino al femminile, ma è pur sempre una Grande Madre, sia pure all`ombra del solito Padre ...

  Comunque io pensavo soprattutto a Mime, nel cui smascheramento, con relativa uccisione, si cela certo la lotta del vero eroe contro il padre ... E forse una lotta del genere da parte dello stesso Wagner ... Poi direi che è pure da tenere presente la componente incestuosa del tuo mito, o del mito preferito della tua piccola intellettuale russa, con le storie infantili, pur sublimate o superate, di cui mi hai detto. Sigfrido nasce pure, per Wagner, dall`unione di un fratello con la sua sorella, in odio al dio maggiore Wotan, o Odino che dir si voglia ...

  Come psicoanalista direi che la tua piccola ti vede come Sigfrido, ma anche come il figlio di un incesto divino fatto in odio al dio padre, che di lei ha abusato. Nel mito è Wotan a permettere - il che letto in controluce vuol poi dire "volere" - la morte del figlio Sigismondo, e anche della figlia Siglinda,  salvata a stento da Brunilde, ossia è il maggior dio padre a desiderare la fine dei genitori di Sigfrido. Questa Brunilde, che ha reso possibile la nascita (la rinascita psicologica?) del suo amato Sigfrido, sarà a lui legata, con la forza del grande amore, per la vita e nella morte.

- Hai fatto una dotta digressione ed amplificazione dei sogni e miti in oggetto, caro Gross. Ma che ne deduci per quel che mi concerne?

- Ne deduco che tu, mio piccolo Sigfrido, sei destinato all`amore totale con Brunilde-Sabina, ma vi leggo anche il vostro destino tragico, che però a te alla fine sarà risparmiato ...

- Perché dici così ? - chiesi a Gross, che per l`occasione era diventato il mio psicoanalista e magister vitae.

- Perché Sigfrido finisce male, come tutti gli dèi (o eroi, legati agli dèi), che però sono pur sempre il suo mondo ... Ma tu, caro mio, non sei veramente Sigfrido. Prima di morire, tu, preferirai far morire il tuo eroe. Tu sei svizzero, caro mio, molto equilibrato in fondo al cuore. È lì il tuo gran culo ... Non sei, come me, un tardo-romantico tedesco, mentre magari Sabina sarà un`Anna Karenina, romantica russa, sino al midollo. Io, se mai fossi il Sigfrido di una vera Brunilde come questa tua donnina sembra essere, finirei per trovarmi in lotta contro tutti gli dèi, contro l`ordine generale, e perirei, ben inteso al posto dei numi, “paterni”, che seguiterebbero a vivere. Tu no! Che culo! Che culo! ...

  Ma dimmi una cosa, caro Carl Gustav. Dimmela proprio in camera caritatis, inter nos ...

  Io - conquistato - risposi:- Di` pure, caro Otto ...

  E lui:- Chiava bene la piccola?... Beato te, caro amico. Una graziosa girl che sin dai sette anni si grattava la passera a più non posso, a letto deve essere come il Vesuvio, o come una gatta in calore, oltre a tutto col suo gattone "numinoso", il suo Sigfrido …

- Ma io - protestai - non ci vado affatto a letto. Non me lo sogno nemmeno. Sarebbe, oltre a tutto, contrario alla mia deontologia professionale ...

- Povero cocco! - fece lui con evidente sarcasmo - A chi la vuoi dare a bere? Lo sai anche tu, sotto sotto, che il muro delle tue resistenze pretese morali di fronte ad una brunetta graziosa, giovane e geniale come quella tua piccola ebrea, è destinato a sgretolarsi ... E allora, un po` di amor fati, per Dio!

     Io sospirai, osservando:- Purtroppo io sono un buon marito e padre di famiglia svizzero tedesco, e non intendo rinunciare a tale status, anche se - lo riconosco - questa Sabina mi attrae più di quanto il canto delle sirene attirasse il povero Ulisse ...

- E allora chiavala! Chiavala! Chiavala senza problemi, caro Carl Gustav - sbottò il sanguigno Gross -. Non formalizzarti! Non accettare divieti addirittura contro natura, che cazzo!

- Che cosa vuoi dire? - chiesi io turbato e tentato da quella forza della natura scatenata, da quell`essere dionisiaco, che pareva quasi un`incarnazione dell`élan vital di Bergson, che stava seduta di fronte a me su un`altra comoda poltrona.

- Voglio dire che la monogamia, istituzione che tu difendi accettandola persino interiormente oltre che giuridicamente o per convenzione, è il più grande errore evolutivo della nostra specie. Forse è addirittura l`ultima barriera, l`estremo tabù, la vera grande muraglia che si frappone tra noi e la libertà libidica, o delle foreste, o del "buon selvaggio". Altro che capitalismo! Altro che religione! È la famiglia monogamica la prima ed ultima istituzione che si frappone tra noi e la libertà, tra l`oggi e la santa anarchia naturale. Bisogna abolirla! Ed abolirla - questo è il punto decisivo di cui non dimenticarsi mai - per restaurare la poligamia naturale, al maschile ed al femminile.

- Al femminile? - feci io, stupito, ma non troppo.

- Ma sì, si deve fare come si vuole, in un senso e nell`altro. "S`ei piace ei lice", come diceva Lorenzo il Magnifico. Chi ce lo deve impedire?

  Non voglio affatto, caro Carl Gustav, fare del niccianesimo da strapazzo. Non sogno, infatti, un mondo al di là del bene e del male. O meglio, non lo sogno per dire che si deve prescindere dal bene per fare il male in santa pace. Se fosse così forse avrebbero ragione quei fottutissimi preti, da cui tu del resto derivi ...

- Come Nietzsche ...

- Appunto! Guarda un po` com`è finito: abbracciando cavalli in via Carlo Alberto a Torino… E oltre a tutto senza essersi prima preso neanche le soddisfazioni che mi sono preso io, e che spero di tornare a prendermi almeno per qualche tempo dopo che avrò accoppato quel traditore di mio padre e il suo complice, e controrivoluzionario, Freud: prima di far fuori anche me stesso. Voglio tornare a gustare la gioia di vivere, prima ed a costo di ogni tragedia: fiumi di ottimo vino, e soprattutto cocaina, santa cocaina, beata cocaina, divina cocaina; e inoltre figa, e ancora figa, tanta quanto piacerà alle mie donne ed a me stesso. Che cazzo! E poi musica, danza, dialoghi empatici a non finire. Ed anche amore: eterosessuale, bisessuale e pure omosessuale (essendo quest’ultimo non meno bello degli altri) …

    Sul momento lasciai cadere le minacce di duplice parricidio e di suicidio, che mi parevano sparate retoriche, atte ad infiorettare il discorso, in fondo per renderlo più efficace, come sempre faceva. Perciò chiesi:- Che vuoi dire con la tua poligamia, poliandria, ed elogio finale della stessa omosessualità?

 Ho l`impressione che tu faccia discorsi che quando ti avremo dimesso di qui - e ti dimetteremo di certo, tra un po` di mesi, perché forse siamo più matti noi di te - ti porteranno diritto e filato in galera. Nella patria di Sabina, anzi, finiresti per direttissima in Siberia ...

  Gross sorrise ed assunse l`aria del pedagogo, sicuro di essere salito, rispetto a me, in cattedra, su quel suo terreno ideologico favorito.

- Beh - disse -, intanto c`è da fare una constatazione preliminare abbastanza semplice: la famiglia non è un`istituzione naturale: ammesso, e non concesso, che lo sia anche una sola delle nostre istituzioni. Le specie animali non si sposano. So bene che ci sono alcune specie o sotto-specie con coppie fedeli per la vita, come i pinguini e forse i colombi. Ma noi non siamo uccelli, per Dio, pur avendo qualcosa tra le gambe che chiamiamo così ... Tra i mammiferi nessuno è monogamico. Al massimo lo è per il tempo di fare un figlio, come accade agli orsi. Ma non è la norma. Basta vedere quel che accade tra i cani o tra i gatti ...

 - Ma - obiettai io - la stessa ipotesi di Darwin, ora ripresa da Freud, non conferma il "tuo" discorso sulle unioni plurime. Pare che alle origini della nostra specie ci siano state tante piccole bande, o orde selvagge, dominate da un maschio padre-padrone, che riservava a se stesso il diritto di accoppiarsi con qualsiasi femmina, ovviamente prima che si formasse qualsiasi tabù sull`incesto, e lo negava con prepotenza agli altri. E pare che solo dopo la sua detronizzazione sia sorta la tribù, e con essa la famiglia più o meno come la conosciamo, che da allora si presenta come istituzione naturale ...

   Gross replicò con impazienza:- Tutte illazioni o da preti o da borghesucci dell`epoca vittoriana, che grazie a Dio sta per finire ... Erano lì Darwin e Freud per dirlo? Se non accade così in tutte le specie quantomeno di mammiferi, perché dovrebbe valere tra noi ?

   E poi perché mai avrebbe dovuto dominare proprio il maschio? A me sembra che tra i mammiferi la femmina abbia sempre il ruolo decisivo. Forse il maschio, questo porco dominatore che ha fatto di se stesso, in quanto padre, un dio, e perciò ha voluto che Dio fosse concepito come Padre, è stato effettivamente padrone dalla scoperta dell`agricoltura in poi, per via dei muscoli. Ma quanto tempo è passato da quando è accaduto questo? Settemila anni? Diecimila anni? Ben poca cosa rispetto alle centinaia di migliaia di anni, o forse ai due milioni di anni, che stanno alle nostre spalle.

   Io m`immagino benissimo i lunghissimi periodi in cui gli uomini vivevano di caccia e di raccolta spontanea dei frutti o di erbe. Quei cacciatori, necessariamente nomadi, avranno dovuto abbandonare spessissimo il piccolo villaggio, pur mobile: lasciando lì donne e bambini... È ovvio che in quei centri comunitari comandassero soprattutto le donne. E se comandavano, dal più al meno, vuoi che non chiavassero anche liberamente? Oppure vuoi che non lo facessero appena il maschio voltava l`angolo?

   Del resto alle pendici dell`Himalaya la poliandria c`è ancora oggi, qua e là, così come in certi villaggi "primitivi" dell`India. Non parliamo poi della poligamia ... A me questa sembra ben più rivoluzionaria della monogamia, anche per gli effetti. Nascono così più figli, come in tutta la natura.

  Io provai a ribellarmi:- Ma se la poligamia è propria degli arabi, che ancor oggi non riescono, a dispetto della loro antica sapienza mercantile e della loro viva intelligenza semitica, a superare il feudalesimo da cui noi ci siamo staccati da seicento anni !

- Ci sono cose buone e cose cattive nella Tradizione. La poligamia potrebbe essere una delle cose buone, se non ci fosse, insieme, quel lercio dominio dei padri che vuol suggellare tutte le relazioni con la legge, e magari con la religione; se, insomma, non si fondasse su norme tali per cui la donna entra in casa del marito, che è sposo già di tante altre, quasi senza poterci far nulla, e poi senza poterne più uscire quando vuole, rimanendo chiusa lì sino alla morte. Tutti i gruppi in cui si può entrare, ma non uscire, sono forme di schiavismo, negazioni estreme della libertà naturale.

  Ma comunque se il far figli segna il successo evolutivo di una specie, è indubbio che la poligamia lo garantisca al massimo. Tu, per esempio, caro Carl Gustav, potresti avere non già cinque, ma almeno una trentina di figli.

- Ma poi - dissi io facendo per una volta il "materialista storico" - i figli bisogna anche sfamarli ...

- Sì, - ammise lui - questo è vero. Ma se non vivessimo in un mondo contro natura, e la gente non fosse tenuta in vita a tutti i costi anche nella vecchiaia, o alla nascita, e di anno in anno sempre di più, e se non avessimo un modo di produrre che spinge al massimo dei consumi, costi quel che costi, per via della necessità di vendere sempre di più, ci sarebbero ottimi meccanismi regolativi spontanei, naturali, del nostro numero totale ...

   In ogni caso io faccio un discorso psicologico e morale, non già economico. Di economia io non capisco un cazzo. E tu neanche, se non erro ...

    Lo ammisi senza difficoltà.

- E dunque - concluse -, se la tua Brunilde semitica vuole il suo Sigfrido ariano, tu, povero cocco, non deluderla. Vedrai che non te ne pentirai! Cerca solo, se ti riesce, di non far soffrire troppo la piccola, alla fine, amico caro, se mai il tuo perbenismo piccolo borghese, che al pari di Freud tu mascheri e maschererai come "principio di realtà", opposto sempre a quello “libidico”, dovesse risucchiarti.

                                                                                   -----

A questo punto Jung si rivolse a me dicendomi:- Vede, Aniela, in effetti quel diavolo di Gross aveva colto nel segno in tutto e per tutto.

   Sin dai giorni successivi esplose tra me e Sabina una vera travolgente passione. Gross, con i suoi discorsi sulla poligamia, aveva bruciato le mie ultime remore. Sabina, per parte sua, non ne aveva mai avute.

   Lei era di una sottigliezza psicologica assoluta. Ora che sono così vecchio le dirò che mi sono persuaso di una cosa: molte donne dal grande animo sono rimaste, artificiosamente, satelliti di uomini che erano per esse il loro sole, a causa della nostra malsana civiltà. Sabina, in un altro mondo, avrebbe potuto diventare per la psicoanalisi una come me, come Freud, come Adler. Diciamo, senza falsa modestia, che avrebbe potuto costituire un "nuovo inizio", una scuola di pensiero e di pratica psicologica. Forse è stata per me quel che la sacerdotessa e filosofessa Diotima di Mantinea è stata per il giovane Socrate, da lei iniziato all`idea dell`amore totale e spirituale, come racconta Platone nel suo meraviglioso Simposio.

  Nei primi slanci della nostra reciproca tenerezza, mentre la nostra filìa - la nostra amicizia carica di eros quale quella cara ai convitati di Platone, come lei amava chiamarla - esplodeva, io le dicevo:

- Ti confesso di essere molto attratto proprio dalle donne ebree dai capelli neri.

   E lei:- In te c`é lo stesso impulso che spinge me verso la musica di Wagner: la tendenza a perseverare nella religione dei padri, radicata nel profondo della cultura della tua etnia, ed al tempo stesso ad esplorare una cultura diversa, una sacralità alternativa, che ti dia quel che nel tuo humus manca. C`è, anche in te, la tensione verso la liberazione dal giogo paterno, per il tramite di una persona altra dal tuo mondo. Anche grazie ad una piccola ebrea come me, mio caro ‘Sigfrido’, tu potrai realizzare in te la tua coincidentia oppositorum. Ma questo vale anche, e forse molto di più, per me.

  Del resto, quello che con me ti capita attraverso l`amore, sul piano spirituale e culturale ti è già accaduto con Freud. Anche lui ti ha consentito l`interiorizzazione di un padre spirituale diverso dal tuo. Ma tu - concluse ridendo - non fargli fare la fine di Mime, mio dolce Sigfrido ... 

   Insieme io e Sabina ci amammo, allora, un poco come Tamino e Pamina nel meraviglioso Flauto magico di Mozart, nel loro grande viaggio attraverso gli inferi (che sono poi l’inconscio collettivo). Il nostro fu un primo grande viaggio nei recessi della mitologia. Ciò che Sabina scrisse in proposito nel 1911, studiando in chiave psicologica la mitologia, è del più alto interesse. E per alcuni aspetti si svolge parallelamente al mio stesso pensiero, o addirittura lo anticipa. Mi riferisco al suo saggio Contributo psicologico su un caso di schizofrenia, che era in parte autobiografico, ma che risentiva pure della preparazione specifica che la mia cara amica veniva acquisendo, studiando - ormai guarita - Medicina all`Università di Zurigo. Innanzitutto intuiva qualcosa di decisivo su cui poi Freud avrebbe tanto lavorato: la bipolarità tra pulsione d`amore e pulsione di morte nella psiche; ma vedendo nella pulsione di morte, come era o sarebbe stato proprio del mio approccio, un’irresistibile tensione verso la rinascita vera e propria. Certo era wagneriana anche in questo: il mondo nuovo interiore presupponeva l`inabissarsi totale, il morire, di quello vecchio e marcio, come nel Crepuscolo degli dèi. Ma, soprattutto, Sabina interpretava il simbolismo mitico come l`universo formale del pensiero arcaico dello schizofrenico, un pensiero spersonalizzato e collettivo sempre ...

- Qui - dissi io - non capisco ..., o meglio penso che ci vorrebbe qualche spiegazione ulteriore ...

- Ha ragione, Aniela. Voleva dire che lo schizofrenico ragiona non come noi, ovviamente, ma come l`uomo primordiale, in certo senso delle caverne, arcaico, di cui cogliamo ancora le tracce tra i cosiddetti selvaggi “più arretrati”, cioè naturali, del nostro tempo. Per quel tipo non valevano e non valgono tanto le concatenazioni logiche, ma grandi suggestioni, folgoranti immagini, visioni, storie in cui si perde il confine tra il naturale e il soprannaturale, e il secondo gli pare più reale del primo. Quello che in noi fa scattare subito simboli logici, o concatenazioni di concetti, si presenta al primitivo, e allo schizofrenico, come qualcosa di improvviso, di inaspettato, di magico, di unico, e le visioni del genere si uniscono tra loro, un po` come nei sogni, venendo a formare delle serie di miti: quelli che poi io avrei chiamato miti dell`inconscio collettivo ...

- Sì - dissi io -, ora va meglio ... E poi ..., come seguitò poi la storia d`amore tra Lei e Sabina?

 Qui il vecchio Jung sospirò profondamente e disse:- Finì male, molto male, e lei pure purtroppo, tanti anni dopo, finì male.

   Era sufficientemente realistica da non progettare, in un tempo e mondo come quello in cui vivevamo, oltre a tutto in un paese un po’ conformista come il mio, una mia separazione da mia moglie e dai miei numerosi figlioli. Ma pensava che potessimo consolidare una specie di bigamia, in cui lei avrebbe vissuto, quantomeno come seconda moglie di fatto, nell’ombra. Ma, soprattutto, coltivava in modo quasi ossessivo il sogno di avere un figlio da me, che avrebbe chiamato Sigfrido. L’eroe salvatore, che ero stato io guarendola dalla follia, e con cui lei si era identificata sino ad amarmi e ad essere amata in modo totale, portava il nome del protagonista di un’opera wagneriana amatissima da lei come da me. Io non volli darle retta, su ciò, in alcun modo, non volendo dar vita ad una creatura mia che non avrebbe potuto vedermi come padre.

- Sembra che con ciò non abbia voluto far vivere “Sigfrido”.

-  Sì, e me lo disse anche un grande sogno che suggellò, infine, la sorte del mio essere, o meglio, “non essere”, Sigfrido. 

   (Jung prese a raccontare, tenendo sotto gli occhi un vecchio appunto ingiallito, tratto da un misterioso cassetto).

- Mi trovavo con uno sconosciuto. Era un giovane negro e selvaggio. Stavamo, insieme, in un paesaggio solitario di montagne rocciose … Naturalmente sin qui tutto è chiaro, vero Aniela?

- Direi! Il giovane bello connotato dalla “nigredo” non è nient’altro che l’archetipo dell’Ombra, ossia del lato selvaggio, ed anche un po’ demoniaco, del suo inconscio, non è vero?

- Brava, Aniela!

- Grazie, ma questa per noi è l’A, B, C. Piuttosto vorrei provare a indovinare una seconda cosa, prima ancora di sentire il seguito. Scommetto che quel paesaggio montuoso assomigliava a quello del Caucaso, da cui veniva Sabina.

- Diavolo di una segretaria ed analista!

- Ma prosegua, La prego.

- Sì… Era quasi l’alba. Infatti il cielo a levante era già chiaro e le stelle stavano per spegnersi.

- Aurora!

- Allora risuonava per le montagne il corno di Sigfrido.

- Musica wagneriana sullo sfondo.

   Jung sorrise assentendo e proseguì: - Io sapevo benissimo che io e il selvaggio nero eravamo lì per uccidere Sigfrido.  Eravamo armati di carabine e stavamo appostati su uno stretto sentiero roccioso.

  Improvvisamente appariva Sigfrido, la cui imponente figura si stagliava sulla punta della montagna, illuminato dal sole.

- Eroe apollineo, insomma. Del resto Febo, Apollo, è il dio del sole.

- In effetti, proprio come Febo, si ergeva su un carro, ma questo carro nel mio sogno aveva la particolarità di essere costruito con teschi umani. Egli scendeva a pazza velocità lungo il ripido pendio. Non appena emerse, dalla curva, gli sparammo e lo uccidemmo.

   Per questo delitto venivo subito preso da un grande senso di colpa. Sentivo che avevo ucciso l’immagine stessa della bellezza e della grandezza in cui mi ero riconosciuto. Ero profondamente disgustato di me stesso. E inoltre avevo paura di venir castigato come suo assassino.

  Ma allora cominciava un grande temporale, una specie di inondazione, che, provvidenzialmente, avrebbe cancellato ogni traccia anche di quel glorioso cadavere. Ciò avrebbe impedito che io venissi scoperto come assassino di quel giovane quasi divino. La mia vita avrebbe perciò potuto seguitare, anche se avrei dovuto convivere con un tremendo rimorso.

- Ha detto che il sogno le parve tale da dover essere amplificato, sino ad assumere il senso di un mito epocale.

- Sì, è così. Sigfrido mi pareva rappresentare il mito della Germania, pronta a trasformare la sua volontà in destino universale, in un impulso incoercibile di autoaffermazione, che però comportava la morte di innumerevoli innocenti (i teschi di cui era fatto il carro dell’eroe del sogno). Si era alla vigilia della prima guerra mondiale, che presentii anche tramite grandi sogni in cui vedevo mari di sangue. Tornavano gli eroi del Walhalla germanico, poi evocati dallo stesso Hitler, ma per me, come già per Wagner alla fine, il loro riprecipitare nel mondo ctonio, oscuro, dell’inconscio collettivo e della morte, era fatale. Sigfrido doveva morire perché la vita potesse seguitare a fluire, fecondata dall’inconscio, ossia dalla pioggia più intensa.

- Ma naturalmente nel sogno c’erano pure grandi messaggi relativi alla sua storia personale.

- Sì, sapevo che l’abbandonare Sabrina, il cessare di essere il suo idealizzato Sigfrido, il non volerle dare il figlio che ella avrebbe voluto proprio chiamare Sigfrido, cui essa anelava, e che era evidentemente il doppio reale di me stesso, equivaleva al far morire Sigfrido stesso, ossia ad ucciderlo, sopprimendo colpevolmente l’eroe che egli era stato per lei e per me. Era la dura prosa della vita, dopo tanta poesia vissuta.

  Capitò, infatti, questo. Ad un certo punto la storia d`amore tra noi divenne così seria, così manifesta, così gioiosa, da scatenare le ire della mia "Giunone". Questa - ma badi bene, Aniela, a non trascrivere nulla, per la stampa, su tutta la vicenda, che dovrà restare segreta per i prossimi cinquant`anni - si premurò di scrivere alla famiglia di Sabina denunciando la "tresca", per lei deplorevole. La madre di Sabina allora mi scrisse tutta indignata, come se io fossi venuto meno alla mia deontologia professionale. Io le diedi una risposta forse piccolo borghese (non credo che sia andata così perché io lo sia o fossi più che tanto, ma perché al momento quella mi parve l`unica argomentazione comprensibile da parte di quella vecchia signora, vedova di un grande commerciante ebreo). Le ricordai che da anni non ricevevo quattrini per Sabina, che pure avevo salvato dalla follia, e le ricordai il mio onorario di dieci franchi per consultazione. Da ciò deducevo che il rapporto con Sabina andava visto come relazione tra due libere persone adulte e non come una relazione “deplorevole” tra medico e paziente. Se il medico non è pagato, non è medico ... La cosa, poi, si è risaputa, ed io ne ho sofferto non poco, perché - sì, è vero, lo ammetto - tengo moltissimo alla rispettabilità. Non so se ciò sia borghese, ma è così.

   Forse avrei potuto essere meno brutalmente pratico, e quasi "mercantile", anche con quel ghénos di mercanti ebrei. Forse quella mia stessa risposta evidenziava qualche mio pregiudizio nei confronti dei semiti, anche se non sono mai stato, neanche per un minuto, un antisemita cosciente. Comunque, in quella circostanza, a torto o ragione, ma certo più a torto che altro, feci quel che feci. Punto e basta.

   Ma la cosa che ancora mi brucia, facendomi sentire "l`amarezza del rinunciare", fu proprio la fine della relazione con Sabina. Era una relazione diventata impossibile, anche perché era impossibile per quella geniale giovinetta accettare il ruolo di semplice amante che vivesse appena tollerata all`ombra del suo uomo, che oltre a tutto non aveva voluto darle un figlio (e forse era giusto che non l`accettasse, benché, come Lei ben sa, sia stata poi ben diversa, anni dopo, la scelta di un`altra grande donna, Antonia Wolff, da me amatissima per quarant`anni al di fuori del matrimonio). Così la nostra grande filìa finì.

- Perché dice che era giusto che Sabina non accettasse il ruolo di amante che vive con discrezione accanto all`amato già maritato, poi accolto dalla nostra Toni Wolff?

- Cara Aniela, ormai io ho più di ottant`anni, ed è giusto che superi del tutto i residui da piccolo borghese che mio malgrado mi hanno condizionato tanto fortemente in alcuni momenti della mia vita, quasi come mio lato d`ombra ...

     L`uomo - è questo il punto - non ha mai il diritto di ridurre un altro uomo (o donna), per la vita o comunque per periodi lunghi e significativi di essa, ad un ruolo "servile", si tratti pure del ruolo di un servo amato, o coccolato, e cui si fa credere - anche in buona fede - che egli non sia servo, ma collaboratore ed amico insostituibile; e sia pure l’altro uomo - o donna - volontariamente e magari entusiasticamente integrato - o integrata - del tutto nel suo cono d`ombra. Come non deve esistere alcuna "razza di signori" non debbono esserci neppure "signori". E questo deve valere altrettanto, ed anzi molto di più, per noi uomini, nei confronti delle donne amate, o anche semplicemente delle donne alle quali vogliamo bene dal più profondo dell`anima. Nessuna donna amata, tanto più se da noi veramente amata, e nessuna donna amica, tanto più se veramente nostra amica, merita un destino "ancillare" nei nostri confronti. Se poi si tratti di personalità creative e creatrici così come siamo noi, la reductio ad unum, il sacrificium intellectus, il poter partecipare alla mensa del sovrano solo entrando dalla porta di servizio, non vanno in nessun modo. Sono una forma di annullamento della personalità altrui - addirittura amata - grave per chi la promuova e per chi la subisca.

    Dove sono le opere di Sabina, cara Aniela?

    Io replicai:- Dottor Jung, non vorrà mica colpevolizzarsi perché Sabina Spielrein o Toni Wolff o altre non hanno scritto libri come i suoi?

- No, no, Aniela. Non è certo stato colpa mia. O almeno non è stato primariamente colpa mia. Forse è tutto un contesto storico che ha lavorato contro le personalità geniali del suo sesso. Forse è il vostro stesso attaccamento alla famiglia, alla maternità, all`amore, che pure è la vostra prima e assolutamente invidiabile forza (da generatrici primarie della specie umana), a penalizzarvi. Infatti chi crea opere destinate a restare nei tempi lunghi della storia finisce sempre per porre in secondo piano le relazioni più personali, d’amore e d’amicizia, per concentrarsi sulla propria missione, che per lui vale più della sua stessa vita. Ma ciò può deludere le persone più care, suscitandone il risentimento, per altro comprensibile (anche se non bello). Sabina stessa confermava la regola. Ancora dieci e più anni dopo, verso il 1922, ad un congresso di freudiani, fece un discorso in cui vi erano taluni trasparenti riferimenti a me, fatti per mettermi in cattiva luce presso quelli che erano diventati miei avversari. Per tal via, però, la cara donna mostrava che l`essere stata abbandonata da me le bruciava ancora. In quel contesto versava miele nel palato dei delegati, freudiani, un tempo miei amici, ma ormai a me ostili in modo irriducibile e per la vita, a partire dal grande Sigmund (come sanno esserlo solo gli ebrei, e forse anche tutte le donne profondamente ferite nell’anima). Io comunque riconosco che Sabina, come donna, non aveva tutti i torti ...

- Lei mi stupisce, dottor Jung - dissi io -. Ancora autocritiche?

   Jung rispose:- Ma sì, sì, sì, sì Aniela ... Gross me l`aveva pur detto. "Io" - aveva più o meno osservato nella nostra conversazione-fiume - "se fossi in te prenderei la piccola, mollerei moglie e figli, prosciugherei il conto in banca e scapperei a Parigi con lei, ricominciando lì la mia vita, anche come psicoanalista ... Ognun per sé e Dio per tutti. Ma tu - mi aveva detto, come le ho raccontato - non lo farai mai  ..."

  E in effetti non l`ho fatto, e forse non lo farei neppure adesso che sono diventato, si fa per dire, un "vecchio saggio". Sono un montanaro, io … Sono uno svizzero equilibrato, io ... Sono uno che ha sempre votato per i liberali, anche se ha un animo libertario. Siccome, però, mentre sono libertario resto liberale, e viceversa, le rotture traumatiche, le scelte di vita radicali, gli atteggiamenti iconoclasti, il girar pagina una volta per tutte, le opzioni rivoluzionarie, non fanno per me, pure tentandomi, e pur provocando lo scuotimento dell`albero del mio essere sino alle radici. Sospetto sempre che queste scelte estreme siano o forme di suicidio o fughe dalla realtà, e dalla responsabilità, o opzioni che poi ci faranno cadere dalla padella nella brace. Sospetto anche il contrario, sia chiaro, ma questo sospetto di cui ho detto ora è in me il più forte, il più fondato nel mio tipo psicologico ...

  Tacqui un poco. Tacemmo entrambi per un buon minuto. Poi chiesi:

- Accennava, ora, a Gross. Come finì questo suo amico?

- Pochi giorni dopo i dialoghi di cui le ho parlato, il buon Gross scavalcò il muro di cinta del nostro ospedale e fuggì via. Mi lasciò una lettera, per la verità piena di incoerenze che attestavano una nuova improvvisa irruzione di follia. Dal testo comunque risultava che tornava in Austria per sparare ai suoi padri in carne e in spirito, a Gross senior ed a Freud. Naturalmente telegrafai subito ad entrambi per avvertirli della fuga e del pericolo. Così Gross arrivò a Vienna e venne subito fatto rinchiudere in manicomio laggiù. Non ne ho più saputo nulla. Ho solo saputo che alcuni anni dopo morì, credo di polmonite. Ma non mi stupirei se non l`avessero raccontata giusta, se Gross - il mio amico Gross - si fosse suicidato. Secondo me il suicidio era nel suo karma, era inscritto nel suo tragico destino. Ma già la follia, in cui di nuovo era precipitato, è per me, generalmente, un suicidio psichico.

- E di Sabina non ha più saputo niente?

- Purtroppo sì. All`inizio degli anni Venti la dittatura dei soviet era parsa aprirsi all`Occidente.

  Alcuni anni prima di morire Lenin aveva varato la Nuova Politica Economica, la cosiddetta NEP: una specie di via socialista al capitalismo prevalentemente privatistico. Tornò la libertà d’impresa su larga scala, anche se i comunisti si riservavano il diritto di fare la cresta ai profitti, a loro dire per conto del proletariato, senza tante storie. Nel nuovo clima, riformista oltre che rivoluzionario, la stessa psicoanalisi, pur deplorata dal materialista Lenin, e tanto più dai suoi meno geniali epigoni, parve allora poter fiorire da quelle parti. Così Sabina tornò nella Russia dei suoi avi e della sua fanciullezza. Sotto Stalin, poi, naturalmente non poté più fare la psicoanalista, neanche in modo oscuro. Ma lei nel frattempo si era sposata ed aveva avuto due figlie. Fu, così, investita dalla terribile seconda guerra mondiale, ed in particolare dalla grande persecuzione contro gli ebrei da parte dei nazisti invasori. Lei aveva seguitato ad amare immensamente Wagner ed il suo Sigfrido, di cui ad un certo punto io le ero parso una personificazione. Di fronte alla brutalità immane della soldataglia, pensò ancora di potersi accapigliare da posizioni da persona civile con i capi nazisti. Fu rinchiusa con tutti gli ebrei di Rostov nella sinagoga, per essere avviata ai campi di concentramento, ai lavori forzati e poi allo sterminio. Trattata con brutalità, prese a ceffoni un ufficiale delle SS, che senza tanti complimenti la ammazzò a rivoltellate. Così Sabina realizzava il suo destino di Brunilde, nel terribile crepuscolo degli dèi dei fedeli di Wotan. Il Sigfrido collettivo la fece morire una seconda volta, in tale occasione anche fisicamente.

Il vecchio Jung aveva, a questo punto, le lacrime agli occhi. Poi tossicchiò in modo concitato, senza riuscire a parlare per un bel po’. Calmatosi, si accese la pipa, e solo dopo un altro intervallo fu in grado di parlare, ma solo per dirmi:- Per oggi basta, Aniela. Non è proprio il caso di continuare. Riprenderemo la prossima settimana. A Dio piacendo(10).

 21 ottobre 2006

(segue)

 

 

21/10/2006 12:00:00
04.11.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it )- E poi che accadde?- In quello stesso periodo fui invitato a tenere una serie di lezioni sulla teoria psicoanalitica alla Fordham University di New York. Il contesto di rottura con i freudiani mi consentì di esporre per la prima volta in modo aperto e ampio una nuova teoria...
 
27.10.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it ) Quando ci rivedemmo, io esordii osservando:- Dottor Jung, abbiamo parlato di tanti eventi che si sono svolti sullo scorcio della fine del primo decennio del secolo. Da quel punto, abbiamo pure...
21.10.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it )Sì, sì, sì - disse Gross -,. lo riconosco. Te l’ho già detto anch’io … Ma a vincere, alla fine, è stato il Padre, il Grande Padre, sempre maiuscolo e sempre minuscolo, e sempre sulla nostra pelle e sulle nostre palle; per non dire della sorte toccata alle nostre sorelline, che...
 
14.10.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it ) - Se dovesse indicare - chiesi a questo punto al vecchio Jung - quale sia stato il contesto d`esperienza, in senso professionale, in cui si determinò la rottura irrimediabile con Freud, in che cosa lo individuerebbe? Quale fu insomma l`origine pratica, non banalmente privata,...
07.10.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it)- Alla luce di queste sue testimonianze, in fondo Freud - osservai io - con la sua psicologia umana tutta incentrata sullo spettro del padre non aveva affatto torto.- Lei mi vuole provocare ...- È il mio mestiere, qui, non è vero? Ci mettemmo entrambi a ridere.- Freud - notò...
 
30.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it)- La psicoanalisi di Freud - chiesi allora al vecchio Jung - accentra tutta l`analisi sui traumi psichici della prima infanzia, ma in generale ad essere vagliati sono soprattutto adulti, per lo più di sesso femminile. Mi chiedevo se Lei, in questa fase freudiana della sua vita,...
23.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it) Verso la fine del mio tirocinio in Psichiatria cominciavo a diventare quel che si dice - anche se a me quest`espressione ha sempre fatto un po` ridere - una celebrità. E non sempre per ragioni “scientifiche”. Avevo preso ad applicare, come Le ho già detto, l`ipnosi a scopo...
 
14.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it ) - Così, attraverso lo studio sistematico dei fenomeni medianici della giovane cugina isterica Helly, iniziai il mio lungo viaggio nei misteri della mente.Mi ero appena laureato, per la verità nel migliore dei modi, quando Bleuler mi offrì un posto da assistente in Psichiatria...
09.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it)Rimanemmo silenziosi, nella penombra, per circa un minuto. Jung si accese la pipa e cominciò ad emettere piccole nuvolette di fumo dal suo “camino”. Poi ruppe il silenzio:- Forse potremmo ricominciare. Ma non saprei bene da dove …- Beh - replicai - intanto potrebbe dirmi quale...
 
02.09.2006
Franco Livorsi
(franco.livorsi@unimi.it )Le escursioni filosofiche del "primo Jung" mi avevano incuriosita. Perciò nell`incontro successivo ripresi la conversazione da quel punto.- Potremmo ricominciare a parlare dei suoi filosofi da comodino della prima giovinezza?- Volentieri, ma smettiamola con i nostri meravigliosi...
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Alessandro Gassman e Marco Giallini sul grande schermo ...
Al Teatro Sociale tornano i tanto attesi appuntamenti del Sabato Pomeriggio in Famiglia quest'anno una...
Segnaliamo un articolo comparso sulla rivista economiaepolitica.it in cui si sostiene la tesi che le...
Segnaliamo un interessantissimo articolo di Rosa Canelli e Riccardo Realfonzo sulla crescente disuguaglianza...
Il Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio annuncia che il Gruppo di Lavoro Tecnico-Scientifico...
Segnaliamo un interessantissimo articolo del prof. Felice Roberto Pizzuti docente di Politica Economica...
I MARCHESI DEL MONFERRATO NEL 2018 Si è appena concluso un anno particolarmente intenso di attività,...
Stephen Jay Gould Alessandro Ottaviani Scienza Ediesse 2012 Pag. 216 euro 12​ New York, 10 settembre...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/diritti/scuola-sanita-e-servizi-pubblici/servizio-sanitario-nazionale-a-prezzo-regionale-il-paradosso-del-ticket/...
Segnaliamo, come contributo alla discussione, un interessante articolo comparso sul sito “Le Scienze.it” Link:...
Il Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato” presenta il suo nuovo progetto per il 2018: le celebrazioni...
Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista online economiaepolitica http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/la-ripresa-e-lo-spettro-dellausterita-competitiva/...
DA OGGI IN RETE 2500 SCHEDE SU LUOGHI, MONUMENTI E PERSONAGGI A conclusione di un intenso lavoro, avviato...
Segnaliamo il libro di Agostino Spataro, collaboratore di Cittàfutura su un argomento sempre di estrema...
Memoria Pietro Ingrao Politica Ediesse 2017 Pag. 225 euro 15 Ha vissuto cent’anni Pietro Ingrao...
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