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Storia
Testimonianze importanti per non dimenticare
Primarosa Pia
 Il 5 maggio 2015 è stato il 70° Anniversario della Liberazione del Campo di Concentramento di Mauthausen-Gusen . Primarosa Pia il 9 maggio 2015 è intervenuta con questo importante documento, che riportiamo ben volentieri.

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Johanna Mikl-Leikner, Ministra dell'Interno del governo dell'Austria, ha appena terminato di confessare quanto si senta personalmente coinvolta nel “vivere” quel luogo, e di promettere il suo massimo impegno per continuarne la tutela così come è suo dovere istituzionale.

Lasciando il podio si ferma di fronte ai reduci, poco più di una decina, quasi tutti polacchi, quasi tutti con un evocativo indumento zebrato, china il capo in un inchino che ci intenerisce, mi avvicino piano, so che tocca a me, Martha mi presenta, in tedesco, forse solo in quel momento ci credo davvero, inizio a leggere, tre paginette, non di più, quando gliele ho inviate mi ha risposto “c'est grande” e mi ha fatta sentire grande!!

Invece lì torno piccola, bambina, leggo consapevole di dove sono, di cosa stia facendo, delle migliaia di occhi che seguono il mio testo tradotto o che mi guardano, mentre racconto i ricordi unici che mi toccano, che in quel preciso istante, a Gusen, terribile Campo di sterminio gemello di Mauthausen, sono i ricordi di tutti i famigliari dei sopravvissuti.

Sono allo stesso tempo la biondina terrorizzata dallo sguardo allucinato del superstite ritratto nella foto che mi ha shoccata allora e che ho ritrovato poco prima sulla copertina del libro posato sul banchetto lì accanto, e l'ormai vecchia figlia di due storie famigliari indissolubilmente unite.

Per due volte mi sento la voce sbagliare intonazione, devo stare calma, so che deve capirmi anche chi non parla la mia lingua, e quando ringrazio, ormai il fiato solo un filo sottile, colgo l'emozione che mi circonda, ma molto più quella che mi abita.

Mi avvicino ai reduci, tocco loro la mano, con tutta la delicatezza di cui sono capace, due di essi baciano la mia, affondo nei loro sguardi, azzurri come quelli di papà, ce l'ho fatta papà, forse il tuo carattere così ruvido e schivo non ti consentirebbe di abbracciarmi e di mostrare commozione, o forse, ora che sei nel vento anche tu, finalmente mi leggi dentro, nelle mie ruvidità che sono le tue, quelle che vincevi quando raccontavi, che ho vinto anch'io, oggi, qui, a Gusen, la tua ossessione.

Torno a posto, accanto a me un signore sconosciuto cui tutti porgono saluti ossequiosi mi porge la sua rosa, mi ringrazia, così fa sua moglie, che chiede di me a Fabrizio, in tedesco.

Più tardi, finito il solenne corteo dal Crematorio che è un trionfo di fiori in prevalenza dei colori polacchi, bianco e rosso, mi avvicino alla ministra che si inchina e mi prende la mano con calore, gli occhi subito un po' velati; per mezzo di Fabrizio voglio ringraziarla, per quello che fa, per quello che farà, conosco i problemi, non sempre solo economici: a Vienna, al Ministero, c'è un intero Dipartimento dedicato al Memorial, con migliaia di dati, testimonianze, pubblicazioni, e donne e uomini intelligenti e gentili, con cui collaboro da anni, che mi ringraziano con bigliettini affettuosi, scritti a mano e in italiano.

Poi ci sono i problemi effettivi di tutela dei luoghi, al crematorio di Gusen l'ultima opera, un intervento conservativo imponente, che lo ha tenuto inaccessibile a lungo.

Abbiamo rischiato che non finissero i lavori in tempo, anche questa volta l'Ambasciatore italiano a Vienna ha risposto al grido di aiuto, come i suoi predecessori per altre questioni indietro negli anni, senza tante fanfare o frasi roboanti, sottovoce, in punta di piedi, come fosse nulla.

Con le mie due guardie del corpo, senza sentirmi ministra, torno a St. Raphael, all'hotel scelto all'ombra dello splendido monastero.

Finalmente, incurante della mia intolleranza, potrò concedermi quell'enorme gelato con le fragole, ma la gelateria è già chiusa, mi sorrido dentro, domani non c'è tempo, si va presto a Mauthausen, forse tornerò, forse mai più.

primarosa

 

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9 maggio 2015

 

70° Anniversario della Liberazione del

Campo di Concentramento di Mauthausen-Gusen

Orazione ufficiale di Primarosa Pia 

Questo luogo che tutti gli anni ci accoglie col suo carico di storie dolorose e definitive, mi coinvolge doppiamente: qui, il 5 maggio 1945, è stato liberato colui che sarebbe diventato mio padre. Un padre difficile, che ha portato per sempre dentro di sé lo sfregio alla sua dignità di uomo che non ha potuto evitare di contagiare noi figli.

Lo so che ciò che dico è grave, e forse ingeneroso nei suoi confronti, lui non ne era consapevole, non c'è dubbio, ma come possiamo oggi interpretare quella sua ansia di mettere, noi figli, in guardia dal rilassarci alle comodità, e non parlo di “capricci”, quel “prepararci al peggio” che la vita avrebbe potuto riservarci?

Il peggio come è accaduto a lui, e come è accaduto a Vittorio, rastrellato con lui ed altri, con grande strepito, nella cantina della sua casa nel paesino piemontese dalle dolci colline grondanti vino...

Vittorio, fratello di Margherita, che sarebbe diventata mia mamma, aveva gli occhi verdi e gli anni di molti ragazzi che vedo qui, diciassette, era un ragazzo giocherellone e non voleva morire!

Invece, trasformato in un “pezzo da lavoro” in questo luogo allora grondante sangue, ne è stato inghiottito, come troppi altri, diventando vento.

E io ho vissuto le domande, e io ho vissuto i silenzi.

Le domande di mia nonna, la mamma di Vittorio, i silenzi di mio padre, che ha sempre detto di non sapere.

Nelle nostre case non c'è stata mai festa, non si poteva, la festa vera, unica, era questo anniversario, che mamma e papà non hanno mai mancato, anche quando qui c'era un grande prato incolto, con al centro il crematorio nudo, e sotto l'erba corpi pietosamente sepolti dopo quel 5 maggio.

Nessuno di noi sceglie dove nascere, e nemmeno quando.

A loro sono toccati quegli anni, in cui l'Europa è caduta nel delirio di un regime nazifascista sanguinario come mai prima, all'inizio enormemente nutrito da silenzi e connivenze, fino a sentirsi libero di programmare lo sterminio in massa di esseri umani.

A Gusen, Campo di sterminio gemello di Mauthausen, i prigionieri arrivavano già civilmente morti, un numero al posto del nome, nessuna possibilità di dare notizie di sé o di riceverne, completamente sottoposti alle disumanità dei kapo e dei guardiani SS, unico, estremo “diritto”, quello di lavorare fino alla consumazione di ogni energia.

Sterminio per mezzo del lavoro: prima furono le cave, larve umane costrette con botte e terrore a scavare granito e a trasportarlo con mezzi rudimentali, il Reich doveva celebrare la sua tragica grandezza, poi furono le gallerie da scavare a forza di braccia e lacrime di frustrazione, il Reich doveva mettere in salvo le sue fabbriche di armi, poi, e per molti italiani, furono soprattutto le fabbriche di armi, quelle stesse armi da usare contro le madri e i padri rimasti in patria!

Così descrive mio padre il lavoro al Transport colonna, qui a Gusen:

Il Campo era dotato di un raccordo ferroviario con antistante un ampio piazzale, pertanto tutti i trasporti di materiale, in entrata e in uscita, avvenivano per via ferrata. La merce in arrivo veniva caricata su carrelli che venivano distribuiti nei vari capannoni per essere svuotati e riempiti con quella in uscita che doveva essere riportata ai treni. Il lavoro era molto gravoso perché i pesanti carrelli dovevano essere spinti in salita o frenati in discesa tutto a forza di braccia, ma diventava quasi impossibile quando bisognava trasportare nelle gallerie della collina rocciosa nuovi macchinari come torni, presse o fresatrici che essendo un blocco unico erano di un peso massacrante: i soli strumenti che avevamo per aiutarci a trascinarli erano dei rulli e delle tavole su cui farli scorrere e dei palanchini per sollevarli.

L’unico modo che conoscevano i kapo per costringere delle persone denutrite, di cui molte ai limiti della sopravvivenza, a trascinare su da una salita macchinari che potevano pesare da due a venti quintali, erano le percosse: usavano moltissimo il Gummi, ma non esitavano a colpire servendosi di qualsiasi oggetto: un badile, un martello, un palanchino o qualsiasi altra cosa, senza preoccuparsi se i colpi avrebbero ammazzato il malcapitato; il risultato doveva essere ottenuto a qualsiasi prezzo, i “pezzi” non erano poi così preziosi, ne arrivavano in continuazione, in fondo valevano meno della merce che dovevano maneggiare.

…..

Era verso il 10 di aprile quando una mattina, appena terminato il turno di lavoro, pieno di freddo come sempre, mi permisi di allungare le mani per scaldarle al tepore della lampadina appesa sopra di me. Si accorse di ciò un kapo polacco, una vera canaglia: mi ordinò di prendere uno sgabello basso che era lì vicino: avevo già capito cosa mi aspettava: mi fece piegare il busto e appoggiare le mani sullo sgabello; il miserabile mi si avvicinò brandendo il Gummie iniziò a frustarmi sempre sullo stesso punto in fondo alla schiena, all’altezza dell’osso sacro. I primi colpi, seppure micidiali, riuscii a sopportarli stringendo i denti, ma man mano che l’attrezzo si abbatteva, sempre con violenza e precisione, il dolore divenne talmente forte che ogni volta le mie gambe si piegavano e io rovinavo a terra; colpendomi allo stomaco con calci della punta dei suoi zoccoli, al grido «Austen!» il mio aguzzino mi faceva rialzare, mi costringeva a rimettermi in posizione e un altro colpo mi veniva impartito, ed ero anche costretto a contarli ad alta voce! Alla fine la maggior parte di coloro che avevano subito quella tortura non si alzava più e veniva finita a calci: io ce la feci ad alzarmi e andarmene.1

  

E qui papà non dice che lui era arrivato in gennaio, poi febbraio... e maggo era lontano... ma non meno crudele del freddo, per i deportati, era il caldo, nei mesi estivi, e con la fame la sete!!

Nessuno di noi sceglie dove nascere, e nemmeno quando, dicevo, ma spesso ce ne dimentichiamo, assistiamo indifferenti, a volte con un senso di impotenza che può avere un certo fondamento, alle vicende tragiche di popoli altri, considerando i nostri agi e privilegi come acquisiti per sempre, da loro, appunto, i morti invano di Primo Levi, che hanno ancora molte cose da dirci, se abbiamo voglia di ascoltarli.

...

Primarosa PIA

 

Figlia del superstite Natale Pia  kz 115658 Mauthausen-Gusen 

e nipote di Vittorio Benzi kz 115373 morto di fame e fatica a Mauthausen-Gusen a 17 anni, 

Biagio Benzi kz 43493 superstite di Flossenbürg  e Giovanni Benzi, kz 7332 superstite di Bolzano, 

tutti partigiani vittime del rastrellamento del 3 dicembre 1944 nella zona di Nizza Monferrato.

Ha collaborato ad alcuni progetti degli storici del Mauthausen Memorial del BM.I di Vienna, ha frequentato il corso: Insegnare la Shoah presso The International School for Holocaust Studies di Yad Vashem, a Gerusalemme.http://www.yadvashem.org.il/

Nel 2006 ha fondato e da allora modera il gruppo di discussione e notizie : DEPORTATIMAIPIU

https://groups.google.com/forum/#!forum/deportatimaipiu

Dal 2009 fa parte del Comitato scientifico dell'Istituto pedagogico della Resistenza di Milano.

Scrive articoli e partecipa a incontri pubblici con adulti e studenti.

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1Natale Pia

LA STORIA DI NATALE

Sopravvissuto alla Ritirata di Russia alla Resistenza partigiana alla deportazione a Mauthausen-Gusen

Ed. FADIA

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