(franco.livorsi@unimi.it )
Quando ci rivedemmo, io esordii osservando:
- Dottor Jung, abbiamo parlato di tanti eventi che si sono svolti sullo scorcio della fine del primo decennio del secolo. Da quel punto, abbiamo pure divagato un poco in avanti, se così posso dire. Ma non abbiamo ancora parlato del grande evento psicoanalitico che si verificò, per lei, in quegli anni: voglio dire della rottura con Freud, con relativa successiva nascita di una sua scuola psicologico analitica autonoma. Si sente di parlarne?
- Infandum, regina, iubes renovare dolorem … “Dolore indicibile tu vuoi ch’io rinnovi, o regina”, come narra Virgilio, nel momento in cui fa raccontare da Enea, a Didone, la caduta di Troia …
Va bene, Aniela, parliamone pure. Questa parte non può certo essere saltata.
Della centralità del ruolo che stava assumendo lo studio "psicoanalitico" della mitologia mi pare che abbiamo già detto molto. Ora deve sapere che proprio mentre Freud stava scrivendo il libro di cui già abbiamo parlato, incentrato su miti e riti degli aborigeni australiani - Totem e tabù - io mi venivo incredibilmente entusiasmando per quello di Friedrich Creuzer, uscito addirittura nei primi due decenni del secolo scorso: Simbolismo e mitologia dei popoli antichi.
A quel punto mi imbattei in un testo pubblicato sulla rivista "Archivi di Psicologia", diretta a Ginevra, dal mio amico Theodore Flournoy. Si trattava dell`anonimo delirio - scritto - di una pazza, che molti anni dopo risultò essere un`oscura poetessa americana. Nella rivista l`identità era celata sotto lo pseudonimo di Miss Frank Miller. Io fui subito colpito dal carattere mitologico delle fantasie di questa malata di mente. Tali fantasie agirono come un catalizzatore sulle idee che disordinatamente stavano prendendo forma nel mio spirito. Misi in luce queste mie nuove acquisizioni attraverso un vasto commento del delirio della Miller, che originariamente intitolai Trasformazioni e simboli della libido, e che esattamente quarant`anni dopo, nel 1952, in edizione molto rimaneggiata, chiamai Simboli della trasformazione.
Il primo titolo era ancora freudiano, nelle intenzioni. In un certo senso era una captatio benevolentiae nei confronti del vecchio Sigmund. Temevo che il tutto avrebbe provocato la rottura con il mio illustre maestro viennese, ma speravo pure che questa scissione potesse essere evitata, e perciò facevo anche qualche compromesso formale, naturalmente risultato poi inutile. Certo - dicevo con il primo titolo - la "libido", la cieca tendenza al piacere amoroso, resta l`energia stessa circolante nell`inconscio, ma essa - ecco il punto - va ben al di là del desiderio sessuale, originariamente incestuoso, anatomizzato da Freud. Da quel plinto della libido, della “casa dell’essere”, o della psiche, sorge un vasto e complesso edificio, che travalica il desiderio meramente sessuale.
Compresi, in modo particolare, che i simboli, e connessi miti dell`inconscio dell`uomo, invece di essere segni e fantasie della mera vicenda psico-biologica personale - freudianamente ritenuta sempre uguale a se stessa nonostante le migliaia di variazioni - erano la matrice inconscia da cui emergevano via via le credenze. In tal caso erano i simboli, e miti, che si palesavano nei sogni o fantasie spontanee - come quelle della pazza in questione - a dover essere interrogati sull`essere personale, e non il contrario. Era la mitologia che doveva spiegare, come vissuto psicologico più interiore, la biologia, più che non l`opposto. La via doveva andare dai miti al vissuto personale invece dell’opposto. Era la storia, in primo luogo del substrato mitico dell`inconscio nel suo emergere attraverso il variare dei tempi, a dover illuminare la psicologia personale, piuttosto che questa a dover risolvere in se stessa, nel suo privato, la storia, i simboli ed i miti. E come la scienza storica si dà poco pensiero del futuro, che invece sta tanto a cuore al politico, così anche le combinazioni psicologiche riguardanti il futuro dell`individuo non sono tanto oggetto dell`analisi quanto di un raffinato sintetizzare psicologico, ossia di una sorta di arte o fiuto come quello che il politico ha in mezzo ai fatti, intuito tale da consentirgli di seguire le correnti naturali della libido. Capisce? O meglio, mi spiego?
Lo storico racconta i fatti, basandosi sui documenti (certo a modo suo). Ma non sa vedere dove vadano a parare i fatti stessi quando non si siano ancora verificati. Invece la capacità di vedere, o meglio di intravedere, dove le cose vadano a parare, fa parte dell`arte del politico. Allo stesso modo lo psicologo come scienziato può solo ordinare i dati del caso - o dei casi - che studia, ma il vedere, su tale base - com`è per lui fondamentale - dove su tale base il singolo vada, o i singoli vadano, a parare, e il farvi fronte con indicazioni idonee, è un`arte, proprio come quella del politico. Si indovina una linea di tendenza, sulla base di un`analisi approfondita, e insieme al paziente si cerca una soluzione. Tutto qui.
- È il limite della scienza ed è anche il limite dell`intervento umano, connesso del resto alla libertà dell`anima. "Del doman non c’è certezza", come diceva il poeta.
- Sì, anche se paradossalmente questo limite che c`è in noi non c`è per l`inconscio. Nei sogni c`é sempre uno sguardo acutissimo sul futuro, uno sguardo che - quando osserviamo i nostri sogni procedendo a ritroso - analizzandoli a fondo, spesso risulta singolarmente profetico. Avessimo dato retta ai nostri grandi sogni, alle nostre fantasie interiori, al mito che coltivavamo nel più profondo della nostra anima! Tutta la nostra vita sarebbe stata diversa, e non certo peggiore. Quante volte ce lo diciamo? È per questo che i popoli antichi credevano tanto nel carattere profetico dei grandi sogni ed è per questo che in forma superstiziosa, ma non certo infondata, tanti ci credono anche adesso.
- Noi junghiani, ad esempio - dissi io ridendo.
- Già …- assentì il vecchio Jung, che non amava sentir parlare di "junghiani" - . Ora, - proseguì - tra i simboli, con connessi miti, più presenti da sempre nell`inconscio come fantasie che tornano e ritornano in mille modi - sempre però tra loro simili - in tutti i popoli e tempi, c`é per me l`idea di Dio, o meglio l`archetipo di Dio: Dio come impronta originaria di un Altro che ha per me i caratteri del nume: di uno che ci sovrasta, ci illumina o ci acceca, per sua natura.
- E perché tutto questo va contro Freud?
- Perché per lui Dio era una fantasia prodotta dall`odio-amore per il padre reale, mentre per me semmai è la presenza in noi del simbolo e mito di Dio a creare in ciascuno la fascinazione per il padre. Non è Dio ad essere un surrogato del padre, ma è il padre ad essere un surrogato di Dio, per quanto ciò possa suonare paradossale per una mentalità concretistica. Tant`è vero che il padre passa, ma Dio resta. Non è insomma il mito a dipendere dalla storia personale, ma è la storia personale a dipendere dal mito. Non dico che il mito la spieghi: il mito la costella. Certo la fantasia religiosa si serve dei genitori. (Questo si vedeva anche nelle fantasie della signorina Miller). Ma se ne serve come di un simbolo. Insomma la fantasia religiosa riveste l`archetipo, l’idea “inconscia” di dio presente in noi a priori, con l`immagine dei genitori, così come illustra l`energia di questo stesso archetipo valendosi di rappresentazioni sensibili come la circonferenza o sfera, il fuoco inestinguibile, la luce del sole a mezzogiorno o sorgente, persino il calore, la fecondità, la forza generatrice, e così via.
Studiando la schizofrenia, e in particolare il caso in questione, mi accorsi di quanto sia singolare questa malattia mentale (ben più della stessa nevrosi): perché in essa emerge in modo sensibile - tale che chiunque potrebbe toccarlo con mano - l`operare di una psicologia arcaica. Ogni pazzo ragiona come un primitivo, o come uno dell’alto medioevo. Il suo universo è pieno di demoni, angeli, spiriti, streghe, folletti, e così via. Ha insomma un numero incredibile di contatti con la mitologia primordiale. E le sue fantasie, che a noi sembrano insensate creazioni personali, sono molto spesso strutture paragonabili ai miti della più remota antichità …
Anche nelle fantasie mitologiche, e della Miller - chiamiamola così - io riscontrai la tendenza all`incesto, trattata tanto spesso da Freud. Ma il modo mitico-arcaico in cui la tendenza all’incesto compariva - in tutto e per tutto uguale a quello presente in antiche storie egiziane e africane - mi indusse a pensare che il tabù dell`incesto non derivasse dalla solita storia familiare tra figlio madre e padre, ma dal superamento di un modo di essere più profondo ed originario dell`energia dell`inconscio (che continuavo a chiamare "libido"). Questa energia ciecamente desiderante, questa libido, dovendo porre a se stessa dei limiti, connessi alla stessa esistenza, crea il tabù dell`incesto, che agisce da straordinario freno interiore nei confronti della pura animalità, che naturalmente ignora il tabù dell’incesto, anche se taluni animali superiori, molto intelligenti, come gli elefanti, sembrano già fare eccezione.
- Parrebbe che per Lei fosse il bisogno di stabilire una morale, un senso del limite, a portare al tabù dell`incesto, piuttosto che la tragedia dell`incestuosità a creare il tabù.
- Sì, sì, proprio questo volevo e voglio dire. Per tal via non il padre, ma la madre, viene finalmente superata. Le fantasie connesse al tabù dell`incesto, al vietarsi l`amore effettivo ed esclusivo per la madre, consentono all`uomo, che è un animale culturale, di sostituire l`amore per la madre con suoi equivalenti psicologici, come la tribù, il villaggio, la città, la nazione, ma anche la terra intera. L`attaccamento infantile alla mamma comporta per l`adulto una limitazione e una paralisi, mentre l`attaccamento alla città, o ai suoi equivalenti primordiali, moderni o post-moderni, stimola le virtù civiche e consente un`esistenza socialmente utile.
C`è poi un`istituzione che per noi incarna in massimo grado la madre.
- Lo Stato?
- No, no... Quello pare semmai incarnare il padre, l`autorità, la forza. Il legame libidico, amorevole, materno, oltre che nella comunità intesa proprio come l’insieme delle persone che ne fanno parte idealmente affratellate, s`incarna nella chiesa, che è la comunità alla quale leghiamo le radici psicologiche, la forma vivente della Grande Madre di tutti. San Giovanni Evangelista aveva capito tutto, compresa l`ambivalenza della Grande Madre. E di ciò pure io parlavo nel mio libro. Da un lato abbiamo, nell`Apocalisse di San Giovanni, la Madre Terribile, identificata con il paganesimo, "Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra", forse la stessa Roma imperiale, che diventava per il santo apostolo, come poi per Sant’Agostino, la città dei demoni e dei dannati, l`inferno in terra; dall`altro abbiamo la Gerusalemme celeste, la Grande Madre che ci salva attraverso il matrimonio con suo Figlio, ossia - per noi - la Madre Chiesa che si unisce a Cristo, in un sacro imprescindibile incesto, “figlia di suo figlio”. La sposa celeste che qui viene promessa al figlio è appunto la madre, ossia l`imago materna, l’archetipo della madre ed anzi di ogni maternità. Ricorda, cara Aniela, le parole incredibilmente cariche di simboli archetipici del testo giovanneo dell’Apocalisse? "E mi mostrò un fiume d`acqua viva, splendido come cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell`agnello. In mezzo alla sua piazza e di qua e di là dal fiume c`é l`albero della vita, che fa dodici frutti, dando ogni mese di suo frutto, e le foglie dell`albero servono per la guarigione delle genti. E nessuna cosa maledetta ci sarà più ."
È possibile, a questo punto, vedere il simbolo dell`incesto solo come equivalente fantastico di un`incestuosità reale del bambino piccolo come faceva Freud? È la Grande Madre a suscitare la fantasia di unione con la madre reale o è il contrario?
Se stiamo al mito, notiamo che la tendenza all`incesto lì è subordinata alla volontà di rientrare nella madre per rinascere. Se andiamo a tutti i miti solari, come quelli egiziani antichi di Osiride e Iside, vediamo che essi, come tutte le fantasie primordiali di rinascita, escogitano ogni sorta di analogie con la madre per consentire alla libido di riversarsi in nuove forme e per impedirle di regredire ad un incesto più o meno concreto.
- Qui fatico a seguirla.
- La tendenza incestuosa concreta è una specie di degenerazione possibile di quella di riunificazione con la Grande Madre. Invece di rientrare nell`immagine della Dea Madre per rinascere, come in realtà si vuole fare persino quando si fa il coito, e soprattutto al culmine del godimento, si sogna in tal caso l`incesto concreto, appunto con la madre. Naturalmente più si è retrogradi, e vicini allo stato animale, più si realizza il bisogno di rinascere nella madre attraverso l`incesto vero e proprio con lei, o con la figlia di lei e sorella propria, o con la figlia propria in quanto parte di sé che surroga la madre.
- Mi pare di aver già letto qualcosa del genere in Ferenczi.
- Sì, in effetti Sàndor Ferenczi ha scritto qualcosa del genere nel suo piccolo, ma perspicuo, libro Thàlatta. Psicoanalisi della vita sociale. Ma il suo testo è del 1924. Segue il mio di dodici anni. Ma non importa... Credo che Ferenczi sia arrivato alla sua conclusione autonomamente da me, per un`affinità d`interessi che tra noi c`era anche quando io ero, per così dire, freudiano. Ferenczi sostiene appunto che alla base dell`orgasmo c`é il desiderio inconscio di rientrare nella madre, nel liquido amniotico, che porta poi a identificare col mare la vita stessa, e, diciamo noi, l`inconscio collettivo. Ma lo vede quanto sessualismo forzato viene - anche da lui - inserito nella visione?
Io su ciò mi sento più vicino al cristianesimo. Come gli uomini di ogni età, i fondatori del culto vivo in cui siamo cresciuti sapevano che il bambino deve staccarsi dalla madre. Non può seguitare a stare in lei, nel suo grembo o anche attaccato idealmente al suo seno, o alla sua sottana, nell`ombra del suo amore totale. E allora nasce la Madre Chiesa. Entrando in essa si rinasce. Si torna dentro la Madre. È il messaggio di tutti i misteri religiosi del mondo: morire ritualmente alla carne, alla vita precedente, alla stessa madre effettiva, e persino alla famiglia d’origine, al mondo visibile, per entrare nella caverna, o nel fondo del mare, o nel ventre oscuro della Grande Madre spirituale e divina, per rinascere spiritualmente.
- E se uno si distacca veramente dalla chiesa?
- La forza d`attrazione per la Madre celeste, che ci deve compensare per il distacco necessario dalla madre reale, e forse anche dalla nascita materiale, dal vivere come esseri separati dal Tutto, rimane, come istanza insopprimibile. La brama della Madre resta intatta, indipendentemente da qualsiasi negazione, e il singolo quando giunge a tale negazione deve poi penare sino al ritrovamento di un`altra incarnazione della Grande Madre. Se la perdiamo siamo a pezzi, come Osiride quando fu separato da Iside ...
- ...che però era la sorella del dio egizio...
- Grande Sorella, Grande Madre... nel mito che importa ? L`una si converte nell`altra. E finché la Madre non ci ritrova (ossia finché non la ritroviamo spiritualmente), siamo in frantumi, come accadde al povero dio Osiride, i cui pezzi dovettero essere ricomposti dal Femminile, dalla sua Iside. Persino il membro dovette essere rifatto dalla sua amata grande dea, madre-sorella, Iside. Senza il suo amore era evidentemente come un dio mancato, morto, inesistente.
- Ma perché dobbiamo proprio uscire dal caldo seno della madre reale?
- Perché altrimenti non esisteremmo o, se nati, non usciremmo mai dalla più arcaica animalità; non diventeremmo mai individui. In fondo resteremmo esseri ciecamente desideranti come i nostri fratelli animali. Saremmo, insomma, esseri “vissuti dalla Vita”, se vuole dalla Grande Madre, incapaci di pensarla, rendendoci così indipendenti da lei: appunto “singoli”.
- In fondo non sarebbe tanto male.
- Ma non ci sarebbe mai evoluzione. Siamo uomini, e donne, proprio perché in noi c`è una tendenza innata alla coscienza, che ci spinge a porci dei limiti, tra i quali sta il tabù dell`incesto, funzionale al superamento del mondo delle madri.
Capisce la differenza da Freud?
Per me non può essere stato il tabù dell`incesto, come in Totem e tabù, a costringere gli uomini a uscire dallo stato psichico originario di non-differenziazione, in cui si era immersi nel clan come l`animale lo è nel suo branco (in cui in fondo si è fratelli, sorelle, padri e madri gli uni degli altri). Fu, piuttosto, l`istinto evolutivo proprio dell`uomo, il suo tendere sempre a superare se stesso, o meglio a farsi cosciente di sé - un istinto che lo distingue radicalmente dagli altri animali - a costringere l`uomo ad imporre a se stesso innumerevoli tabù, tra i quali c`é quello dell`incesto.
Il messaggio inscritto nella natura dell’animale-uomo, “tendente alla coscienza” per così dire per natura, è più o meno questo :”Volete smettere di ‘viver come bruti’? - Allora dovete rinunciare all`incesto, come a tanti modi di essere puramente da animali”.
Contro tali limitazioni recalcitra certamente l`animale che è in noi, con il suo istintivo conservatorismo e con la sua istintiva ostilità alle novità.
Anche l`uomo primitivo, ancora poco cosciente, sente ogni limitazione dell`istintualità (sempre un po` da regno delle madri) come qualcosa di intollerabile. Rende i divieti assoluti perché per lui il rispettarli, senza un vero e proprio timor panico, senza che essi siano sentiti come tabù, sarebbe impossibile.
Tuttavia col distacco dall`istinto non bisogna esagerare. Noi psicologi del profondo, anzi, siamo pure coloro che vogliono ristabilire la pace tra la coscienza e l`istinto, e tra l`istinto e la coscienza, attraverso la Madre Sorella e Sposa ideale che è pure in noi, e che è anche dio. Quando nel 1910 ponevo invano a Freud la questione della riconciliazione tra Cristo e Dioniso volevo poi dire questo.
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- E Freud? Come la prese?
- Dissentì subito, dapprima sperando che si trattasse di un`elucubrazione episodica e superabile; poi radicalmente. Per lui l`inconscio, la vita psichica, la vita umana, dovevano sempre ruotare attorno al complesso di Edipo, all`incestuosità reale, all`amore reale per la madre, all`odio reale per il padre, e poi alla santificazione reale dell`eterna legge del padre: santificazione che infine, desacralizzata, doveva farsi senso del dovere sociale, istanza di conservazione dello Stato.
Ricordo, al proposito, un convegno di psicoanalisti a Monaco, nel 1912. Si era ormai alla rottura. Dopo aver trattato Adler da eretico, per la sua riduzione dell`inconscio alla volontà della potenza invece che alla libido intrinsecamente sessuale, si apprestava a far così, per altri motivi dottrinari, con me. Dovevo essere condannato dal Padre, che pure mi aveva fatto presidente dell`Associazione psicoanalitica internazionale e suo Delfino, per la mia visione mistica, e a suo dire addirittura folle o da folle, dell`inconscio.
Nelle more del convegno ci ritrovammo, un giorno, a discutere di Amenofi IV, il grande faraone egiziano che aveva invano cercato di introdurre il monoteismo nel suo regno (di cui abbiamo già parlato). C`era lì Karl Abraham, il più “sessista” di tutti i freudiani, quello che tendeva a spiegare con i complessi edipici personali anche la storia del nostro secolo e delle stesse grandi religioni: un uomo di sottile intelletto, ma portato a negare qualsiasi forma di spiritualità. Questi aveva un`influenza nefasta su Freud, accentuandone proprio i tratti materialistico volgari, impoverendone così le scoperte e rafforzandone, per contro, le illusioni di compiutezza scientifica.
In un intervallo tra una riunione e l`altra stavamo seduti, a fumare, nelle nostre poltroncine. Con noi c`era pure Freud.
- Lei, caro Jung, - diceva Abraham - può dire tutto quello quel che vuole per desessualizzare a tutti i costi l`inconscio e per spiegare la vita con i simboli invece di fare il contrario. Per me i grandi fatti della storia religiosa dell`umanità la smentiscono in pieno. Lei parla tanto, nel suo ultimo libro sulle trasformazioni e i simboli della libido, di Osiride e della sua bella Iside, ma consideriamo un po` l`origine del monoteismo in Egitto ...
- Ecco una faccenda che mi interessa molto - notò Freud -. Forse, Jung, a Lei, che è ariano, la cosa non farà né caldo né freddo, ma per noi ebrei la questione dell’origine del monoteismo è importante.
- È un po` il discorso del "chi siamo" e "da dove veniamo"- notò Jones.
- Interessa immensamente anche a me, - dissi io - che non solo apprezzo il monoteismo, ma a modo mio sono persino cristiano, e cristiano fervente. E dunque?
- Come certo saprà - osservò allora Abraham -, il monoteismo è stato inventato dal faraone Amenofi IV, detto Echnaton. Ebbene, come non vedervi una compensazione fantastica dell`odio, tipicamente edipico, per il re suo padre? - Amenofi IV giunse al punto di far scalpellare via tutte le immagini del padre dalle stele in cui era raffigurato. Da un lato negava così il padre reale; dall`altro se ne costruiva uno alternativo, "dio unico" nell`alto dei cieli. Più chiaro di così!
- Ma questo significa ridurre una scoperta grandiosa nella storia dell`umanità, come il monoteismo, ad una banale storiella di famiglia... È insostenibile, e anche non troppo nobile, caro collega ... Amenofi IV, a quel che so io, fu un uomo estremamente creativo e profondamente religioso, non un semplice nevrotico ossessionato dal suo papà.
- Si inalberi quanto vuole - replicò secco secco Abraham -, se tiene tanto al suo misticismo. I fatti sono fatti. Almeno per gli scienziati.
- Non è come pensa Lei - dissi io con calore-. Amenofi IV è anzi stato un estimatore del padre, legato alla sua memoria. Se aveva fatto scalpellare qualcosa, lo aveva fatto per affermare il monoteismo: per cancellare il nome del dio Amon, che aveva tolto via dovunque, e perciò anche dai cartigli del padre, che si trovava a chiamarsi Amon-hotep.
- Tuttavia è una coincidenza un po` strana, Jung - notò Jones-. Questo dovrebbe ammetterlo.
- Ma no, Jones - dissi io con pazienza -, glielo assicuro. Anche altri faraoni avevano sostituito i nomi dei loro antenati effettivi o divini su monumenti e statue precedenti, mettendovi il proprio nome. Ritenevano di avere il diritto di farlo dal momento che si consideravano incarnazioni della stessa divinità. Ma essi, diversamente da Amenofi IV, non avevano inventato un nuovo stile religioso, né tanto meno una nuova religione.
A questo punto Freud cadde dalla sua sedia privo di sensi. Tutti gli si affollarono intorno, ma senza osare di fare nulla. Io allora lo sollevai, lo trasportai nella stanza più vicina e lo feci sdraiare su un sofà.
Subito si svegliò. E mi fissò con uno sguardo che non dimenticherò mai. Nella sua impotenza mi aveva guardato come se egli fosse stato mio padre e io l`avessi moralmente ucciso. La fantasia del parricidio restava in lui insopprimibile.
- Jung, per cortesia - mi disse -, mi faccia portare un bicchierino di cognac, ma resti accanto a me, se non Le spiace troppo. È venuto il momento del chiarimento definitivo.
Si asciugò la fronte. Giunse il cameriere col cognac richiesto. Freud bevve, mentre io me ne stavo seduto in una sedia accanto alla sua. Eravamo soli, come aveva voluto.
- Non crede, Jung - mi disse -, che questo suo prendersela tanto quando si parla di padri denoti un suo complesso irrisolto?
- No, ritengo anzi che il mio sia un atteggiamento del tutto normale, e mi dispiace che Lei abbia queste fantasie, che La portano a vedere volontà di parricidio nei suoi migliori amici.
- Chi, pur comportandosi in modo anormale, non la smette di gridare che è normale, risveglia il sospetto che gli manchi la coscienza della propria malattia.
Tacque per un paio di minuti, come se lottasse con se stesso. Per parte mia ero estremamente imbarazzato.
Poi osservò, con voce bassa, ma ferma:- Le propongo di cessare completamente i nostri rapporti privati. Io non ci perdo nulla, perché ormai da tempo ero legato a Lei soltanto dal filo sottile di delusioni provate che continuavano ad avere il loro effetto, mentre Lei non può che guadagnarci, dato che va dicendo a tutti che un rapporto intimo con un uomo ha un effetto di inibizione della sua libertà scientifica. Si prenda dunque la sua piena libertà e mi risparmi, in futuro, i "servigi da amico". Noi concordiamo su un punto: che l`uomo deve subordinare i suoi sentimenti personali agli interessi generali del movimento in cui si riconosca. Questi impongono la rottura totale.
- Mi adeguerò al suo desiderio di rinunciare ai nostri rapporti personali, visto che non impongo mai la mia amicizia - notai io con la morte nel cuore -. Del resto Lei stesso saprà meglio di chiunque altro quel che questo momento significhi per Lei. "Il resto è silenzio".
La situazione si era fatta insostenibile. Di lì a poco, con la solidarietà di pochissimi colleghi della stessa Svizzera, mi dimisi dalla direzione della rivista e dalla stessa Associazione Psicoanalitica Internazionale, di cui ero da quattro anni l`attivo presidente. Lo feci benché al congresso di Monaco fossi risultato ancora in maggioranza pur essendo già apertamente contestato da Freud e compagni. Seppi che alla notizia del mio distacco Freud rispose con un "Hurrà !". Invece io, benché avessi scelto la libertà d`opinione sulle cose fondamentali, a qualsiasi costo, piombai presto in una cupa disperazione (11).
(segue)
27 ottobre 2006
[Le immagini di questa pagina, dall’alto verso il basso: Creuzer; Flournoy; “I cavalieri dell’Apocalisse” di Durer; Ferenczi; statua di Amenofi IV; Freud e Ferenczi al Congresso di Psicoanalisi del 1922]